Scioglimento dei Comuni per infiltrazioni e condizionamenti mafiosi

Lara Farinon 15/03/24
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L’istituto dello scioglimento dei comuni e degli enti locali è relativamente recente, la sua genesi risale al 1990 in risposta ad una faida di ndrangheta. Gli scioglimenti decretati dal 1991, quando entrò in vigore la prima legge, ad oggi sono 383 con il coinvolgimento di 280 Comuni e 7 aziende sanitarie. Le infiltrazioni nei Comuni sono una strategia operativa e funzionaledei clan, che così moltiplicano le occasioni strategiche di radicamento territoriale e di arricchimento. L’inquinamento mafioso non è solo in termini economici, ma ferisce anche la democrazia.
L’interesse principale delle consorterie è il mondo degli appalti, estendendosi comunque in tutti i settori dell’amministrazione comunale o dell’ente locale.

Indice

1. Normativa ed evoluzione

Lo scioglimento nasce come provvedimento legislativo d’emergenza ed è una misura normativa unica nel mondo, dovuta alla particolarità (mafiosa) italiana. Fino al 1990 il nostro ordinamento non aveva previsto alcuna forma specifica di scioglimento dei comuni e delle province per infiltrazioni e condizionamenti mafiosi. In quegli anni lo Stato interviene a seguito di una cruenta faida tre le ‘ndrine, con epicentro Taurianova (RC), dove tra gli oltre trenta omicidi e attentati vi fu anche la decapitazione di un affiliato, la cui testa venne poi lanciata in aria e usata per il tiro al bersaglio. Il Governo dell’epoca decide quindi per un Decreto Legge contro le infiltrazioni mafiose negli enti locali, cercando di limitare la prepotenza dei clan, che comprimono significativamente la democrazia, soprattutto nei contesti più isolati.
Viene quindi adottato il decreto-legge 31 maggio 1991, n.164, denominato Misure urgenti per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi di altri enti locali, conseguente e a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, (convertito con la legge 22 Luglio 1991, n. 221), che introdusse l’art. 15-bis nella legge 19 marzo 1990, n. 55, intitolato Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale. L’obiettivo principale è quello di eliminare i vantaggi che le mafie ottengono dalla loro presa sugli enti locali, controllo del territorio e consenso sociale.
L’applicazione dell’art. 39 della l. n. 142/1990, scioglimento dei consigli degli enti locali per gravi motivi d’ordine pubblico, risultava poco efficace innanzi alle infiltrazioni mafiose più radicate e diffuse. Si provvedeva quindi ad aggiungere lo scioglimento nei casi di collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali (art. 15-bis, comma 1, l. n. 55/1990). In tal modo, il Legislatore introduceva una forma di controllo sugli enti locali straordinaria e atipica rispetto al quadro normativo dell’epoca, volta a salvaguardare i principi costituzionali del buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, la sovranità degli enti locali, pur limitando il principio democratico degli organi eletti.
La normativa sullo scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose non subì interventi di rilievo fino al Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (Tuel). In particolare, l’art. 143 del Tuel integrò le previsioni di scioglimento ordinario previste dal precedente art.141. L’istituto però non venne riformato, né venivano identificati gli elementi necessari affinché si potesse decretare lo scioglimento dell’ente locale, lasciando ampia discrezionalità al Governo. Con la Legge 15 luglio 2009, n. 94, l’articolo venne modificato specificando come gli elementi di collegamento diretto o indiretto degli amministratori con la criminalità organizzata dovessero essere concreti, univoci e rilevanti, rendendo più difficoltoso l’onere della prova dell’infiltrazione in capo all’amministrazione statale che procede allo scioglimento.
L’art. 143 del Tuel in vigore prevede che il Prefetto competente per il territorio, una volta avuta notizia dalla magistratura o dalle forze dell’ordine oppure tramite altri canali di una potenziale infiltrazione nell’amministrazione comunale, nomina un’apposita Commissione d’indagine (c.d. Commissione d’accesso), composta da tre funzionari, per l’accesso agli atti. L’accertamento coinvolge l’intero ente locale, intendendosi con ciò sia i rappresentanti politici che l’apparato amministrativo locale. Entro tre mesi dalla data di accesso (periodo rinnovabile per una sola volta e per un tempo massimo di ulteriori tre mesi), la Commissione d’indagine deve terminare gli accertamenti e consegnare le proprie conclusioni al Prefetto, il quale invia al Ministro dell’Interno una relazione nella quale si dà conto della eventuale sussistenza degli elementi. Il Consiglio dei Ministri deve deliberare sull’adozione o meno del provvedimento di scioglimento, che, viene disposto con decreto del Presidente della Repubblica e trasmesso alle Camere. L’attività della Commissione straordinaria, può durare da un minimo di dodici mesi ad un massimo di diciotto, prorogabili a ventiquattro mesi. Per ragioni cautelari, il Prefetto, nell’attesa del decreto di scioglimento presidenziale, per motivi di urgente necessità, può sospendere gli organi comunali da ogni attività anche collegata per un periodo non superiore a sessanta giorni, garantendo l’attività amministrativa tramite l’invio di commissari prefettizi, che, qualora venga adottato il decreto di scioglimento, potranno essere successivamente membri della Commissione straordinaria. 

2. Scioglimento dei comuni: criticità

Emerge l’inefficacia dell’istituto nei contesti particolarmente deteriorati, come illustrano i dati ministeriali sono diverse le amministrazioni che hanno subito numerosi scioglimenti e che proseguono per anni commissariate. Si rileva inoltre che il commissario nominato spesso non è presente fisicamente sul territorio e non conosce il tessuto sociale in cui è chiamato ad operare. Ciò aumenta il distacco fra l’ente locale e i cittadini, i quali non hanno alcuna figura di riferimento. Appare imprescindibile una formazione specifica di funzionari pubblici chiamati ad amministrare enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose. E’ evidente come sia necessario un intervento nella struttura amministrativa nella sua interezza.
La Legge fu pensata con valore preventivo, affidando al ministro dell’Interno il potere di sciogliere i comuni in modo autonomo. Lo scioglimento comunale per infiltrazioni mafiose costituisce una misura straordinaria di prevenzione, finalizzata a rimediare a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale (T.A.R. Roma, sez. I, 05/07/2019, n.8864). In realtà, il decreto viene emanato a posteriori, con avvenimenti o fatti che indicano l’infiltrazione mafiosa. Nel febbraio 2016 il CdS ha disposto l’obbligatorietà della prova del condizionamento di stampo mafioso sulla volontà dell’organismo, cioè la consapevolezza degli amministratori del loro agire con volontà viziata a causa delle pressioni criminali (Consiglio di Stato, sezione III, 24/02/2016, n.748). Dall’esame complessivo degli elementi raccolti, che devono essere “concreti, univoci e rilevanti”, si può ricavare il quadro e il grado di condizionamento mafioso e la ragionevolezza della ricostruzione operata quale presupposto per la misura dello scioglimento degli organi dell’ente, potendo essere sufficiente un atteggiamento di debolezza, omissione di vigilanza e di controllo, incapacità di gestione della macchina amministrativa da parte degli organi politici, che sia stato idoneo a beneficiare soggetti riconducibili ad ambienti “controindicati” (T.A.R. Roma, sez. I, 02/03/2021, n.2537). Rilevano l’esistenza di forti collegamenti tra esponenti dell’organo politico e/o dipendenti dell’Amministrazione con i clan presenti sul territorio; la dimostrazione che gli atti di gestione sono stati adottati proprio per favorire i clan mafiosi ed i loro esponenti; l’influenza delle organizzazioni criminali che hanno concretamente condizionato l’azione dell’ente locale.
In base all’art. 146 del Tuel, la procedura di scioglimentosi applica anche ad enti locali (comunità montane, unioni di comuni, circoscrizioni etc.), ai consorzi di comuni e province, nonché alle aziende sanitarie ed ospedaliere, oggetto di particolare interesse da parte delle organizzazioni mafiose. Nel 2022 sono stati commissariati 11 comuni; considerando anche gli enti commissariati in precedenza sono stati 36 i comuni sottoposti a gestione commissariale. La quasi totalità degli enti locali commissariati è concentrata nelle regioni di insediamento storico della criminalità organizzata: Calabria, Sicilia, Puglia e Campania. Tuttavia, non mancano realtà compromesse anche in Basilicata, Valle D’Aosta, Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria, Lazio, senza risparmiare nemmeno la Capitale. Ad oggi sono circa un centinaio gli enti che sono stati sciolti più volte, alcuni hanno collezionato perfino quattro provvedimenti. La Calabria si conferma la regione con maggior numero di procedimenti ripetuti. Maggiormente coinvolti i piccoli comuni, spesso con popolazione residente sotto i 10mila abitanti (trend confermato nel 2022 con 18 comuni), tra cui Cosoleto di soli 916 abitanti. Quindici i comuni sotto i 50mila abitanti e 3 quelli più grandi, Castellammare di Stabia, Marano di Napoli e Foggia che è perfino capoluogo di provincia. Sempre crescente l’interesse delle mafie, ndrangheta più di altre, per i territori dove lo sviluppo economico-finanziario offre la possibilità di riciclare ingenti quantità di denaro, inserendosi anche nel mercato degli appalti pubblici. Soprattutto nelle regioni del Centro Nord, come si evince dal report di Avviso Pubblico (2023) che è stato intitolato la Linea della palma, una citazione di Leonardo Sciascia che faceva riferimento all’espansione mafiosa al di fuori dei territori di origine paragonandola proprio al clima propizio alla vegetazione della palma che “viene su, verso il nord, di cinquecento metri ogni anno”. Nonostante l’evidente presenza mafiosa in tutto il territorio nazionale, vi è una certa sottovalutazione ed una scarsa conoscenza del fenomeno mafioso da parte delle amministrazioni locali, parallelamente alla corruzione che mira ad instaurare rapporti di reciproca convenienza, caratterizzati da complicità e connivenza, tra politici, funzionari locali e mafiosi.
Lo scioglimento del comune, che appunto arriva quando l’interazione è già accertata, non risolve la pervasività criminale sul territorio, come si evidenzia anche nel caso di Lona Lases in Trentino, dopo l’inchiesta che ha disvelato i locali di ndrangheta tra le cave del porfido e le montagne di cocaina che innevavano Bolzano. I paesi della valle non riescono ad allentare la morsa mafiosa, con ben quattro tornate elettorali andate buche e un commissariamento che perdura da anni.
Il problema rimane principalmente culturale ed evidenzia anche la continuità dell’assetto malavitoso. E’ un tema che resta ancora sottotraccia nel dibattito politico e sociale, pur mettendo in evidenza proprio un costante dialogo tra clan e colletti bianchi che incide sulla democrazia, su stabilità degli enti locali e delle amministrazioni, su imparzialità e buon andamento, gestione di territori e scelte politico-economiche.

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Lara Farinon

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