Dalla potestà alla responsabilità genitoriale: come è cambiato il ruolo

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La responsabilità genitoriale (un tempo chiamata potestà genitoriale) è la responsabilità che i genitori hanno nei confronti dei figli e costituisce il diritto-dovere all’istruzione, all’educazione e al mantenimento, che si esauriscono con il raggiungimento della maggiore età e dell’indipendenza economica da parte del figlio.
Siccome il minorenne è privo della capacità di agire, per lui agisce il genitore in qualità di rappresentante e, più precisamente, di rappresentante legale, derivando i suoi poteri direttamente dalla legge.
Un tempo questo insieme di poteri era attribuito al padre, da qui la denominazione di patria potestà. Negli ordinamenti contemporanei la potestà genitoriale si è andata via via sostituendo alla patria potestà, anche se questa evoluzione si sia compiuta in tempi diversi e non abbia ancora toccato la totalità degli ordinamenti.

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Indice

1. Diritto Italiano


Nel diritto italiano la responsabilità genitoriale è affidata ad entrambi i genitori (art. 316 c.c., come sostituito dal D. Lgs. n. 154/2013, che ha anche eliminato il termine “potestà” sostituendolo con il termine “responsabilità” genitoriale ovunque presente nel codice civile).
In mancanza degli stessi, o per sopravvenuta morte o perché decaduti dalla responsabilità (art. 330 c.c.), viene nominato un tutore, che provvede alla cura della persona del minorenne e ne amministra i beni.
Alla responsabilità genitoriale sono sottoposti i figli minori non emancipati, sia nati nel matrimonio sia nati fuori dal matrimonio.
Questo vale anche nel caso di figli adottivi, nel caso nel quale i loro genitori adottivi, per effetto dell’adozione (legittimante), acquistano a ogni effetto la responsabilità genitoriale.
La responsabilità genitoriale comprende diritti sia di natura personale sia di tipo patrimoniale che implicano la facoltà ai genitori di:

  • custodire, destinare il proprio domicilio al minorenne, dal quale non si può allontanare senza il consenso del genitore
  • allevare, fornire il necessario per sopravvivere, per esempio alimenti e vestiario
  • educare, secondo la diligenza del buon padre di famiglia, ai costumi del luogo dettati dall’esperienza comune
  • istruire, eccezione questa tra le potestà, che consiste in un “obbligo di risultato” il quale adempimento dipende dalla prestazione di terzi, per esempio il sistema scolastico
  • amministrare, sul piano ordinario, che comporta la gestione dei rapporti a carattere patrimoniale conservandone la sostanza
  • usufruire dei beni, che consiste nell’uso e nel godimento di una res senza alterarne la destinazione d’uso
  • rappresentare, vale dire poter compiere negozi giuridici in sua vece, per es., al compimento degli obblighi scolastici, possono stipulare il contratto lavorativo di apprendistato oppure ad esempio permette di confrontarsi nel Consiglio di classe e con le autorità sanitarie.

In Italia la potestà genitoriale aveva sostituito la patria potestà nel 1975, parificando diritti e doveri della madre verso i figli, a quelli del padre con la legge 19/05/1975 n. 151 (riforma del diritto di famiglia).
Adesso si parla di responsabilità genitoriale e non più di potestà.
Conseguenza di “segno opposto”, in genere a favore del padre, di questa parità di diritti è la tendenza all’affido condiviso dei figli nelle cause di separazione e divorzio, rispetto a un precedente orientamento dei giudici ad affidare figli e abitazione principale alla figura materna.
La sospensione o il decadimento della responsabilità genitoriale non può comportare una riduzione dei doveri, vale a dire vantaggio economico o di altro tipo per il genitore. In particolare, non cancella gli obblighi di mantenimento.
Il semplice riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio o la loro adozione (legittimante) non esclude la decadenza di questo diritto, se concretamente non viene esercitato dal genitore con la partecipazione attiva alla vita del minore, alle esigenze economiche e no.
La cattiva condotta del genitore, in termini di abuso o negligenza nell’esercizio, può legittimare la sospensione o la revoca della responsabilità genitoriale.
 Viceversa, non è giusta causa di decadenza l’inettitudine educativa del genitore, ravvisabile nella cattiva condotta del minore e nella recidiva di fatti penalmente rilevanti, perseguiti o meno. L’art. 319 c.c., abrogato nel 1975, prevedeva la possibilità per il padre, se confermata dal giudice, di condurre in istituti di correzione (cosiddetti “riformatori”) i minorenni che persistevano in cattiva condotta.
La legge 10 dicembre 2012, n. 219 ha inciso profondamente sul diritto di famiglia apportando modifiche sostanziali, con il fine di assicurare l’uguaglianza giuridica dei figli, nati nel matrimonio o al di fuori del vincolo coniugale.
Il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, che è entrato in vigore il 7 febbraio 2014, ha dato applicazione alla delega contenuta nella suddetta legge.
Questo decreto, che consta di 108 articoli, procede, per lo più, all’adeguamento della normativa alla riforma del 2012, eliminando il rimando al “figlio naturale” e al “figlio legittimo” sostituendoli con l’unica indicazione di “figlio”.
E’ stato superato il concetto di potestà e introdotto quello di responsabilità genitoriale, (art. 316 c.c.), denominazione presente da tempo in ambito europeo, e che adesso è stato recepito anche nel nostro paese, perché definisce meglio i contenuti dell’impegno genitoriale, non più da considerare come una potestà sul figlio minorenne, ma come un’assunzione di responsabilità da parte di entrambi i genitori in modo paritario nei confronti del figlio, tenendo conto delle sue capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.
L’intento della norma è di sicuro apprezzabile, perché va nella direzione di risolvere questioni presenti nel rapporto genitori-figlio, ma questo non lo esime da disappunti.

2. Sospensione, decadenza, rinnovo dell’affidamento


La Legge 04/05/1983 n. 184 (diritto del minore ad una famiglia), modificata dalla legge n. 149/2001 e successivamente dal D. Lgs. n. 154/2013 prevede, esclusivamente in casi eccezionali, che il minorenne possa essere temporaneamente allontanato dal proprio nucleo di origine. L’affidamento per i minorenni può essere fatto (art. 2) presso una famiglia o in mancanza presso una comunità di tipo familiare.
L’affidamento può essere consensuale (con omologa del Giudice Tutelare), o giudiziale (con decreto del Tribunale per i Minorenni).
I rilevanti contributi statali erogati alle strutture che accolgono i minori, non vengono dati direttamente alle famiglie di origine meno abbienti, per evitare ai minori un trasferimento forzato per motivi economici.
Secondo la legge italiana, l’affido a una struttura di accoglienza sino alla dichiarazione di adottabilità per un’altra famiglia, non sono l’extrema ratio da adottarsi in via residuale, nonostante l’impatto psicologico per un minorenne sottratto con la forza alla sua famiglia di origine.
In mancanza di specifico provvedimento di decadenza della responsabilità genitoriale (revoca), la responsabilità in entrambi i tipi di affidamento si intende sospesa, cioè i genitori perdono con l’allontanamento l’esercizio della responsabilità sul minorenne, ma non la titolarità della stessa.
Questo comporta che le scelte straordinarie, non meglio identificate dalla legge e dalla giurisprudenza di merito, vanno prese esclusivamente dai loro genitori.
Le scelte ordinarie (ex art. 5 scuola e sanità) relative al minorenne sono prese dalla famiglia affidataria o dal legale rappresentante della Comunità (art. 3), mentre l’Ente Locale supervisionerà il progetto del minore e anche della famiglia di origine, per favorirne il rientro presso di questa (art. 4).
Nel caso di affidamento consensuale, il servizio sociale dovrà aggiornare il Giudice Tutelare almeno ogni sei mesi sulla situazione.
Al termine dei primi due anni si dovrà chiedere il rinnovo al Tribunale per i Minorenni.
Nel caso di affidamento giudiziale, il servizio sociale dovrà aggiornare ogni sei mesi il Tribunale per i Minorenni, chiedendo alla fine di ogni periodo di due anni gli eventuali rinnovi.
Prima di disporre un affidamento (consensuale o giudiziale), il bambino di 12 anni va sempre sentito. 

3. Processo penale minorile


Questa doppia funzionalità è bilanciata dai principi della camera di consiglio, composta da due magistrati togati e da due onorari, un uomo e una donna, esperti in pedagogia, biologia, antropologia criminale, psichiatria o psicologia, peculiarità nata allo scopo di garantire che la decisione non fosse frutto esclusivamente del pensiero tecnico-giuridico del magistrato, e maggiormente improntata alla tutela del minore, rispetto al solo obbligo di audizione di periti di parte durante il procedimento.
L’ordinamento italiano prevede l’obbligo del contraddittorio in sede civile, mentre nel procedimento penale minorile il giudice inaudita altera parte può accogliere istanze di sospensione o decadenza dalla responsabilità genitoriale, presentate dal Pubblico Ministero.
Nel processo penale minorile, non è prevista la figura di un rappresentante processuale degli interessi del minorenne, e il giudice svolge contemporaneamente il ruolo di organo giudicante e portatore dell’interesse superiore del minore.

4. Conflitto di interesse e ricusazione


La legge non disciplina il conflitto di interessi potenziale, né prevede possibilità di ricusazione del collegio giudicante a garanzia del diritto dalla terzietà e imparzialità del giudizio.
I requisiti di indipendenza e terzietà non sono relativi neanche agli psicologi, le quali perizie sono necessarie per decidere l’affido, la relazione semestrale al Giudice Tutelare e il rinnovo dell’affidamento ogni due anni.


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5. Giudice competente


In merito alle azioni dirette a ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, la Corte ha affermato, nella sentenza n. 1349/2015, in relazione all’interpretazione dell’articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile (come modificato dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219), che la competenza appartiene al Tribunale per i minorenni, ma, quando sia in corso un giudizio di separazione, divorzio o un giudizio ai sensi dell’articolo 316 del codice civile, anche in pendenza dei termini per le impugnazioni e nelle altre fasi di quiescenza, sino al passaggio in giudicato, e le azioni siano proposte successivamente e richieste con un unico atto introduttivo dalle parti, in deroga a tale attribuzione, spetta al giudice del conflitto familiare, oppure al Tribunale ordinario e Corte d’Appello.
La Legge n. 219/2012 ha drasticamente ridotto la competenza del Tribunale per i minorenni, che è confermata esclusivamente per i provvedimenti in caso di condotta del genitore pregiudizievole ai figli (ex art. 333 c.c.), purché non sia in corso tra le parti un giudizio di separazione o divorzio o relativo all’esercizio della responsabilità genitoriale (ex art. 316 c.c.).
In questi casi, “per l’intera durata del processo la competenza spetta al giudice ordinario”.
Il comma 2 dell’articolo 38 attribuisce ogni restante provvedimento relativo a minorenni alla competenza del Tribunale ordinario, specificando che nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minorenni si applicano le disposizioni sui procedimenti in camera di consiglio (ex art. 737 c.p.c.), perché compatibili.
In questo modo, l’azione è attivata esclusivamente in forma scritta, e può essere promosso non più da chiunque, ma dai soggetti portatori di diritti o interesse legittimo, vale a dire, coloro che subiscono gli effetti diretti o riflessi del provvedimento.

6. Legittimazione attiva ad agire


È legittimato qualsiasi soggetto, anche non portatore di diritti o interessi legittimi verso il minorenne.
La denuncia dei maltrattamenti non è obbligatoria, il cittadino può scegliere per una segnalazione anonima (anche telefonica, e-mail) alle Forze dell’Ordine o ai Servizi Sociali.

7. Procedimento e impugnabilità dell’affido giudiziale


Dopo la segnalazione hanno l’obbligo di agire, e svolti i loro accertamenti preliminari, convocando genitori e minorenne, possono scegliere se non prenderla in considerazione oppure se trasmetterla per competenza alla Procura (le Forze dell’Ordine non possono trasmetterla ai Servizi Sociali per ulteriori accertamenti preliminari).
La Procura emette un mandato di indagine che autorizza i Servizi Sociali a proseguire nella loro attività con accertamenti presso insegnanti, compagni di scuola, pediatra, luoghi frequentati dal minore (senza mandato non hanno titolo per agire, pretendere risposte o documenti).
I Servizi Sociali ricevono dalla Procura un mandato di indagine, per convocare persone, effettuare verifiche e sopralluoghi, acquisire prove e documenti, ma non hanno il potere di revocare la responsabilità genitoriale, decisione che spetta sempre al collegio giudicante, sulla base di un parere non vincolante di medici, psicologi, privati cittadini sentiti in qualità di testimoni.
Le Forze dell’Ordine non indagano, supportano i Servizi Sociali se occorre reperire prove non testimoniali o se i Servizi Sociali non vengono ricevuti o non ottengono risposte sufficienti nel corso dei loro colloqui informali, o gli viene preclusa la possibilità di acquisire prove e accedere a luoghi per verifiche.
Il procedimento è in larga parte fondato su testimonianze, e la legge italiana non prevede la radiazione dall’albo degli avvocati che avallano consapevolmente false denunce, nonostante le implicazione nella vita del minorenne.
Il Decreto emesso dal Tribunale per i minorenni che impone l’affido del minorenne a una Casa Famiglia, spesso prevede esplicitamente la non definitività del provvedimento, in previsione del recupero delle capacità parentali di uno o di entrambi i genitori, non subordinati a specifiche azioni assegnate o a scadenze.
Con questa modalità, assume carattere di provvisorietà (senza una data ultima di validità) e di urgenza, ed è privo del requisito della decisorietà, vale a dire, non è idoneo a risolvere una controversia su diritti soggettivi o status perché revocabile e modificabile in ogni momento, per motivi originari e sopravvenuti.
In Corte d’Appello non può essere impugnato ma si può ricorrere con un reclamo, né può essere oggetto di ricorso in Cassazione.
Il decreto è immediatamente esecutivo e a volte la durata del decreto si estende per anni.
La disciplina è confermata dalla Legge n. 219/2012 (art. 38, comma 3): i provvedimenti sono presi in Camera di Consiglio sentito il Pubblico Ministero, immediatamente esecutivi, salvo indicazione contraria, e impugnabili con reclamo presso la Corte d’Appello.

8. Corte di Giustizia Unione Europea


La Corte di Giustizia Europea ha condannato più volte l’Italia in materia di Giustizia minorile, per gravi inadempienze. In particolare, si è rilevata:

  • Non garantire i diritti del padre non affidatario
  • La durata indefinita e inopponibilità di fatto dei Decreti di decadenza dalla potestà genitoriale
  • La possibilità di allontanamento forzato di un minore dai genitori naturali, anche sulla base di una segnalazione o denuncia anonima, senza possibilità di controdenuncia per diffamazione o calunnia, come deterrente agli abusi per motivi economici in assenza di maltrattamenti o altra condotta penalmente rilevante.
  • Lo Stato per evitare l’allontanamento paga un contributo giornaliero alle strutture ospitanti, che non viene erogato direttamente alla famiglia di origine per evitare l’allontanamento forzato del minorenne, e il trauma di una esecuzione coattiva
  • L’esistenza di Servizi sociali che non hanno né una potestà giurisdizionale né una funzione di Organo di Polizia Giudiziaria, e possono svolgere indagini con testimonianze, sopralluoghi e verifiche, che si possono sovrapporre alle Forze dell’Ordine.
  • A parte ad essere spesso incaricati di gestire gli incontri tra minorenne e genitore non affidatario, al termine del procedimento.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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