Misure coercitive associazione a delinquere: sussistenza esigenze cautelari

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In tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 416 cod. pen., come deve essere desunta la sussistenza delle esigenze cautelari rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo. Per approfondimenti sul tema delle esigenze cautelari, si rimanda al volume “Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia”, che ne tratta nel particolare.

Corte di Cassazione -sez. I pen.- sentenza n.386 del 7-11-2023

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Indice

1. La questione: sussistenza esigenze cautelari per misure coercitive


Il Tribunale di Catanzaro, in funzione di tribunale del riesame, rigettava una richiesta di riesame presentata avverso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro per il reato di partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina (art. 416, primo, secondo, terzo e sesto comma, cod. pen. – capo 1) e di quattro reati di concorso nell’immigrazione clandestina aggravata (artt. 81 cpv., 110 cod. pen., 12, comma 3, lett. a), b) e d), e comma 3-ter, d.lgs. n. 286 del 1998 – capo 11, capo 12 e capo 14), di cui uno tentato (artt. 56, 110 cod. pen., 12, comma 3, lett. a), b)e d), e comma 3-ter, d.lgs. n. 286 del 1998 – capo 13).
Ciò posto, avverso questo provvedimento la difesa dell’accusato proponeva ricorso per Cassazione deducendo, tra i motivi ivi addotti, anche uno con cui si contestava la sussistenza delle esigenze cautelari per le quali era stato disposto il provvedimento summenzionato. Per approfondimenti sul tema delle esigenze cautelari, si rimanda al volume “Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia”, che ne tratta nel particolare.

FORMATO CARTACEO

Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia

Aggiornato al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Riforma Cartabia) e alla L. 30 dicembre 2022, n. 199, di conv. con mod. del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 (Decreto Nordio), il presente volume è un’analisi operativa degli istituti del nostro sistema sanzionatorio penale, condotta seguendo l’iter delle diverse fasi processuali. Anche attraverso numerosi schemi e tabelle e puntuali rassegne giurisprudenziali poste in coda a ciascun capitolo, gli istituti e i relativi modi di operare trovano nel volume un’organica sistemazione al fine di assicurare al professionista un sussidio di immediata utilità per approntare la migliore strategia processuale possibile nel caso di specie. Numerosi sono stati gli interventi normativi degli ultimi anni orientati nel senso della differenziazione della pena detentiva: le successive modifiche del codice penale, del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario, la depenalizzazione di alcuni reati; l’introduzione dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto; la previsione della sospensione del processo con messa alla prova operata; le stratificate modifiche dell’ordinamento penitenziario. Con attenzione alla novità, normativa e giurisprudenziale, e semplicità espositiva, i principali argomenti trattati sono: la prescrizione; l’improcedibilità; la messa alla prova; la sospensione del procedimento per speciale tenuità del fatto; l’estinzione del reato per condotte riparatorie; il patteggiamento e il giudizio abbreviato; la commisurazione della pena (discrezionalità, circostanze del reato, circostanze attenuanti generiche, recidiva, reato continuato); le pene detentive brevi (sanzioni sostitutive e doppi benefici di legge); le misure alternative, i reati ostativi e le preclusioni; le misure di sicurezza e le misure di prevenzione. Cristina MarzagalliMagistrato attualmente in servizio presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea come Esperto Nazionale Distaccato. Ha maturato una competenza specifica nell’ambito del diritto penale e dell’esecuzione penale rivestendo i ruoli di GIP, giudice del dibattimento, magistrato di sorveglianza, componente della Corte d’Assise e del Tribunale del Riesame reale. E’ stata formatore della Scuola Superiore della Magistratura per il distretto di Milano.

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato fondato.
In particolare, gli Ermellini, dopo avere fatto presente che il pericolo di reiterazione, pur solidamente ancorato a elementi di fatto che il ricorso si limitava a disconoscere, non era declinato in termini di attualità a fronte delle critiche concernenti il superamento della presunzione relativa prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., osservavano come spetti al pubblico ministero di provare e al giudice di accertare l’attualità del vincolo associativo, quantomeno in termini di apparenza indiziaria, soprattutto in considerazione della natura delle associazioni per delinquere di tipo comune che, a differenza di quelle terroristiche e mafiose, non si basano, per comune esperienza, su vincoli intersoggettivi caratterizzati dalla sudditanza e soggezione, bensì sulla comunione di intenti nella generica programmazione di attività delittuose (in tema di associazione dedita al narcotraffico, si veda: Sez. 6, n. 3096 del 28/12/2017; Sez. 6, n. 29807 del 04/05/2017).
I giudici di piazza Cavour, di conseguenza, alla luce di tale indirizzo ermeneutico, formulavano il seguente principio di diritto: “In tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 416 cod. pen., la sussistenza delle esigenze cautelari, rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo, deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità, in quanto tale fattispecie associativa è qualificata unicamente dai reati fine e non postula necessariamente l’esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo previste per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., di talché risulta ad essa inapplicabile la regola di esperienza, elaborata per quest’ultimo, della tendenziale stabilità del sodalizio in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo”.
Ebbene, alla luce di tale approdo ermeneutico, preso atto che le argomentazioni difensive, che non avevano trovato, per la Corte di legittimità, specifica risposta, facevano leva, per dedurre il superamento della presunzione, sull’episodicità dell’apporto fornito, allo stato limitato a tre sole occasioni, e sul significativo lasso di tempo trascorso (quasi quattro anni), si giungeva alla conclusione secondo cui il ristretto ambito, nel quali si erano esplicati gli accertati contatti tra il ricorrente e gli altri sodali, il rilevante lasso di tempo trascorso dalla commissione dei reati-fine e la mancanza di una presunzione di ultrattività così prolungata del vincolo associativo comune, imponevano, nel rispetto dell’enunciato principio di diritto, uno sforzo motivazionale aggiuntivo per la verifica di attualità del pericolo di reiterazione, tenuto conto altresì del fatto che, da un lato, il pericolo di fuga era stato ritenuto in termini assai generici là dove, dandosi atto dei forti vincoli famigliari e territoriali esistenti, si era fatto leva unicamente sulla nazionalità del ricorrente per desumere che potesse sottrarsi al procedimento a suo carico, dall’altro, quanto sin qui esposto, sempre ad avviso degli Ermellini, rilevava pure in termini di adeguatezza e proporzionalità della misura.
L’ordinanza impugnata veniva, quindi, annullata (anche) sotto il profilo delle esigenze cautelari dovendo il giudice di rinvio, nella piena libertà delle proprie valutazioni di merito, procedere a colmare le rilevate lacune motivazionali.

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3. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito come deve essere desunta la sussistenza delle esigenze cautelari rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 416 cod. pen..
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 416 cod. pen., la sussistenza delle esigenze cautelari, rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo, deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità, in quanto tale fattispecie associativa è qualificata unicamente dai reati fine e non postula necessariamente l’esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo previste per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., di talché risulta ad essa inapplicabile la regola di esperienza, elaborata per quest’ultimo, della tendenziale stabilità del sodalizio in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo.
Di conseguenza, ove tale principio di diritto sia violato, ben si potrà impugnare il provvedimento che l’abbia disatteso nei modi previsti dal codice di procedura penale.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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