Delitti di attentato e tentativo di delitto al cospetto del principio di offensività

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Il presente contributo analizza l’importanza del principio di offensività sia in astratto che in concreto collocandolo nell’area della tipicità. In particolare ci si sofferma sul recupero in chiave costituzionale dei reati di pericolo come genus e dei delitti di attentato come species proprio grazie all’applicazione del principio di offensività come criterio guida, sia in fase di normazione che di interpretazione del caso concreto.

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Indice

1. Offensività in astratto e in concreto: l’inscindibilità tra tipicità e offensività

Il principio di offensività regola il sistema penale sia nella fase legislativa in sede di produzione delle norme penali, sia nella fase interpretativa-applicativa delle norme penali ai casi concreti corrispondenti al tipo, in sede di interpretazione e valutazione del caso concreto ad opera del giudice. Sebbene non abbia un riconoscimento costituzionalmente esplicito, il principio di offensività permea sia il precetto che la sanzione penale. Lo si ricava dall’interpretazione del co. II dell’art. 25 Cost., dove, nel disciplinare l’irretroattività della norma penale sfavorevole, si fa espresso riferimento alla commissione del fatto di reato, palesando la necessità di un’esternazione oggettiva del proposito criminoso capace di incidere e modificare la realtà naturale. Letto in questo senso, il principio di offensività si estrinseca nel principio di materialità che, a sua volta trova corrispondenza nell’impossibilità di muovere un rimprovero penale sulla base della mera intenzionalità o del mero accordo (a meno che non vi sia un’espressa previsione legislativa che deroghi a tale principio, come nel caso della fattispecie ex art. 304 c.p. che punisce l’accordo a commettere uno dei reati previsti dall’art. 302 c.p. che a sua volta punisce l’istigazione a commettere uno dei delitti non colposi dei capi I e II  del titolo I che prevedano l’applicazione dell’ergastolo o la reclusione) così come previsto dall’art. 115 c.p. Il nucleo centrale del principio di offensività però, non è ancorato al solo principio di materialità. L’esternazione dell’intenzione criminale in un fatto di reato, infatti, postula la realizzazione del tipo astratto con la diretta conseguenza della manifestazione dell’offesa punita penalmente, sulla base di un giudizio di valore espresso dal legislatore. Offensività e tipicità, dunque, sembrano condividere la stessa anima. Infatti, nessun fatto può dirsi tipico se non è offensivo e viceversa. Tale è l’approdo della migliore dottrina e della costante giurisprudenza sul punto ma, in passato, era in auge la teoria secondo la quale il principio di offensività non era ancorato alla tipicità del fatto, postulando due giudizi differenti, il primo sulla verifica del tipo, il secondo sulla verifica dell’offensività. Conseguenza di tale impostazione era la possibilità che si verificasse la manifestazione di un fatto tipico ma inoffensivo e per tale ragione non punibile.
L’interpretazione del principio di offensività in chiave costituzionalmente orientata, in un sistema penale che pone al centro della tutela il diritto fondamentale della libertà personale ex art. 13 Cost., la personalità della responsabilità penale e la funzione rieducativa della pena ex art. 27 Cost. ci fa propendere per l’impossibilità di scindere la tipicità dall’offensività, almeno sul pianto astratto [1].
Svincolare il principio di offensività dal tipo, infatti, comporta una discrasia valoriale e logica tra i principi che regolano la responsabilità penale e gli effetti che ne derivano, su tutti, l’adesione psicologica alle conseguenze sanzionatorie (funzione rieducativa della pena) in relazione al principio di proporzionalità delle pene e al più ampio principio della giustizia, in sede di percezione degli effetti sanzionatori. L’inscindibilità tra tipicità e offensività trova conferma nella disposizione dell’art. 49 c.p. disciplinante la supposizione di reato e il reato impossibile. L’evoluzione interpretativa in ordine al reato impossibile, dapprima considerato come l’estrinsecazione del tentativo ex art. 56 c.p. (c.d. doppione del tentativo in negativo) ci consente di apprezzare la ratio e l’utilità di tale disposizione che, da mero doppione di un istituto già disciplinato, diviene base legislativa del principio di offensività. Infatti, il co. II dell’art. 49 c.p. nel disciplinare il reato impossibile afferma che, appunto, il reato si considera impossibile e quindi non configurabile quando l’azione posta in essere è inidonea a produrre l’evento dannoso (evento in senso materiale) o il pericolo (evento in senso giuridico) o quando a causa dell’inesistenza dell’oggetto (materiale) dell’azione l’evento dannoso o il pericolo non possono prodursi. Se l’accostamento tra il principio di offensività e il fatto tipico postula un riferimento al principio di offensività in astratto, i requisiti dell’inidoneità dell’azione o dell’inesistenza dell’oggetto di quest’ultima postulano il riferimento al principio di offensività in concreto [2] dove, dall’esame della fattispecie si evince l’impossibilità di dissociare la tipicità e l’offensività anche sul piano concreto (concezione realistica del reato [3]). Nel caso del reato impossibile, infatti, si è al cospetto di una porzione del fatto tipico, l’azione che viene realizzata ma, che in concreto, per le modalità con cui è stata realizzata non raggiunge la soglia dell’offesa, sia essa prevista come evento o come pericolo (si pensi al falso grossolano [4] o al falso innocuo [5]) tale per cui non si configura alcun reato. Ne consegue che, nel giudizio valutativo concreto non è l’offensività che viene meno ma, a venir meno è il fatto tipico perché non offensivo. La possibilità di procedere con l’applicazione di un reato diverso, quando se ne rilevano gli elementi costitutivi, ricavabile dal III comma dell’art. 49 c.p. ci dimostra quanto fino ad ora affermato in tema di inscindibilità tra tipicità e offensività. In altre parole, l’inidoneità dell’azione o l’inesistenza dell’oggetto rende non configurabile quel particolare reato (hic et nunc) e solo dove i segmenti dell’azione posta in essere risultino rilevanti penalmente perchè conformi ad un tipo di reato diverso si può procedere penalmente per tale ultima fattispecie. In altre parole, nella valutazione in concreto si analizza dapprima una certa fattispecie risultante preponderante e se ne verificano gli elementi costitutivi. All’esito di tale valutazione si può addivenire ad un giudizio positivo e quindi si può procedere alla rilevazione del tipo oppure ad un giudizio negativo e quindi addivenire all’esclusione del tipo per cui si procede. Secondariamente, quando quegli stessi elementi presenti possano configurare una diversa fattispecie astratta da quella preponderante già valutata in negativo nel corso del primo giudizio in concreto, allora, in caso di esito positivo, si potrà procedere con la rilevazione della medesima. Tale schema è completamente diverso dallo schema che opera nel caso della non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis [6]. Infatti, già dalla denominazione ci si può rendere conto che l’art. 131 bis disciplina una causa di non punibilità o esimente e che, dunque, postula un giudizio valutativo da effettuarsi in un secondo momento rispetto a quello tenuto in sede di valutazione degli elementi costitutivi della fattispecie penale. In altre parole, nel caso del reato impossibile si opera nello schema della tipicità e si valuta l’esistenza o meno del tipo (offensivo). Invece, nel caso della non punibilità per particolare tenuità del fatto, si opera nello schema, appunto, della non punibilità il quale, segue logiche opportunistiche implicando un giudizio politico-criminale di non utilità nel perseguimento della punibilità di un fatto che è tipico anche perché offensivo, antigiuridico e colpevole. Ancora, nel reato impossibile non vi è alcuna offesa mentre nel caso dell’art. 131 bis l’offesa è presente ma, in considerazione della sua particolare tenuità, valutata secondo gli indici previsti dalla norma (modalità della condotta, gravità del danno o del pericolo, condotta susseguente al reato, non abitualità del comportamento) il legislatore, ponendosi in linea con le esigenze deflattive del contenzioso e in sintonia con il principio del diritto penale come estrema ratio, persegue lo scopo della rinuncia alla punibilità del reo in ragione dei benefici appena individuati [7].
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2. Delitti di attentato, reati di pericolo e tentativo: idoneità degli atti

Il pericolo è un modo in cui l’offesa può manifestarsi e richiede una valutazione prognostica in relazione alla possibilità che da un certo fatto possa derivarne un danno. I reati, infatti, si differenziano per la produzione di un danno e della messa in pericolo del bene giuridico secondo la logica della tecnica dell’anticipazione della tutela. In relazione all’importanza valoriale del bene giuridico e soprattutto in ordine alle peculiarità strutturali del medesimo, il legislatore sceglie di anticipare la tutela ad un momento che precede la produzione di un danno effettivo onde scongiurarne gli effetti particolarmente negativi e diffusivi. Nei reati di pericolo, almeno per quanto riguarda i reati di pericolo concreto, la verificazione del pericolo rappresenta l’offesa perché elemento costitutivo del fatto tipico. I reati di pericolo concreto presuppongono quindi un giudizio di valutazione e di accertamento in concreto da parte del giudice, che dovrà verificarne la realizzazione anche se in via ipotetica seguendo un giudizio ex ante in ordine alla verifica della possibilità di aggressione/danno al bene giuridico tutelato. Per tutte queste caratteristiche, i reati di pericolo concreto sono ritenuti dalla giurisprudenza prevalente conformi e quindi compatibili con il principio di offensività. Infatti, è proprio l’elemento della valutazione in concreto che consente di ponderare la carica offensiva del pericolo in ordine al fine di tutela del bene giuridico specifico. La condizione di non essere al cospetto di un fatto materiale, estrinsecato nell’area della fenomenologia non deve indurre l’interprete a rifuggire da tale tipologia di tutela penale. A ben vedere, l’evento materiale del reato, nel caso dei reati a pericolo concreto non comporta l’assenza di un evento tout court, perché il nostro ordinamento conosce anche l’evento in senso giuridico e tale può dirsi il pericolo concreto innescato dalla condotta posta in essere. In altre parole, nello schema del fatto tipico dei reati di pericolo si ha la condotta della messa in pericolo che si caratterizza per essere offensiva e l’evento in senso giuridico del pericolo concreto. Cosa diversa avviene nel caso dei reati di pericolo astratto nei confronti dei quali non si richiede al giudice di compiere alcuna valutazione, essendo il pericolo un requisito che non appartiene all’area della tipicità del reato e che viene valutato direttamente in sede legislativa. In dottrina vi è chi considera i reati di pericolo astratto come alter ego dei reati di pericolo presunto e chi li diversifica. Ad avviso di chi scrive, sebbene vi sia una forte similitudine il pericolo astratto va distinto dal pericolo presunto non in termini sostanziali ma, in termini procedurali. In altre parole, nelle fattispecie di pericolo astratto dove il giudizio della valutazione è svolta esclusivamente dal legislatore si innesca quel particolare meccanismo della scindibilità tra tipicità e offensività di cui si accennava poc’anzi. Invero, partendo dal presupposto che non vi può essere tipicità senza offensività, anche nel caso dei reati di pericolo astratto non può ammettersi la scindibilità ma, nella fase della valutazione del caso concreto e quindi della sussunzione della fattispecie astratta nel caso specifico ben può verificarsi la situazione in cui, quella valutazione del pericolo/offesa svolta dal legislatore in astratto non trovi riscontro nel caso concreto. In tali casi, si desume che il pericolo astratto delineato dal legislatore sia in realtà solo presunto tale per cui, a seguito del giudizio sull’offensività in concreto non se ne rileva la verificazione facendo venir meno il tipo.Lo schema dei reati di pericolo è proprio dei reati di attentato come ad esempio gli artt. 241, 283, 289, 280, 280 bis, fattispecie tutte accomunate dall’anticipazione della tutela in ordine alla gravità sia delle condotte previste che degli effetti negativi che possono derivarne, in relazione all’importanza del bene giuridico tutelato. Tali fattispecie sono state riformulate a seguito dell’importante intervento modificativo ad opera della legge n. 85 del 2006 sulla modifica ai reati di opinione la quale, ha apportato il requisito della direzione univoca e idonea degli atti a provocare l’evento giuridico (pericolo) punito. Il punto cruciale è individuare la soglia dell’offesa in concreto. Per tale valutazione viene in soccorso la disciplina del tentativo, tale per cui tali fattispecie sono ritenute incompatibili tra loro. Infatti, per valutare i delitti di attentato si tende a valutare le fattispecie astratte secondo la logica che si applica per valutare la struttura del tentativo. Orbene, sia i delitti di attentato, che i delitti tentati appartengono alla classe dei reati di pericolo (si rammenti che il tentativo costituisce un reato autonomo dipeso dalla combinazione della fattispecie generale dell’art. 56 c.p. in combinato alle fattispecie dei delitti dolosi di parte speciale) ed entrambi rispondono all’esigenza di anticipare la tutela penale. Nel caso dei delitti di attentato l’anticipazione della tutela risponde ad esigenze emergenziali mentre nel caso del tentativo risponde ad esigenze di repressione delle condotte offensive generate da un serio proposito criminoso che richiede un intervento di protezione. E’ opinione maggioritaria quella di considerare rilevanti, ai fini del tentativo non solo gli atti strettamente esecutivi ma, anche tutti quegli atti preparatori che si manifestino secondo lo schema dell’art. 56 c.p. e cioè che abbiano i requisiti della direzione e dell’univocità da valutarsi in concreto secondo il criterio della prognosi postuma a base parziale, onde verificare la reale messa in pericolo del bene tutelato nel rispetto del principio di offensività (cfr. Cass. Sez. V, n. 33938 del 2022). La valutazione in concreto sarà, quindi, svolta sull’analisi della condotta posta in essere anche in ordine alla finalità della medesima e la relativa idoneità a realizzare il pericolo di aggressione al bene giuridico protetto dalla norma violata (tutte le condizioni presenti al momento della condotta conosciute e/o conoscibili dall’agente). Per essere ritenuti rilevanti ai fini del tentativo [8], quindi, gli atti preparatori devono essere tali da esternare sul piano fenomenico almeno l’inizio della realizzazione del proposito criminoso dell’agente, c.d. punto di non ritorno. Ne consegue che, anche per i delitti di attentato non rilevano i meri atti preparatori nel rispetto della materialità del fatto in relazione al principio di offensività. Tanto è dimostrato dalle scelte del legislatore ed in particolare nel punire proprio gli atti preparatori nei casi disciplinati dagli artt. 304, 305, 306 c.p. facendo eccezione al principio generale opposto ex art. 115 c.p.
Sul piano della valutazione, la tecnica seguita per distinguere i meri atti preparatori da quelli idonei è legata alla c.d.natura interrelazionale dell’atto preparatorio. In altre parole, l’ordinamento riconosce rilevanza a tutti gli atti capaci di produrre effetti diffusivi o intersoggettivi. Proprio il grado di diffusività in concreto è il criterio che ha permesso di salvare la fattispecie dell’apologia e dell’istigazione a commettere reati ex art. 414 c.p. dall’illegittimità costituzionale per contrarietà al principio di offensività-materialità.

3. Conclusione

Il principio di necessaria offensività permea l’intero sistema penalistico guidando dapprima il legislatore nella formulazione della norma penale e secondariamente l’interprete (giudice) nella valutazione in concreto nell’atto di sussumere la fattispecie concreta in quella astratta. Si è avuto modo di vedere come l’offensività sia imprescindibilmente un connotato intrinseco del fatto tipico, tale per cui non può esistere tipicità senza offensività. Proprio grazie al principio di offensività e agli interventi normativi e giurisprudenziali che ne hanno fatto applicazione, si è proceduto a rivalutare in ottica costituzionalmente orientata tutte quelle fattispecie di dubbia legittimità costituzionale, su tutti i reati di opinione, i delitti di attentato e in considerazione del genus i reati di pericolo. Ne consegue che, nessuna fattispecie può configurarsi senza che si estrinsechi in un’offesa, sia essa di danno che di pericolo al bene giuridico tutelato. In particolare, i reati di pericolo astratto hanno trovato legittimazione costituzionale proprio grazie all’applicazione del principio di offensività in concreto.

Note

  1. [1]

    Il principio di offensività in astratto si rivolge a regolare l’esercizio della funzione legislativa in fase di creazione della norma penale.

  2. [2]

    L’analisi dell’offensività in concreto nel caso del reato impossibile, permette di agganciare tale fattispecie al delitto tentato almeno in considerazione della coincidenza degli elementi comuni in astratto (no riferimento alle contravvenzioni non rientranti nell’area dell’applicazione del tentativo). Appurata la coincidenza strutturale in astratto, secondo un noto filone dottrinale il reato impossibile si erge ad antecedente logico giuridico del tentativo. Infatti, nel caso in cui gli atti posti in essere siano idonei ad innescare parte dell’azione delittuosa si esce dallo schema del reato impossibile per entrare quantomeno in quello del delitto tentato. A seconda, poi, dello sviluppo dell’azione, si resterà nell’area del delitto tentato oppure in quello del delitto consumato. Si ricorda, inoltre, che tale giudizio valutativo si effettua ex ante. L’interprete dovrà collocarsi mentalmente al momento della commissione degli atti-azione e verificarne l’idoneità o meno. Discusso è il tipo di giudizio da dover tenere se, cioè a base parziale (considerare solo gli elementi conosciuti e conoscibili dall’agente) o a base totale (considerare tutti gli elementi presenti).

  3. [3]

    La concezione realistica del reato postula la possibilità di scindere tipicità e offensività in sede di valutazione concreta della fattispecie astratta.

  4. [4]

    La grossolanità della contraffazione che dà luogo al reato impossibile si verifica solo quando il falso sia riconoscibile “ictu oculi” da qualsiasi persona di comune discernimento ed avvedutezza, tenendo conto non solo delle caratteristiche oggettive della banconota, ma altresì del suo normale uso e delle modalità e circostanze del suo scambio (Cass. pen., sez. V, 18 febbraio 2020, n. 15122).

  5. [5]

    E’ innocuo, e quindi non punibile per inidoneità dell’azione, il falso, sia ideologico che materiale, che determina un’alterazione irrilevante ai fini dell’interpretazione dell’atto, non modificandone il senso (Cass. pen., sez. V, 19 giugno 2008, n. 38720).

  6. [6]

    L’istituto della non punibilità per la particolare tenuità del fatto ha subito una recente modifica ad opera della l. 134 del 2021 attuata dal d. LGS. 150 del 2022 (Riforma Cartabia) intervenuta sul limite di pena che dal massimo di 5 anni è passato al minimo di 2 anni e sulla rilevanza della valutazione della capacità a delinquere ex art. 133 co. II e nella specie del comportamento susseguente al reato in sede di analisi della tenuità dell’offesa (requisito che si aggiunge alle modalità della condotta e alla gravità del danno o del pericolo) cumulativamente al requisito della non abitualità del comportamento. In particolare il requisito del non superamento del limite minimo di pena pari a 2 anni è stato introdotto come correttivo alla disarmonia venutasi a creare con il precedente limite del non superamento del massimo della pena pari a 5 anni che comportava la non applicazione della causa di non punibilità ai reati privi di un limite minimo edittale. Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale sent. n. 156 del 2020, che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale in occasione della valutazione del co. II art. 648 della fattispecie di ricettazione.  La disposizione dell’art. 131 bis disciplina una causa di non punibilità in senso stretto avente natura soggettiva e pertanto non estensibile ai correi. Essendo l’intervento modificativo in ordine alla valutazione del comportamento susseguente al reato, favorevole al reo perché amplia l’area della non punibilità, si fa applicazione del IV co. dell’art. 2 con il limite del giudicato.

  7. [7]

    Recupero della teoria utilitaristica del diritto penale il cui principale sostenitore è J. Bentham.

  8. [8]

    In relazione all’analisi della condotta tenuta ai fine della configurabilità del tentativo rilevano, perché previste, sia la desistenza volontaria che il recesso attivo. Entrambe le condotte sono valutate solo se frutto della spontanea ed autonoma volontà del soggetto agente. La desistenza (tentativo incompiuto) opera se l’agente abbandona il proposito criminoso intervenendo sul decorso causale disinnescandolo e comporta l’esclusione della punibilità (causa sopravvenuta di non punibilità). Il recesso attivo o pentimento operoso (tentativo compiuto) opera se l’agente dopo aver innescato il decorso causale si attiva per impedire l’evento a cui segue un’ulteriore riduzione di pena (circostante attenuante).

Francesca Fuscaldo

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