Traffico di influenze, mediazione illecita e vuoti a rendere

Lara Farinon 29/04/24
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Il reato di traffico di influenze è nato per colpire soprattutto la zona grigia e la contiguità tra le consorterie mafiose con la pubblica amministrazione. Tuttavia non esiste una normativa che argini le mediazioni illecite né che disciplini le attività di lobby. Il recente dl 808/2023 sembra svuotare ulteriormente la normativa, abrogando l’abuso d’ufficio e restringendo sensibilmente i casi di applicazione del traffico di influenze, con gravi criticità.

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Indice

1. Normativa

Nel tentativo di tutelare la correttezza, l’autonomia, l’imparzialità e il buon funzionamento della Pubblica Amministrazione, è stato introdotto il reato di traffico di influenze con L. 190/2012. La formulazione dell’art. 346-bis c.p. era volta a sopperire alle inefficienze dell’allora vigente art. 346 c.p. In tal senso, l’ipotesi delittuosa ivi prevista, rubricata “millantato credito” ed abrogata con la L. n. 3/2019, puniva il privato che, millantando un credito nei confronti di un pubblico ufficiale, “si faceva dare o promettere denaro od altra utilità come prezzo della propria mediazione”.
Il traffico di influenze viene commesso da chi svolge attività di intermediazione illegale su pubblici ufficiali ed è disciplinato dall’art.346 bis codice penale. La norma è diretta a tutelare la p.a. dal mercimonio diretto o indiretto delle pubbliche funzioni in una fase prodromica. Dunque, commette il reato di traffico di influenze illecite “chiunque sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri
Si evidenzia che, a rigurardo dell’ abrogato art.346 e il vigente art.346bis, recentemente le Sezioni Unite si sono pronunciate [1] stabilendo che non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito corruttivo di cui all’articolo 346, comma 2, del Codice penale, formalmente abrogato dall’articolo 1, comma 1, lettera s), della legge 3/2019 (cosiddetta “spazzacorrotti) e il delitto di traffico di influenze illecite di cui all’articolo 346-bis del Cp, come rinovellato dall’articolo 1, comma 1, lettera t), della stessa legge n. 3/2019.
Il traffico di influenze prevede una specie di triangolazione, cioè tre soggetti: il mediatore (spesso chiamato “faccendiere”), il committente della mediazione (un soggetto privato) e il pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Un reato molto prossimo e infatti incorporato con quello previsto dall’abrogato articolo 346cp, compiuto dal millantatore che però, a differenza del “faccendiere”, non può disporre realmente di una relazione con il pubblico ufficiale.
Si distingue da concussione (art. 317 c.p.), in cui un pubblico ufficiale si fa dare o si fa promettere, per sé o per altri, denaro o un altro vantaggio anche non patrimoniale, abusando della propria posizione; e da corruzione (art. 318 c.p.) in cui il pubblico ufficiale riceve indebitamente, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa.
Il traffico di influenze è difficile da dimostrare, perchè penalmente rileva il raggiungimento di un accordo che ha come obiettivo corrompere un soggetto pubblico, a prescindere che poi l’attività di mediazione abbia buon esito e che il soggetto pubblico compia un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio. La ratio della norma è preventiva: interviene cioè prima che l’accordo sull’influenza illecita abbia le sue conseguenze. Dall’art. 346bis possono emergere due ipotesi di reato. La prima è che il “faccendiere” si faccia pagare da un privato per influire sull’attività di un pubblico ufficiale, attuando un’attività di mediazione, ossia di lobbying (fino a prova contraria non illegale), in cui si tenta di convincere per esempio un parlamentare della bontà pubblica di una determinata decisione. Fino a che punto? L’art. 346bis dice che si configura un reato quando l’attività viene svolta in maniera “indebita”, ciò significa che la condotta per diventare penalmente illecita deve già esserlo di per sé. Tuttavia, per poter riscontrare un illecito ci vuole una legge che chiarisca quando lo si può considerare tale. Attualmente detta indicazione è inesistente, con la conseguenza che spetta al magistrato colmare, con ampi margini di discrezionalità, il vuoto normativo. Il confine tra il reato in questione e il lobbying lecito, cioè le attività di mediazione, è indefinito.
Il reato di traffico di influenze illecite si basa sul concetto di mediazione illecita, ma senza che in Italia esista ad oggi una legge che ne spieghi i tratti identificativi. L’attesa regolamentazione delle attività di lobbying si dovrebbe inserire proprio all’incrocio tra la salvaguardia del diritto alla libertà di associazione e partecipazione, con l’eliminazione delle opportunità di corruzione. Il lobbying lecito dovrebbe rappresentare un atto di partecipazione politica; rientrando anche nella più ampia definizione di “advocacy”, adottata da organizzazioni della società civile e da gruppi senza scopo di lucro, o di attivismo, che è una risposta della cittadinanza alle decisioni delle autorità pubbliche. Tuttavia, l’accesso impari e non trasparente ai decisori pubblici ha portato il lobbying ad essere percepito come l’influenza sul processo decisionale da parte di interessi potenti.
Secondo la definizione contenuta nella raccomandazione del Consiglio d’Europa, con “lobbying” si dovrebbe intendere la promozione di interessi specifici attraverso la comunicazione con un funzionario pubblico nell’ambito di un’azione strutturata e organizzata volta a influenzare il processo decisionale pubblico.
Nel concreto, i gruppi spesso riescono ad esercitare un’influenza sulle decisioni prese dalle istituzioni in linea con i propri interessi, che non sono interessi rappresentativi di maggioranza o etica, ma settoriali e specifici. E’ un’attività che solitamente viene svolta da professionisti che possiedono una conoscenza approfondita del contesto politico di riferimento. Si tratta, infatti, di lobbisti provenienti da esperienze politiche, vertici apicali, quadri e dirigenti, o dai ranghi della burocrazia. La mancata disciplina del fenomeno, favorisce il proliferare della corruzione e dell’ambiguità delle lobbies. La maggior parte dei paesi europei, americani e canadesi, da tempo ne ha regolamentato l’attività, istituendo un albo dei professionisti; ha emanato codici etici, delineando con maggiore precisione la linea di confine tra la rappresentanza degli interessi lecita e la mediazione illecita.
La seconda ipotesi di reato, nel traffico di influenze, è quella in cui il mediatore riceve del denaro anche per corrompere il pubblico ufficiale, anche se il denaro fornito al mediatore per corrompere il funzionario pubblico non è stato effettivamente consegnato o promesso a quest’ultimo. E’ un’attività “preparatoria” del delitto di corruzione, che quindi non si completa. La norma così formulata palesa ambiguità e preoccupanti vie di fuga in relazione alla certezza del diritto. Manca uno spazio applicativo definito: per quanto concerne il range della mediazione (una legge che fissi le categorie di lecito e illecito) e per la rintracciabilità della corruzione preparata – ma non consumata. L’attuale disposizione è poco incisiva e non riesce di fatto a concretizzare sentenze di colpevolezza (secondo le statistiche, circa 1 su 3). Nel traffico d’influenze illecite converge quell’ampio e variegato microcosmo di condotte che preparano la corruzione, per questo viene definito “fenomeno precorruttivo” [2].
La Corte di Cassazione con la recente sent. 1182/2022 ha ritenuto che in assenza di una regolamentazione legale dell’attività dei gruppi di pressione, la illiceità della mediazione non può che trarsi dallo scopo dell’influenza, che deve consistere nella commissione di un illecito penale idoneo a produrre vantaggi al committente. “[…] in assenza di una disciplina organica del lobbismo, volta a disciplinare le modalità abusive di contatto tra mediatore e pubblico agente e, quindi, in mancanza di riferimenti chiari volti a definire la illiceità modale della mediazione, il connotato di illiceità della mediazione onerosa deve essere correlata allo scopo, alla finalità dell’attività d’influenza. Un reato, quello inquinante la mediazione, che potrà essere individuato con un quantum probatorio – dimostrativo della finalità perturbatrice della pubblica funzione, variabile in ragione dello stato del procedimento. Un accertamento che deve essere compiuto caso per caso; potranno assumere rilievo il movente della condotta del privato compratore, il senso, la portata ed il tempo della pretesa di questi, la condotta in concreto che il mediatore assume di dover compiere con il pubblico agente, il rapporto di proporzione tra il prezzo della mediazione ed il risultato che si intende perseguire, i profili relativi alla illegittimità negoziale del contratto”.
Per rimediare a questo gap normativo, il 12/01/2022 la Camera dei deputati ha approvato un disegno di legge che disciplina l’attività di lobbying, le cui disposizioni non si applicano in ogni caso all’attività di rappresentanza di interessi particolari svolta da enti pubblici, anche territoriali, o da associazioni o altri soggetti rappresentativi di enti pubblici, nonché dai partiti o movimenti politici, né alle attività svolte da esponenti di organizzazioni sindacali e imprenditoriali [3]. La proposta prevede l’istituzione del Registro per la trasparenza dell’attività di rappresentanza di interessi presso l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, cui i soggetti che intendono svolgere attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi hanno l’obbligo di iscriversi. Sempre presso l’Antitrust è istituito un Comitato di sorveglianza sulla trasparenza dei processi decisionali pubblici, con funzioni di controllo e di irrogazione delle sanzioni amministrative previste dal testo; emanazione di un codice deontologico; relazione annuale alla Camera che dia conto dei contatti posti in essere, degli obiettivi conseguiti e dei soggetti interessati. Il Senato ha approvato l’istituzione di un registro per lobbysti il 1/05/2022.
Quello del traffico d’influenze illecite e del confine con il lobbying è tema di rilevanza strategica perché attiene alla qualità e all’efficacia dei processi decisionali pubblici. La parola Lobby deriva dal latino “laubia”, che indicava la loggia, la tribuna del pubblico. Nomen omen, è anche il salone principale di una banca dove si svolgono le operazioni di sportello per il pubblico. Con il passare dei secoli, l’anticamera del parlamento – inteso come sala – va a coincidere metaforicamente con il gruppo di persone che esercitano un’influenza o una pressione. Diventa quindi il gruppo che agisce ed influenza le decisioni parlamentari, quindi il potere nel senso più ampio.
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2. Il nuovo traffico di influenze: la riforma ddl Nordio

Il 19 Luglio 2023 è stato presentato il disegno di legge n. S. 808, a firme del Ministro della Giustizia Carlo Nordio e del Ministro della Difesa Guido Crosetto, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare”. Tra i temi oggetto del ddl si rilevano in particolare l’abolizione del delitto di abuso d’ufficio; riformulazione del delitto di traffico di influenze illecite; modifica della disciplina delle intercettazioni; modifica della disciplina della custodia cautelare in carcere; modifica della disciplina dell’informazione di garanzia; esclusione dell’appello del pubblico ministero contro le sentenze di proscioglimento nei procedimenti per reati a citazione diretta.
Il disegno di legge in esame, con l’art. 1, comma 1, let. e) riscrive integralmente l’art. 346bis c.p. La riforma riduce significativamente l’ambito di applicazione del traffico di influenze illecite, reato introdotto dalla legge Severino per colpire la zona grigia tra criminalità e politica. L’odierna formulazione dell’art. 346bis c.p. punisce chi, “sfruttando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale, ovvero per remunerarlo, in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri”.
Il ddl restringe i criteri, prevedendo che le relazioni tra il mediatore e il pubblico ufficiale debbano essere “esistenti” e non più anche solo “asserite”. Ciò comporta un arretramento complessivo sul piano della tutela degli interessi che erano stati in passato presidiati dal delitto di cui all’art. 346c.p.; le condotte, infatti, di vendita di fumo resteranno per la maggior parte punibili, ma con la fattispecie generale della truffa di cui all’art. 640c.p., che prevede una sanzione più lieve di quella dell’abrogato reato ed è procedibile a querela di parte [4]. Anche l’elemento psicologico viene modificato, lo sfruttamento delle relazioni deve avvenire “intenzionalmente”, escludendo quindi la punibilità in caso del dolo eventuale. E’ elevato il minimo edittale da un anno ad un anno e sei mesi, ma l’ambito applicativo del traffico di influenze viene limitato a condotte particolarmente gravi. Per contro, resta inalterata la previsione del massimo edittale (4 anni e sei mesi), per il quale, invece, un aumento di pari entità avrebbe portato la pena a cinque anni, con un effetto rilevante sul piano pratico, perché avrebbe reso possibile l’utilizzo dello strumento investigativo delle intercettazioni telefoniche ed ambientali. Inoltre, l’art. 1, comma 1, let. c) propone di inserire nel catalogo dei reati per i quali sono applicabili le atenuanti di cui all’art. 323-bis, commi 1 e 2, c.p. anche il delitto di traffico di influenze illecite, con possibilità di beneficiare di riduzione di pena nel caso di comportamenti collaborativi del trafficante o del trafficato. Con l’art. 1, comma 1, let. d), estende anche al traffico di influenze l’operatività  della causa di non punibilità, introdotta dalla legge spazzacorrotti e prevista dall’art. 323-ter c.p. a seguito di autodenuncia ed in presenza di determinate condizioni.
L’utilità data o promessa deve essere “economica”: non basterà più uno scambio di favori non monetizzabile. Il CSM sottolinea la riformulazione del concetto di “utilità”, poiché escludere dal reato i favori “non economici”, si legge, significa causare “un disallineamento” rispetto alla corruzione, cioè proprio il reato che si vorrebbe prevenire colpendo il traffico d’influenze. La corruzione, infatti, sussiste quando il pubblico ufficiale accetta dal privato una qualsiasi “utilità” (anche sociale, relazionale o di altro tipo) in cambio del compimento di un atto. In questo senso, evidenzia il CSM, la riscrittura della fattispecie “non risulta in linea” nemmeno con gli “strumenti normativi internazionali e euro-unitari” che la prevedono [5]. Nella normativa internazionale la promessa, offerta o dazione è di “an undue advantage – indebito vantaggio” non qualificato in termini economici o patrimoniali. Inoltre, la Commissione Europea ha depositato una proposta di Direttiva [6] del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla lotta alla corruzione che punta ad aggiornare le norme dei Paesi dell’Unione in materia. Nella proposta di direttiva Ue si specifica perfino che il vantaggio può essere “di qualsiasi natura”. L’art. 10 della Proposta UE (Trading in infuence) stabilisce che affinché la condotta sia punibile come reato è irrilevante che l’influenza sia esercitata o meno o che la presunta influenza porti o meno ai risultati voluti (it shall be irrelevant whether or not the influence is exerted or whether or not the supposed influence leads to the intended results).
Infine, e soprattutto, la nuova norma definisce nel comma 2 del riscritto art. 346bis c.p il concetto di “mediazione illecita”, che è tale solo se finalizzata a commettere un reato. Nella nuova formulazione per integrare la mediazione illecita devono quindi essere verificati contestualmente tre elementi: 1) essere finalizzata ad ottenere un atto contrario ai doveri di ufficio da parte del funzionario pubblico, 2) la sussumibilità dell’atto in una qualsiasi fattispecie di reato e 3) un effetto vantaggioso e indebito per il trafficato committente. In questo modo, però, potrebbe non essere punibile, ad esempio, una mediazione onerosa fnalizzata ad una corruzione funzionale (art. 318 c.p.), attuata senza che si prefiguri per il funzionario trafficato il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio [7].
In particolare emerge un altro grave cortocircuito. Considerando che il reato-fine delle mediazioni illecite, quando c’è, è quasi sempre l’abuso d’ufficio, diventa inapplicabile nel momento in cui lo stesso ddl abroga proprio il reato di abuso d’ufficio. Nel parere del Consiglio Superiore della Magistratura [8] si legge che “ad apparire distonico nel contesto complessivo della riforma è il fatto che il legislatore, nel momento stesso in cui individua quale elemento costitutivo della mediazione l’induzione alla commissione di un altro reato, sceglie altresì di abrogare l’ipotesi tipica di reato commesso dal pubblico ufficiale su spinta del mediatore”: cioè, appunto, l’abuso d’ufficio. Dunque, il combinato disposto delle due norme “determina l’irrilevanza penale” del pagamento o della promessa di denaro “a un mediatore che si adoperi per far compiere al pubblico ufficiale un atto contrario ai doveri d’ufficio”, anche se l’atto illecito viene effettivamente compiuto. In questo modo “diventa lecito, per esempio, il pagamento di una somma di denaro a un soggetto per spingere su un magistrato perché decida in un modo piuttosto che in un altro; o il pagamento anche di una grossa somma di denaro a chi promette una raccomandazione nei confronti di un componente di una commissione di un concorso pubblico” [9]. Per contro, con tale disposto si tratteggia anche una disciplina delle lobbies, diventando quindi lecito tutto ciò che non rientra nella “mediazione illecita” come definita da ddl.
Nonostante le gravi e profonde criticità, a febbraio 2024 il testo del ddl 808/2023 è stato comunque approvato al Senato ed è in discussione alla Camera.

Note

  1. [1]

    Cass., sez. II, 28 giugno 2023 (dep. 19 luglio 2023), n. 31478, Beltrani, Presidente, Saraco, Relatore

  2. [2]

    Procuratore De Nozza, anche professore nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Lecce e Scuola Superiore della Magistratura, intervento al Master di secondo livello in Management delle pubbliche amministrazioni, Università degli Studi di Milano, 27 maggio 2023

  3. [3]

    Disciplina dell’attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi

  4. [4]

    R. Cantone audizione in Commissione giustizia del Senato

  5. [5]

    Convenzione penale di Strasburgo del Consiglio d’Europa, Convenzione di Mérida delle Nazioni unite, direttiva anticorruzione proposta dalla Commissione europea dopo lo scandalo Qatargate

  6. [6]

    Bruxelles, 3.5.2023 2023/0135 (COD) Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla lotta contro la corruzione, che sostituisce la decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio e la convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione europea, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio

  7. [7]

    M. Gambardella, L’abrogazione dell’abuso d’ufficio e la riformulazione del traffico d’influenze nel “disegno di legge Nordio; R. Cantone e A. Milone, le modifiche al traffico di influenze da parte del ddl Nordio

  8. [8]

    CSM- Richiesta del Ministro della Giustizia, ai sensi dell’art. 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195, di parere sul testo del disegno di legge AS n. 808 recante: “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare” (delibera 21 febbraio 2024)

  9. [9]

    R. Cantone Procuratore di Perugia ed ex presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, in audizione sul ddl in Commissione Giustizia al Senato

Lara Farinon

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