Quali sono le cause di estinzione del reato?

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Il codice penale prevede una serie di cause che permettono al reato di estinguersi, cioè di eliminare qualunque pretesa punitiva dello Stato e operano antecedentemente la sentenza di condanna.

Per approfondimenti si consiglia: La Riforma Cartabia nel sistema sanzionatorio penale

Indice

1. Morte del reo prima della condanna

Ai sensi dell’art. 150 c.p. “la morte del reo avvenuta prima della condanna estingue il reato“. Questo implica che subentrerà una impossibilità di accertamento della colpevolezza dell’imputato, pur rimanendo invariate le obbligazioni civili derivanti dal reato, che faranno capo agli eredi.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito anche un importante principio secondo il quale “in caso di inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza assolutoria, il proscioglimento nel merito prevale sulla estinzione del reato per morte sopravvenuta dell’imputato, sia per il valore prioritario da attribuire alla presunzione di non colpevolezza ex art. 27, comma secondo, Cost., sia perché alla dichiarazione della predetta causa estintiva non conseguono effetti liberatori, quanto alle obbligazioni civili derivanti dal reato” (Cass. sent. n. 3497/2022).

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2. Amnistia propria

Ai sensi dell’art. 151 c.p. “l’amnistia estingue il reato, e, se vi è stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie.
Nel concorso di più reati, l’amnistia si applica ai singoli reati per i quali è conceduta.
La estinzione del reato per effetto dell’amnistia è limitata ai reati commessi fino a tutto il giorno precedente la data del decreto, salvo che questo stabilisca una data diversa.
L’amnistia può essere sottoposta a condizioni o ad obblighi.
L’amnistia non si applica ai recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99, né ai delinquenti abituali, o professionali o per tendenza, salvo che il decreto disponga diversamente
“.
La differenza con l’indulto (istituto spesso affiancato all’amnistia) risiede nel fatto che questo non estingue il reato, bensì solo la pena.
Ai sensi dell’art. 79 Cost. “l’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale.
La legge che concede l’amnistia o l’indulto stabilisce il termine per la loro applicazione.
In ogni caso, l’amnistia e l’indulto non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge
“.
Gli effetti dell’amnistia sono, quindi, da ricondursi al venir meno della possibilità di infliggere qualsiasi tipo di sanzione per effetto dell’estinzione del relativo reato.
Inoltre, in seguito alla sentenza n. 175/1971 della Corte Costituzionale con cui è stato dichiarato incostituzionale l’art. 151 c.p. per violazione del diritto di difesa nella parte in cui non si prevedeva la generale possibilità di rinuncia dell’imputato all’applicazione dell’amnistia è possibile scegliere di rinunciare esplicitamente all’amnistia.

3. La remissione di querela

Una volta presentata una querela, intesa come manifestazione di volontà di far perseguire un determinato reato, il querelante può manifestare anche la volontà opposta, cioè quella di rinunciare al perseguimento del reato stesso attraverso la remissione della stessa.
La rinuncia può essere tanto processuale quanto extraprocessuale e può intervenire solo prima della sentenza di condanna.
Può essere anche tacita, a norma dell’art. 152 c.p.:
– quando il querelante, senza giustificato motivo, non compare all’udienza alla quale è stato citato in qualità di testimone;
– quando il querelante ha partecipato a un programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo; nondimeno, quando l’esito riparativo comporta l’assunzione da parte dell’imputato di impegni comportamentali, la querela si intende rimessa solo quando gli impegni sono stati rispettati.
Se tale rinuncia viene accettata dal querelato, il reato per cui si procede si estingue.
Nel caso in cui la querela venga proposta da più persone, a norma dell’art. 154 c.p., “il reato non si estingue se non interviene la remissione di tutti i querelanti”, mentre, se tra più persone offese dal reato solo una di queste ha proposto la querela “la remissione che questa ha fatto non pregiudica il diritto di querela delle altre“.
Ai sensi dell’art. 155 c.p., inoltre, può esserci ricusa tacita da parte del querelato quando questo ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di accettare la remissione.
La remissione fatta a favore anche di uno soltanto fra coloro che hanno commesso il reato si estende a tutti, ma non produce effetto per chi l’abbia ricusata.

4. La prescrizione

La prescrizione è un istituto che collega l’estinzione del reato al decorso del tempo: lo Stato affievolisce il suo interesse a punire un soggetto quando sia trascorso troppo tempo dalla commissione del reato, da valutare in base alla gravità dello stesso.
È prevista dall’art. 157 c.p. il quale dispone che “la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.
Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tenere conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante
“.
Sono, comunque, previste due eccezioni a tale regola generale: quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, il tempo necessario a prescrivere è di tre anni; mentre i termini per prescrivere sono raddoppiati per alcune tipologie di reati, come ad esempio i delitti colposi di danno, omicidio colposo aggravato e plurimo, riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, tratta di persone, etc..
Infine, l’ultimo comma dell’art. 157 c.p. sancisce l’imprescrittibilità dei reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo.
Con la legge c.d. “spazzacorrotti” (l. n. 3/2019) è stata introdotta la sospensione del corso della prescrizione dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di condanna sia di assoluzione) o dal decreto penale di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del decreto penale.
In pratica, la prescrizione si sblocca dopo il primo grado e, solo in caso di condanna, il giudice ha tre anni di tempo complessivamente per definire il procedimento.

5. L’oblazione nelle contravvenzioni

Esistono due tipi di oblazione: quella obbligatoria e quella facoltativa.
L’art. 162 c.p. prevede l’estinzione delle contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda attraverso l’istituto dell’oblazione: “il contravventore è ammesso a pagare, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge per la violazione commessa, oltre le spese del procedimento. Il pagamento estingue il reato“. Si parla in questo caso di oblazione obbligatoria.
Per quanto riguarda, invece, le contravvenzioni punite alternativamente con la pena dell’arresto o dell’ammenda, ai sensi dell’art. 162-bis c.p. “il contravventore può essere ammesso a pagare, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento” (oblazione facoltativa).
In entrambi i casi il pagamento deve essere effettuato prima dell’apertura del dibattimento.

6. Estinzione del reato per condotte riparatorie

Grazie alla l. n. 103/2017 è stata introdotta questa ulteriore causa estintiva del reato che mette in risalto il pentimento dell’imputato il quale ha provveduto a riparare interamente il danno cagionato dal reato (mediante restituzioni o risarcimento) e ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose dello stesso, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado.
Nello specifico, l’art. 162-ter c.p. (introdotto con la suddetta legge) dispone che nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.
Quando dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, l’imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; in tal caso il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni.
Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso.

7. Sospensione condizionale della pena

L’istituto della sospensione condizionale della pena è previsto dall’art. 163 c.p. il quale dispone che nel pronunciare sentenza di condanna alla reclusione o all’arresto per un tempo non superiore a due anni, ovvero a pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni, il giudice può ordinare che l’esecuzione della pena rimanga sospesa per un determinato lasso di tempo che dipende dal tipo di reato commesso.
Nello specifico, il termine resta sospeso:
– per cinque anni in caso di condanna per delitto;
– per due anni in caso di condanna per contravvenzione;
– per un anno, qualora la pena inflitta non sia superiore ad un anno, ove prima della sentenza di primo grado sia stato riparato interamente il danno, o il colpevole si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per eliminare le conseguenze negative del reato.
Questo istituto non può essere concesso a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione, né al delinquente o contravventore abituale o professionale o a persona che la legge presume socialmente pericolosa.
Ai sensi dell’art. 168 c.p., la sospensione è revocata di dirittoqualora, nei termini stabiliti, il condannato: 1. commetta un delitto o una contravvenzione della stessa indole, per cui venga inflitta una pena detentiva, o non adempia agli obblighi impostigli; 2. riporti un’altra condanna per delitto anteriormente commesso a pena che, cumultta a quella precedentemente sospesa, supera i limiti stabiliti dall’art. 163″.
A norma dell’art. 167 c.p. “se, nei termini stabiliti, il condannato non commette un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, e adempie gli obblighi impostigli, il reato è estinto“.
Un’importante recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte ha, inoltre, sancito che “la subordinazione della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena all’adempimento dell’obbligo di risarcimento del danno in favore della parte lesa richiede che il giudice abbia determinato con precisione il “quantum” dello stesso, non essendo sufficiente a tal fine la pronuncia di condanna in forma solo generica” (Cass. SS.UU., sent. n. 37503/2022).

8. Perdono giudiziale

Istituto dedicato ai minori degli anni diciotto e alla loro rieducazione, consiste nella rinuncia da parte dello Stato a perseguire determinate condotte.
In pratica, il giudice può astenersi dal pronunciare il rinvio a giudizio o, in alternativa, qualora si proceda al giudizio, il giudice può astenersi dal pronunciare la condanna per gli stessi motivi.
Previsto dall’art. 169 c.p., si applica:
– quando il colpevole, al momento della commissione del reato, abbia già compiuto gli anni quattordici ma non ancora gli anni diciotto;
– se l’imputato non sia stato già condannato a pena detentiva per delitto e non sia stato dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale;
– se il Tribunale per i minorenni ritenga di poter applicare, in concreto, una pena detentiva non superiore a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore ad euro 1549, anche se congiunta alla pena detentiva;
– se il giudice ritiene che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.
Il perdono giudiziale non può essere concesso per più di una volta.
La Corte di Cassazione ha recentemente sancito che “nel processo penale minorile non sussiste l’interesse dell’imputato ad impugnare la sentenza che, anziché disporre l’ammissione alla prova, abbia concesso il perdono giudiziale, perché quest’ultimo ha un esito più favorevole, producendosi l’effetto estintivo del reato con immediatezza al passaggio in giudicato della sentenza” (Cass. sent. n. 26522/2021).

9. Esito positivo della messa alla prova

Questo istituto era dapprima riservato ai soli minorenni, ma poi è stato esteso anche ai maggiorenni con l. n. 67/2014.
Ai sensi dell’art. 168-bis c.p. si può ricorrere alla messa alla prova nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti rimessi al Tribunale in composizione monocratica e nei casi in cui il giudice ritenga che il colpevole si asterrà dal compiere ulteriori reati e reputi idoneo il programma di trattamento elaborato congiuntamente agli uffici per l’esecuzione penale esterna, il quale deve essere presentato congiuntamente alla richiesta di sospensione del processo con messa alla prova non oltre la formulazione delle conclusioni in udienza preliminare (o, nei procedimenti che non prevedono l’udienza preliminare, non oltre l’apertura del dibattimento).
La sospensione non può superare i due anni per i reati puniti con la pena detentiva, né un anno per i reati puniti con pena pecuniaria e comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato oltre che il risarcimento del danno e l’affidamento dell’imputato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma di rilievo sociale.
La messa alla prova è subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità che consiste in una prestazione non retribuita in favore della collettività di durata non inferiore a dieci giorni anche non continuativi, tenendo conto delle attitudini lavorative dell’imputato.
Questo istituto non può essere concesso più di una volta.
L’esito positivo della messa alla prova estingue il reato, salvo il fatto che la sospensione può essere revocata per grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte o per la commissione di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole (art. 168-quater c.p.).

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