L’imputato deve chiedere la sospensione condizionale della pena nel giudizio di merito

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Indice

1. La questione

La Corte di Appello di Reggio Calabria, decidendo a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, in riforma di una sentenza emessa dal Tribunale sempre della medesima città appellata dall’imputato, come già parzialmente riformata dalla sentenza emessa dalla Corte di Appello (reggina), previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, rideterminava la pena in quella di un anno mesi cinque e giorni venti di reclusione.
Ciò posto, avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’imputato che, con un unico motivo, deduceva violazione di norme processuali in relazione agli artt. 627, comma 3, 597, comma 5, cod. proc. pen. e 163 e 164 cod. pen. per assenza di motivazione, in ordine al mancato esercizio del potere-dovere da parte del Giudice di appello di applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena, in ragione della sopravvenuta modifica della pena entro i limiti edittali previsti per la concessione di detto beneficio, e della esplicita richiesta avanzata, sia nel motivo di impugnazione, che in sede di conclusione nel giudizio di appello.

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

Il ricorso era dichiarato inammissibile.
In particolare, gli Ermellini addivenivano a siffatta conclusione sulla scorta di quel consolidato orientamento nomofilattico secondo il quale, fermo restando che l’obbligo del giudice d’appello di motivare circa il mancato esercizio del potere-dovere di applicazione di detto beneficio in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l’imputato non può dolersi, con ricorso per Cassazione, della sua mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018).
Il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare di ufficio il predetto beneficio di legge, non accompagnato da alcuna motivazione, di conseguenza, non può costituire motivo di ricorso per Cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, se l’effettivo espletamento del medesimo potere-dovere non sia stato sollecitato da una delle parti, almeno in sede di conclusioni nel giudizio di appello, ovvero, nei casi in cui intervenga condanna la prima volta in appello, neppure con le conclusioni subordinate proposte dall’imputato nel giudizio di primo grado (Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019).
Orbene, declinando tale approdo ermeneutico rispetto al caso di specie, i giudici di piazza Cavour notavano come, a loro avviso, il ricorrente, contrariamente a quanto dedotto, non avesse mai sollecitato l’applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, né nel giudizio rescissorio, né con l’atto di appello, né nella discussione finale del giudizio di appello, essendosi in tale sede limitato a rinnovare la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche, rilevandosi al contempo che, anche in occasione dell’originario ricorso in Cassazione, il difensore si fosse limitato a chiedere un trattamento sanzionatorio più favorevole.

3. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi postulato, sulla scorta di un pregresso e costante indirizzo interpretativo elaborato in sede di legittimità ordinaria, che l’imputato non può dolersi, con ricorso per Cassazione, della mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito.
Tal che ne discende che il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare di ufficio il predetto beneficio di legge, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, se l’effettivo espletamento del medesimo potere-dovere non sia stato sollecitato da una delle parti, almeno in sede di conclusioni nel giudizio di appello, ovvero, nei casi in cui intervenga condanna la prima volta in appello, neppure con le conclusioni subordinate proposte dall’imputato nel giudizio di primo grado.
E’ dunque consigliabile, perlomeno alla stregua di tale approdo ermeneutico, chiedere sempre, ove ovviamente ne ricorrano i presupposti di legge, il riconoscimento di questa causa di estinzione del reato nel giudizio di merito dato che, in caso contrario, non ci si può dolere della mancata applicazione di siffatto beneficio in sede di legittimità.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, pertanto, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su questa tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere positivo.

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