Detenzione inumana e degradante: il ricorso deve contenere elementi nuovi

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17373 del 29 aprile 2024, ha chiarito che il ricorso consistente la denuncia di detenzione inumana o degradante deve contenere elementi nuovi rispetto alla precedente impugnazione.

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Corte di Cassazione – Sez. I Pen. – Sent. n. 17373 del 29/04/2024

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Indice

1. I fatti

Il Tribunale di sorveglianza di Ancora ha confermato la decisione con la quale il Magistrato di sorveglianza aveva dichiarato inammissibile l’istanza formulata ai sensi dell’art. 35-ter l. 354/1975 (ord. pen.) formulata dall’imputato e volta ad ottenere il rimedio risarcitorio in forma specifica della detenzione che assume inumana e degradante.
Il Tribunale ha osservato che, contrariamente a quanto dedotto dal reclamante, ostava a una rivalutazione del “giudicato esecutivo” il principio più volte espresso in sede di legittimità secondo cui “il provvedimento del giudice dell’esecuzione, una volta divenuto formalmente irrevocabile, preclude una nuova decisione sullo stesso oggetto, ma detta preclusione non operain maniera assoluta e definitiva, bensì rebus sic stantibus, ossia finché non si prospettino nuovi dati di fatto o nuove questioni giuridiche, per tali intendendosi non solo gli elementi sopravvenuti, ma anche quelli preesistenti dei quali non si sia tenuto conto ai fini della decisione anteriore“.
È stato anche rimarcato dal Tribunale che tale novum non potesse essere costituito né dalla mancanza di acqua corrente nel penitenziario, né dalla presenza nell’istituto di una discarica che rendeva l’aria irrespirabile, trattandosi di elementi già presi in considerazione nella precedente ordinanza reiettiva.
Inoltre, ad avviso del Tribunale, non poteva valorizzarsi, quale elemento nuovo, il mutamento di giurisprudenza intervenuto per dirimere il contrasto interpretativo, poiché la Corte aveva fatto propri i criteri di computo dello spazio detentivo minimo rilevante ai sensi dell’art. 35-ter ord. pen. già elaborati dalla prevalente giurisprudenza.
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2. Il ricorso in Cassazione

L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione affidato ad un unico articolato motivo con il quale ha dedotto erronea applicazione degli artt. 666 cod. proc. pen. e 35-ter ord. pen. e vizio di motivazione.
Ad avviso del ricorrente, il reclamo doveva ritenersi ammissibile in quanto basato su elementi di diritto nuovi, pretermessi dai giudici specializzati con motivazioni apparenti.
Nello specifico, la situazione posta all’attenzione del Magistrato di sorveglianza consisteva nelle gravi carenze della struttura carceraria mai prese in considerazione e nella valutazione operata esclusivamente sullo spazio a disposizione del detenuto, peraltro sulla scorta di una giurisprudenza di legittimità che imponeva una valutazione dei fattori compensativi anche nel caso di spazio superiore a 4 metri quadrati.

3 Detenzione inumana o degradante e proposizione di elementi nuovi nel ricorso: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, osserva che, sulla scorta di un consolidato principio delle Sezioni Unite, “nella valutazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati, da assicurare ad ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. 3 della Convenzione EDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento nella cella e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello“.
Pertanto, ad avviso della Corte, non si registra l’addotto mutamento d’interpretazione giurisprudenziale idoneo a legittimare la riproposizione della domanda già rigettata e non si è palesato il novum idoneo a superare la preclusione determinata dal provvedimento esecutivo definitivo.
Viene specificato che, “in assenza di rilevanti novità, l’eventuale omessa valutazione, da parte del giudice, di un elemento decisivo risultante dagli atti sottoposti al suo esame al momento della decisione non costituisce un novum suscettibile di determinare il superamento della preclusione derivante dal giudicato esecutivo, ma un errore, di fatto o di diritto, cui deve porsi rimedio con l’impugnazione, in difetto della quale si configura l’acquiescenza alla decisione“.
Ciò, secondo la Suprema Corte, trova validità anche per le considerazioni relative alla mancanza di acqua corrente e alla vicinanza della discarica all’istituto penitenziario.

4. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il Tribunale (correttamente) non abbia individuato nell’ulteriore istanza un qualche novum idoneo al superamento della preclusione rebus sic stantibus costituita dal c.d. giudicato esecutivo, cioè “l’accertamento giudiziale a contenuto limitato a cui, per ragioni di economia e di efficienza processuale, l’ordinamento annette la stabilizzazione giuridica costituita dalla preclusione connotata dalla limitata portata dell’effetto, circoscritta alla deduzione dello stesso oggetto in relazione a presupposti di fatto e ragioni di diritto identici a quelli rappresentati con la precedente istanza, già esaminata e decisa“.
Analoghe considerazioni valgono per i temi relativi alla mancanza di acqua corrente e alla vicinanza della discarica all’istituto, nei confronti dei quali vi è stata, ad avviso della Corte, una “avvenuta considerazione” nel provvedimento del Magistrato di sorveglianza.
In conclusione, la suindicata preclusione processuale è stata fondatamente affermata dal giudice di merito quanto all’istanza ex art. 35-ter ord. pen., con l’effetto che la corrispondente doglianza è stata disattesa.
Da ciò, la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Riccardo Polito

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