Ingiusta detenzione: come si determina l’indennizzo

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Come il giudice deve determinare l’indennizzo per procedere alla riparazione per l’ingiusta detenzione
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Corte di Cassazione -sez. IV pen.- sentenza n. 25359 del 24-05-2023

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Indice

1. La questione


La Corte di Appello di Bari accoglieva una domanda di riparazione per ingiusta detenzione patita per avere il richiedente subito la privazione della sua libertà personale per sei giorni, liquidando l’indennizzo nella misura totale di Euro 560,00 e dichiarando compensate le spese del procedimento.
Ciò posto, avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il difensore del richiedente che, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione, erronea interpretazione della legge e difetto di motivazione in particolare in violazione degli artt. 314 e 315 cod. proc. pen., censurandosi il quantum dell’indennizzo determinato dalla Corte territoriale per non avere tenuto conto dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, nonché della documentazione prodotta dall’istante attinente alla sofferenza psichica ed al danno all’immagine patito.
La Corte territoriale in particolare, secondo il ricorrente non avrebbe esposto le ragioni per cui ha ritenuto di calcolare l’indennizzo nella somma di euro 80,00 al giorno.


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato fondato.
Nel dettaglio, gli Ermellini addivenivano a siffatta conclusione, facendo innanzitutto presente che il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione è sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e non sindacare la sufficienza o insufficienza dell’indennità liquidata, a meno che, discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta (Sez. 4, n. 27474 del 02/07/2021; Sez. 4, n. 10690 del 25/2/2010; Sez. 4, n. 24225 del 04/03/2015), precisandosi al contempo che la riparazione per l’ingiusta detenzione non ha natura di risarcimento del danno ma di semplice indennità o indennizzo in base a principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale, trovando l’istituto fondamento nelle sole norme processuali penali, cui sono estranei i criteri dettati dalle norme civilistiche che regolamentano il risarcimento da fatto illecito ex art. 2043 cod. civ., improntate ad un criterio rigorosamente risarcitorio correlato al pregiudizio patito in termini di lucro cessante o danno emergente (in questo senso, Sez. 6, n. 1755 del 09/05/1991; cfr., altresì, Sez. Un, n. 24287 del 09/05/2001, secondo cui la liquidazione dell’indennità deve avvenire in via equitativa).
Tal che se ne faceva discendere che il criterio aritmetico, agganciato al valore massimo indennizzabile diviso per la estrema durata della detenzione riconosciuto dalla normativa penal-processualistica, è suscettibile, in un’ottica esclusivamente equitativa, di aggiustamenti in relazione alla valutazione di circostanze accessorie sia di carattere oggettivo che soggettivo, purchè inerenti a valori socialmente apprezzabili, riferite alle caratteristiche proprie del singolo caso, fermo restando che, pur in assenza di rigidi parametri valutativi, stante l’ampio margine di discrezionalità lasciato al giudice della riparazione, è tuttavia necessario, affinché l’equità non tracimi in arbitrio incontrollabile, che vengano individuati in maniera puntuale e corretta i parametri specifici di riferimento, la valorizzazione dei quali imponga di rilevare un surplus di effetto lesivo derivato dall’applicazione della misura cautelare rispetto alle conseguenze fisiologiche, e perciò ordinarie, conseguenti alla privazione della libertà personale, già considerate nei parametri aritmetici giornalieri.
Oltre a ciò, era altresì notato che, in caso di diminuzione, il giudice deve motivare sul perché abbia ritenuto di decurtare l’importo, posto che, nel procedimento di equa riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice deve valutare anche la condotta colposa lieve, rilevante non quale causa ostativa per il riconoscimento dell’indennizzo, bensì per l’eventuale riduzione della sua entità (Sez. 4, n. 21575 del 29/1/2014; conf. Sez. 4, n. 2430 del 13/12/2011).
Per di più, era oltre tutto notato che, sempre in materia di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice, ai fini della determinazione dell’indennizzo, deve opportunamente integrare il cd. parametro aritmetico, costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo, fissato in euro 516.456,90 dall’art. 315, comma secondo, cod. proc. pen., e il termine massimo della custodia cautelare, pari a sei anni ex art. 303, comma quarto, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita, aumentando o riducendo il risultato di tale calcolo numerico nei limiti dell’importo massimo indennizzabile, tenendo conto anche delle eventuali specificità positive o negative del caso concreto ed effettuando una valutazione svincolata da criteri rigidi, che prenda in considerazione non solo la durata della custodia cautelare, ma anche i pregiudizi di carattere personale e familiare legati alla privazione della libertà (Sez. 4, n. 30649 del 27/06/2019).
Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, il Supremo Consesso riteneva come il giudice della riparazione, dopo aver illustrato i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità sul tema, avesse determinato tout court l’indennizzo nella misura di Euro 560,00 senza rendere alcuna motivazione circa i criteri e le ragioni della decurtazione (Euro 80,00 al giorno).
I giudici di piazza Cavour, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, annullavano l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bari, che nel nuovo giudizio avrebbe dovuto attenersi ai principi sopra richiamati.

3. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse, specialmente nella parte in cui è ivi chiarito come il giudice deve determinare l’indennizzo per procedere alla riparazione per l’ingiusta detenzione.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, in materia di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice, ai fini della determinazione dell’indennizzo, deve opportunamente integrare il cd. parametro aritmetico, costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo, fissato in euro 516.456,90 dall’art. 315, comma secondo, cod. proc. pen., e il termine massimo della custodia cautelare, pari a sei anni ex art. 303, comma quarto, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita, aumentando o riducendo il risultato di tale calcolo numerico nei limiti dell’importo massimo indennizzabile, tenendo conto anche delle eventuali specificità positive o negative del caso concreto ed effettuando una valutazione svincolata da criteri rigidi, che prenda in considerazione non solo la durata della custodia cautelare, ma anche i pregiudizi di carattere personale e familiare legati alla privazione della libertà.
Quindi, ove il giudice, al contrario, non abbia proceduto a siffatta integrazione dell’indennizzo nei seguenti termini, ben si potrà impugnare un provvedimento di questo genere, ricorrendo in Cassazione.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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