Riparazione per ingiusta detenzione: condotta dolosa e colpa grave

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      Indice

  1. La questione
  2. La soluzione adottata dalla Cassazione
  3. Conclusioni

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 314)

1. La questione

La Corte di Appello di Napoli rigettava una domanda di riparazione per ingiusta detenzione essendo stata riconosciuta una condizione impeditiva in quanto il ricorrente avrebbe concorso a dare causa alla detenzione per dolo o colpa grave, rifiutandosi di rispondere all’interrogatorio di garanzia, e così facendo, per i giudici di seconde cure, aveva posto in essere una condotta processuale tale da avvalorare la fondatezza della prospettazione accusatoria, oltre che comportare la sussistenza di un contegno gravemente imprudente, omertoso e connivente che, nel diverso piano prognostico che disciplina la riparazione per la ingiusta detenzione, aveva determinato una apparenza di complicità del ricorrente nei traffici illeciti e pertanto l’esigenza di un intervento preventivo dell’autorità giudiziaria.

Ciò posto, avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il difensore del richiedente che, tra i motivi addotti, prospettava la violazione di legge e la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nell’accertamento del dolo e della colpa grave, evidenziando l’assoluta eccentricità dei comportamenti del ricorrente da cui il giudice della riparazione faceva derivare la esclusione del beneficio rispetto all’applicazione e al mantenimento della misura cautelare, evidenziando altresì come la maggiore parte dei comportamenti addebitati fossero stati esclusi dal giudice dell’assoluzione, che il contenuto delle conversazioni risultava criptico e inidoneo a fondare profili di colpa nel giudizio riparatorio e che neppure il comportamento processuale poteva fornire elementi di riscontro all’ipotesi accusatoria in quanto finalizzato esclusivamente a ottenere la presenza del proprio difensore di fiducia.


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione 

La Suprema Corte riteneva il ricorso proposto infondato.

In particolare, gli Ermellini osservavano – una volta fatto presente che l’art. 314 comma I c.p.p. prevede al primo comma “chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave” – che, da un lato, sulla scorta di quanto postulato dalle Sezioni Unite, nella sentenza n. 43/1995, deve intendersi dolosa, non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’”id quod plerumque accidit” secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo, dall’altro, la nozione di colpa, data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., in relazione a quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (sez. 4, n. 43302 del 23.10.2008).

Di conseguenza, declinando tali principi rispetto al caso di specie (oltre ad altri sempre enunciati in tale pronuncia), i giudici di piazza Cavour denotavano come la Corte territoriale ne avesse fatto un buon governo.

3. Conclusioni 

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito in cosa consistono il dolo e la colpa grave in relazione a quanto previsto dall’art. 314, co. 1, cod. proc. pen. che, come è noto, prevede che “chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.

Difatti, si afferma in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico che, per quanto concerne il dolo, deve intendersi condotta dolosa, non solo quella volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche una modalità comportamentale consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’”id quod plerumque accidit” secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo mentre, per quanto riguarda la colpa grave, può considerarsi condotta gravemente colposa quella che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di verificare se vi siano le condizioni di legge per potere chiedere un’equa riparazione per la custodia cautelare subita.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica processuale sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.

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