Negazione dell’autorizzazione alla modifica di parti comuni

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Qualora l’assemblea neghi l’autorizzazione ad apportare modifiche alle parti comuni, il condominio dovrà dimostrare il superamento dei limiti del pari uso di cui all’art. 1102 c.c.
riferimenti normativi: art. 1102 c.c.
precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. II, Sentenza n. 14107 del 03/08/2012

Indice

1. La vicenda

Un condomino chiedeva al condominio la possibilità di aprire una terrazza a tasca sul tetto condominiale nella parte soprastante il proprio appartamento; l’assemblea però rispondeva negativamente in quanto il lavoro richiesto doveva considerarsi un’innovazione e non era stato raggiunto il quorum del 2/3 per poter eseguire il lavoro. Il condomino impugnava la decisione ma il Tribunale rigettava la domanda.
La Corte d’appello, pronunciando sul gravame del condominio, statuiva che in difetto della prova della ricorrenza delle condizioni di cui all’articolo 1102 c.c., l’opera realizzata dalla condomina doveva inquadrarsi nella previsione di cui all’art. 1120 c.c., con conseguente legittimità della delibera impugnata. La Corte affermava che spetta al condomino dimostrare che i limiti dell’articolo 1102 c.c. non sono stati violati e che, nella specie, non erano state dimostrate le tecniche costruttive adoperate ai fini di garantire la funzionalità del tetto.
Il soccombente ricorreva in cassazione.
Con il primo motivo del ricorso il condomino, lamentava la violazione dell’art. 1102 c.c., quanto al rapporto tra l’art. 1120 c.c. e l’art. 1102 c.c., che la sentenza impugnata aveva ignorato. Con il secondo motivo di ricorso, proposto in via gradata, denunciava l’omesso esame di una prova documentale, consistente in una “perizia illustrativa” relativa alle tecniche costruttive adoperate.

3. La soluzione

La Cassazione ha dato ragione al condomino. Secondo i giudici supremi qualora l’assemblea neghi al condomino l’autorizzazione ad apportare modifiche ex articolo 1102 c.c. alle parti comuni, opponendosi alla concreta utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante, spetta al condominio dimostrare il superamento dei limiti del pari uso, di cui all’art. 1102 c.c., che possa perciò giustificare la legittima espressione della volontà collettiva dei partecipanti a tutela delle esigenze conservative dei diritti inerenti alle parti comuni. In ogni caso la Suprema Corte ha ricordato che le modificazioni per il miglior godimento della cosa comune (a differenza dalle innovazioni che vengono deliberate dall’assemblea nell’interesse di tutti i partecipanti ai sensi dell’art. 1120 c. c.) possono essere apportate a proprie spese dal singolo condomino con i limiti indicati dall’art. 1102 c.c. e non richiedono alcuna preventiva autorizzazione assembleare, salvo che tale autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini nell’esercizio dell’autonomia privata; in ogni caso l’eventuale autorizzazione alle modifiche comunque richiesta o concessa dall’assemblea costituisce riconoscimento dell’inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante.

4. Le riflessioni conclusive

Ciascun condomino è sottoposto, secondo il disposto dell’art. 1102 c.c., a due fondamentali limitazioni, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nell’obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condòmini. Simmetricamente, la norma in parola, intesa, altresì, ad assicurare al singolo partecipante, quanto all’esercizio concreto del suo diritto, le maggiori possibilità di godimento della cosa, legittima quest’ultimo, entro i limiti ora ricordati, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità. Così è stato affermato che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione, e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali (Cass. civ., sez. II, 03/08/2012, n. 14107). Alla luce di quanto sopra è stata considerata rispettosa del 1102 c.c. la terrazza ad asola in falda, ricavata da un’asportazione del tetto per una larghezza di sei metri ed una profondità di quattro metri, ma corredata da pavimentazione ed impermeabilizzazione, in grado di garantire la funzione di copertura e di protezione dagli agenti atmosferici (Cass. civ., sez. VI, 15/01/2019, n. 850). Come giustamente osservato dai giudici supremi nella sentenza in commento, qualora l’assemblea neghi ad un condomino l’autorizzazione a realizzare una terrazza a tasca, spetta poi al condominio dimostrare la violazione dell’art. 1102 c.c. (mentre la deduzione, da parte del condomino, della legittimità della modifica non comporta alcun onere probatorio a carico del medesimo).

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Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli