Incompatibilità nel pubblico impiego con riferimento ai Vigili del Fuoco

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Approfondimento sull’incompatibilità nel pubblico impiego, con particolare riferimento al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.

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Indice

1. Attività incompatibili

Il rapporto di pubblico impiego è stato sin dalle sue origini caratterizzato dal regime delle incompatibilità, ancora prima dell’entrata in vigore della Costituzione e della cristallizzazione del principio di esclusività all’interno dell’art. 98 del testo costituzionale, ai sensi del quale “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”.
Invero, già il t.u. delle leggi sullo stato giuridico degli impiegati civili (regio decreto n. 693 del 1908) e, successivamente, il dpr n. 3 del 1957 avevano disciplinato i casi di incompatibilità, prevedendo il divieto per l’impiegato pubblico di esercitare il commercio, l’industria, ovvero di assumere impieghi alle dipendenze di privati o di accettare incarichi in società costituite a fine di lucro.
Nello specifico, la disciplina sull’incompatibilità, assieme al divieto di cumulo di impieghi, costituisce espressione dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost. e trova il suo fondamento  nella necessità sia di tutelare il corretto e imparziale svolgimento delle funzioni pubbliche, per cui è imprescindibile che sia assicurata l’indipendenza del lavoratore, sia di garantire che i pubblici impiegati non disperdano le proprie energie e che non sia turbata la regolarità del servizio.
Da ultimo, l’obbligo di esclusività è stato sancito dall’art. 53 del dlgs 165/2001 che ha disposto l’ultravigenza degli artt. 60 e ss del dpr 3/1957, come più volte modificato nel corso degli anni.
Nello specifico, si distingue fra tre categorie di incarichi extra-istituzionali:
1) Attività assolutamente vietate, caratterizzate da incompatibilità assoluta, che presentano i caratteri della abitualità e professionalità o che possono dar luogo a conflitti di interesse o interferire con l’attività ordinaria svolta dal dipendente: vi rientrano le attività commerciali, industriali, artigianali, professionali e con scopo di lucro; l’esercizio di cariche in società di persone o di capitali; l’esercizio di attività professionali per cui è necessaria l’iscrizione ad albi od ordini professionali, nonché forme di collaborazione coordinata e continuativa.
Al fine di semplificare la disciplina sulle incompatibilità è stato elaborato dalla Conferenza Unificata del Dipartimento della Funzione Pubblica, delle Regioni e degli Enti Locali, il 24 luglio del 2013, un documento che esemplifica gli incarichi vietati per i dipendenti pubblici.
Nel caso di violazione, il lavoratore viene diffidato dall’amministrazione di appartenenza a cessare dalla situazione di incompatibilità entro 15 giorni, decorsi i quali decade dall’impiego. Diversamente, se ottempera alla diffida, non vi saranno conseguenze decadenziali, ma il dipendente sarà soggetto a procedimento disciplinare;
2) Attività che possono essere svolte solo se previamente autorizzate, purché
– siano esercitate al di fuori dell’orario di lavoro
– l’incarico sia temporaneo e occasionale
– Non vi siano ragioni ostative di opportunità
– Non siano in contrasto con le attività dell’amministrazione
– Non ledano l’immagine o il decoro dell’amministrazione
– Non vi sia conflitto di interesse
– l’impegno sia compatibile con l’attività lavorativa ordinaria
3) Attività liberamente esercitabili: Vi rientrano la collaborazione a giornali e riviste, l’utilizzazione di opere dell’ingegno, la partecipazione a convegni e seminari, gli incarichi conferiti da organizzazioni sindacali (fermo il divieto di attribuire incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici  o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di  collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni. Comma introdotto dall’art. 52 del d.lgs. n. 150 del 2009), incarichi per cui è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate, attività di formazione diretta ai dipendenti della P.A. Nonché di docenza e di ricerca scientifica.
Successivamente, la legge anticorruzione n. 190/2012 ha introdotto nuove ipotesi di incompatibilità e ha previsto una maggiore responsabilizzazione sia per le amministrazioni che rilasciano le autorizzazioni sia per i dipendenti stessi.
Particolarmente significativo è il cosiddetto divieto di pantouflage di cui all’art. 16 ter, ai sensi del quale i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti provati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri.
La ratio di tale divieto risiede nell’esigenza di evitare che durante il periodo di servizio il dipendente possa sfruttare la sua posizione all’interno dell’amministrazione per precostituirsi situazioni lavorative vantaggiose presso il soggetto privato con cui entri in contatto grazie all’impiego pubblico.
Tale divieto si applica non solo al soggetto che ha firmato l’atto ma anche a coloro che hanno partecipato al procedimento (dirigenti, funzioni apicali e tutti coloro che possono incidere sulla decisione oggetto del provvedimento con pareri, perizie, certificazioni), sia che si tratti di procedimenti di acquisizione di beni e servizi per la P.A., sia che si tratti di provvedimenti che incidono unilateralmente sulle situazioni giuridiche dei destinatari, di atti autorizzatori, di concessioni, sovvenzioni o sussidi etc.
Da quanto finora esposto si ricava che mentre antecedentemente alla legge n. 190 del 2012 il regime dell’incompatibilità era fortemente legato al principio di esclusività dell’attività del funzionario pubblico, successivamente l’intento prioritario del legislatore è stato quello di prevenire la corruzione dei funzionari pubblici, nonché di contrastare posizioni di conflitto di interessi nella P.A., in ossequio ai principi di imparzialità e buon andamento.

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2. Regime dell’incompatibilità con riferimento al personale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco

In relazione ai dipendenti facenti parte del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, si rimanda al decreto dipartimentale 01.01 del 2001 recante norme in materia d’incompatibilità, criteri e procedure per il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento di incarichi esterni.
In particolare, il decreto si riferisce a tutto il personale del Corpo con contratto a tempo pieno e a quello a tempo parziale con prestazione lavorativa superiore al 50%.
Per gli incarichi conferiti direttamente dall’Amministrazione si tiene conto della qualificazione tecnica del dipendente in relazione all’attività da espletare nonché della maggiore o specifica esperienza derivante dall’espletamento del servizio in particolari settori tecnico-scientifici e sulla base della rotazione stabilita dall’Amministrazione.
Tra le attività consentite, si evidenziano gli incarichi di progettazione, assunti a titolo gratuito esclusivamente nell’ambito familiare, purché non riguardanti attività soggette al controllo di prevenzione di competenza del CNVVF e a condizioni che non siano assoggettate ad IVA.
In ogni caso, anche quando l’attività sia liberamente esercitabile, è necessario comunicare tempestivamente, tramite l’ufficio di appartenenza, l’oggetto dell’incarico, allegando la documentazione necessaria ai fini della presa d’atto da parte dell’Amministrazione.
La procedura per l’autorizzazione è meglio descritta dall’art.del decreto succitato a norma del quale la richiesta di autorizzazione, indirizzata alla Direzione Generale con il parere non vincolante del Capo dell’ufficio centrale o periferico di appartenenza, deve essere tempestivamente presentata dal dipendente o dai soggetti (pubblici o privati) che intendano conferire l’incarico, per consentire il rispetto dei termini di cui all’art. 58 del dlgs 29/1993, decorsi i quali l’autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso si intende negata definitivamente.
La richiesta deve contenere:
–       Il soggetto che conferisce l’incarico
–       Il tipo di attività
–       Decorrenza d’inizio e termine di incarico
–       Impegno richiesto
–       Struttura presso cui l’attività deve essere esercitata
–       Eventuale compenso
L’amministrazione, verificata la compatibilità, previo parere tecnico del Servizio Tecnico Centrale, deve pronunciarsi sulla richiesta entro 30 giorni dal ricevimento della stessa, ferma restando la facoltà di richiedere all’interessato la documentazione mancante o i chiarimenti necessari.
Il dipendente, dopo essere stato autorizzato, invia all’Amministrazione copia dell’atto formale di incarico e adempie alle disposizioni vigenti in materia di anagrafe delle prestazioni.
L’Anagrafe delle prestazioni è stata  istituita dall’art. 24 della legge n. 412 del 1991 presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, al fine di assicurare la pubblicità e la trasparenza, nonché di monitorare la spesa pubblica relativa agli incarichi conferiti non solo ai dipendenti, ma anche ai consulenti e ai collaboratori esterni.
Nell’ottica della maggiore responsabilizzazione delle amministrazioni, sopra anticipata, si è previsto che le amministrazioni che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti debbano dare comunicazione in via telematica, entro 15 giorni, al Dipartimento della funzione pubblica, precisando la tipologia dell’incarico e del compenso lordo, se previsto. Tutte le informazioni vanno comunicate sul sito web www.perlapa.gov.it
La mancata comunicazione è segnalata dal Dipartimento alla Corte dei Conti entro il 31 dicembre di ciascun anno e preclude la possibilità  di conferire nuovi incarichi fino a quando non sono regolarizzati gli adempimenti prescritti.
Quanto alle conseguenze della mancata previa autorizzazione, è previsto che, salvo le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare del dipendente, il compenso dovuto per le prestazioni svolte deve essere versato nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente (il mancato versamento dà luogo a responsabilità erariale).
Inoltre, se l’incarico è conferito da altra amministrazione pubblica, a parte la nullità del provvedimento e il versamento del compenso alla P.A. di appartenenza, è prevista la responsabilità disciplinare del funzionario che ha conferito l’incarico per violazione dei doveri d’ufficio; se, invece, l’incarico è conferito da un soggetto privato, questo incorrerà in una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti.

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Letizia Minardi

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