Provvedimento di revoca degli aiuti: commento all’Ordinanza della Corte di Cassazione civile, Sezioni Unite, n. 19966 del 12 Luglio 2023.
Per approfondire si consiglia: Compendio di Diritto amministrativo
Indice
1. Il diritto amministrativo tra profili processuali e sostanziali
Con questa breve premessa, ci si prefigge l’(ambizioso) obiettivo di riassumere, a mò di preambolo introduttivo per comprendere i passaggi motivazionali di una ordinanza, tutte le principali questioni processuali e sostanziali del diritto amministrativo.
1.1. I profili giurisdizionali
Volendo partire dai profili giurisdizionali, appare opportuno ricordare che solo nel 1889 e, dunque, solo con la Legge Crispi, fu istituita la IV Sez. del Consiglio di Stato e, pertanto, solo da questo momento si è effettivamente posto il problema della individuazione dei margini giurisdizionali tra giudice civile e giudice amministrativo. Abbandonata una prima visione, ancorata alla teoria del petitum formale (ovvero alla domanda della parte istante), si è optato per il criterio della “causa petendi” ovvero della posizione giuridica sostanziale di diritto soggettivo o di interesse legittimo, criterio oggi fatto proprio anche dall’art. 113 comma primo della Costituzione. Ragion per cui, occorreva delineare le due posizioni soggettive.
Superata la tesi dell’interesse occasionalmente protetto, si è oggi concordi nel qualificare entrambe le posizioni come ancorate ad un bene della vita. La differenza tra le stesse, in linea di massima, si identifica nel differente livello di tutela che l’ordinamento giuridico è in grado di apprestare. Il diritto soggettivo gode di tutela erga omnes; l’interesse legittimo, per contro, può più facilmente essere sacrificato in presenza di interessi pubblicistici.
Seguendo l’impostazione appena fornita, le posizioni di diritto soggettivo devono dirsi tutelabili innanzi al giudice ordinario, quelle di interesse legittimo, per contro innanzi al giudice amministrativo, fatte salve le ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di cui all’art. 133 cpa. Tale norma, in verità, non è l’unica ad essere stata “tacciata” di contenere una forma di “giurisdizione esclusiva”, sussistendo, infatti, un orientamento dottrinale e giurisprudenziale volto ad attribuire anche all’art. 63 TUPI la medesima qualifica, questa volta, però, in favore del giudice ordinario.
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1.2. Giurisdizione e principi del processo amministrativo: una visione d’insieme
Ai sensi dell’art. 99 cpc, l’autorità giudiziaria è chiamata a garantire la costituzionale tutela dei diritti “su domanda di parte” e, ai sensi dell’art. 112 cpc, “nei limiti della domanda di parte”, in virtù della necessità che vi sia, quantomeno in astratto, esatta corrispondenza tra quanto richiesto dalla parte e quanto statuito dall’organo giudicante. I predetti principi cardine processualcivilistici trovano ingresso nello stesso processo amministrativo a mezzo dell’art. 34 c.1 cpa, il cui primo periodo dispone che il giudice emana sentenza di merito “nei limiti della domanda”.
Il principio della domanda si manifesta nel terreno amministrativo, più in dettaglio, in una duplice accezione di “principio dispositivo sostanziale” e di “principio dispositivo istruttorio”.
La prima accezione fa riferimento al potere esclusivo della parte di scegliere se optare o meno per la tutela giurisdizionale.
La seconda, invece, ancora il processo alle dinamiche dell’art. 2697 cc, imponendo l’allegazione dei fatti posti a fondamento della domanda sia pure, tuttavia, con le mitigazioni discendenti dagli artt. 63 e 64 cpa e del principio dispositivo con metodo acquisitivo, che consente all’organo giudicante di sopperire in autonomia alle carenze probatorie del privato ricorrente quando le stesse discendano dal possesso esclusivo dei documenti da parte della pubblica amministrazione.
La domanda di parte ricorrente è generalmente diretta all’emersione di una difformità del provvedimento amministrativo rispetto al diritto, la cui gravità può comportare annullabilità del predetto provvedimento o nullità dello stesso.
Ipotizzando, solo prima facie, un giudizio basato su un unico motivo di ricorso, l’individuazione dei tempi di proposizione dello stesso e dell’organo giudicante al quale la domanda deve essere proposta varia a seconda che il singolo vizio rilevato rientri nelle tre ipotesi di annullabilità delineate dall’art. 21 octies primo comma della legge n. 241 del 1990 ovvero nelle ipotesi di nullità di cui all’art. 21 septies della medesima legge, introdotte con legge n. 15 del 2005 dopo una carenza avvertita sin dalle radici storiche della patologia dell’atto amministrativo.
Più in dettaglio, il privato che intenda ottenere l’annullamento del provvedimento amministrativo implicitamente mira alla emersione in giudizio dell’eccesso di potere, di una violazione di legge o di un difetto di competenza.
Sin dalla istituzione della IV Sez. del Consiglio di Stato, dottrina e giurisprudenza si sono poste il problema della definizione dei confini dell’eccesso di potere, ovvero dello sviamento di potere della pubblica amministrazione, tanto da giungere alla identificazione di “figure sintomatiche” del predetto vizio nel difetto di istruttoria, nell’errore o travisamento dei fatti, nella disparità di trattamento o, ancora, nella illogicità, contraddittorietà o insufficienza della motivazione.
Controversa è stata, invece, l’ipotesi di totale mancanza di quest’ultimo elemento.
Al riguardo, occorre rilevare che all’esito della codificazione del provvedimento amministrativo, il legislatore ha inserito all’art. 3 della legge n. 241 del 1990 un vero e proprio obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, fatta eccezione per gli atti normativi e quelli a contenuto generale.
Ragion per cui, oggi la mancanza della motivazione rientra nella categoria della violazione di legge.
Tale vizio, più in generale, legittima il privato alla impugnazione del provvedimento laddove, nella sua emanazione, la pubblica amministrazione abbia violato esemplificativamente una norma disciplinante il procedimento amministrativo, fatte salve alcune ipotesi di vizi formali che la giurisprudenza amministrativa ha inteso “dequotare” a mezzo del secondo comma dell’art. 21 octies.
In una posizione lievemente diversa si pone il vizio di incompetenza (relativa).
La stessa si rinviene ogniqualvolta il provvedimento sia emanato da un organo della pubblica amministrazione che, in quella determinata e specifica area funzionale, non ha competenza poiché essa spetta ad un organo diverso.
Tanto l’eccesso di potere, nelle sue diverse figure sintomatiche, quanto la violazione di legge e l’incompetenza relativa (suscettibile, tuttavia, di ratifica), presuppongono l’esistenza di una norma attributiva del potere in capo alla pubblica amministrazione emanante, legittimante esercitabile nei confronti del privato.
L’esistenza della norma attributiva consente di qualificare, sulla base del vigente criterio di qualificazione della posizione soggettiva ancorato al binomio carenza di potere in astratto/cattivo uso del potere, la posizione del privato che impugna il provvedimento “viziato” come di interesse legittimo.
Nelle ipotesi in cui, invece, il privato ravvisi un difetto assoluto di attribuzione e, dunque, invochi la carenza assoluta di potere in capo alla pubblica amministrazione di emanare il provvedimento, la sua posizione giuridica soggettiva sarà di diritto soggettivo, in virtù, come già indicato, della inesistenza di una norma attributiva che giustifichi una compressione ab origine della posizione del privato.
Pertanto, il giudizio potrà essere incardinato, come più volte statuito dalla stessa giurisprudenza amministrativa, dinanzi al giudice ordinario.
2. I passaggi fondamentali dell’Ordinanza in commento
Premessi i cenni teorici poc’anzi esposti, appare opportuno riportare i principali passaggi motivazionali della pronuncia in esame: “[…] Il provvedimento di revoca degli aiuti – ha osservato il Tribunale ordinario – è intervenuto all’esito dell’esercizio dei poteri di autotutela spettanti all’amministrazione, al fine di rimediare a eventuali vizi di legittimità della concessione o per sanarne la contrarietà all’interesse pubblico. Non si è di fronte alla mancata osservanza, da parte del beneficiario, di obblighi imposti dalla legge o dal provvedimento stesso per l’erogazione. La posizione giuridica vantata dall’attrice è, quindi, di interesse legittimo. In particolare, la legge n. 488 del 1992 non vincola l’assegnazione dei contributi alla sussistenza di requisiti predeterminati ex lege, bensì lascia all’amministrazione una certa discrezionalità circa l’an e le modalità dell’erogazione: con la conseguenza che all’eventuale revoca delle agevolazioni concesse il privato contrappone una posizione che non è di diritto soggettivo […]. Tanto premesso, la regola di riparto che viene qui in rilievo è il frutto di una elaborazione giurisprudenziale consolidata. La controversia sulla legittimità della revoca di un finanziamento pubblico determinata dall’inadempimento del privato beneficiario alle prescrizioni dell’atto di concessione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario qualora la contestazione faccia esclusivo riferimento alle inadempienze del percettore, senza coinvolgere in alcun modo il legittimo esercizio dell’apprezzamento discrezionale del concedente circa an, quid e quomodo dell’erogazione (Cass., Sez. Un., 17 febbraio 2016, n. 3057; Cass., Sez. Un., 4 aprile 2021, n. 9840; Cass., Sez. Un., 11 aprile 2023, n. 9634; Cass., Sez. Un., 6 luglio 2023, n. 19160) […]”.
3. Conclusioni
In conclusione, si può affermare che: “la giurisdizione spetta all’autorità giudiziaria ordinaria quando la revoca discenda dall’accertamento di un inadempimento (da parte del fruitore) delle condizioni stabilite in sede di erogazione o comunque dalla legge, nonché nel caso di sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, mentre sussiste, invece, la giurisdizione del giudice amministrativo quando occorra sindacare il corretto esercizio della ponderazione comparativa degli interessi in sede di attribuzione del beneficio o in relazione a mutamenti intervenuti nel prosieguo e, quindi, quando il giudizio riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio oppure allorché, successivamente alla concessione, l’atto sia stato annullato o revocato per illegittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (Cass., Sez. Un., 4 gennaio 2023, n. 146; Cass., Sez. Un., 21 giugno 2023, n. 17757)”.
Volendo concludere, in modo quasi circolare, le riflessioni sin qui svolte, appare evidente come la dicotomia, tutta italiana, diritto soggettivo – interesse legittimo, impressa nel tessuto costituzionale, costituisca ancora oggi l’unica via possibile da seguire, pur tenendo conto delle evoluzioni che hanno caratterizzato non tanto i criteri discretivi tra le due posizioni giuridiche soggettive (es. norma d’azione – norma di relazione; potere discrezionale – potere vincolato; cattivo uso del potere – carenza di potere, etc.) quanto piuttosto i confini, sempre più labili, tra le ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (cui si contrappongono, secondo alcuni orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, le ipotesi di cd. “giurisdizione esclusiva del giudice ordinario” ex art. 63 TUPI) e le ipotesi in cui, per contro, la giurisdizione spetta al giudice ordinario tout court, specie nel momento in cui si affrontano le complesse tematiche dei diritti fondamentali.
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Bibliografia
M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Il Mulino, II Ed., Bologna, 2015;
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