Potere di revoca di contributi e finanziamenti pubblici

Adele Saito 06/02/23
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Brevi considerazioni sul potere di revoca di contributi e finanziamenti pubblici e riparto di giurisdizione

Indice

1. Il potere di revoca del provvedimento amministrativo alla luce delle modifiche introdotte dalla legge 11 novembre 2014 n.164: il nuovo art. 21quinquies.

L’art. 25, comma 1, lett. b ter), del decreto legge 12 settembre 2014 n. 133 (c.d. “Decreto Sblocca Italia”), convertito con modificazioni nella legge 11 novembre 2014 n. 164, ha apportato sostanziali modifiche alla disciplina della revoca del provvedimento amministrativo disciplinata dall’art. 21 quinquies della legge 7 agosto 1990 n.241.
Le novità ineriscono in particolare ai presupposti per l’esercizio del potere di revoca. 
Invero, la revocabilità del provvedimento amministrativo ad efficacia durevole era prima ammessa in questi tre casi:
a. per sopravvenuti motivi di pubblico interesse;
b. nel caso di mutamento della situazione di fatto;
c. nel caso di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
Adesso, invece, la revoca è ammessa:
a. per sopravvenuti motivi di pubblico interesse;
b. nel caso di mutamento  della  situazione  di  fatto  non  prevedibile  al momento  dell’adozione  del  provvedimento;
c. di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario,  salvo   che   per   i provvedimenti  di  autorizzazione  o  di  attribuzione  di   vantaggi economici.
In altri termini, se è rimasto inalterato il potere di revoca per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, è stato profondamente modificata la disciplina della revoca per mutamento della situazione di fatto o per la nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
Il mutamento della situazione di atto.  
Con riguardo alla revocabilità per il mutamento della situazione di fatto il Legislatore stabilisce adesso che tale mutamento non doveva risultare prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento.
La novella normativa ha l’effetto di responsabilizzare maggiormente la P.A. al momento dell’adozione di un provvedimento ad efficacia durevole, essendo essa chiamata ad un’indagine esaustiva e ad ampio raggio circa la situazione di fatto entro cui si innesta il provvedimento da adottare. 
Naturalmente, sarà la motivazione del provvedimento a svelare l’analisi dei fatti compiuta dall’Amministrazione al momento dell’adozione dell’atto, essendo peraltro già previsto dall’art. 3, comma 2, della succitata legge 241/1990 che “La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”.
Nel caso in cui la P.A. decida di revocare il provvedimento originariamente adottato, quindi, dovrà guardarsi proprio alla motivazione dell’originario provvedimento per verificare:
-il modo in cui l’Amministrazione ha studiato la situazione di fatto originariamente sussistente al momento dell’adozione dell’atto;
-se la P.A. ha davvero compiuto diligentemente una esaustiva analisi dei presupposti fattuali posti a fondamento dell’adozione del provvedimento amministrativo;
-se la P.A. ha sin dall’inizio previsto, o meno, un mutamento della suddetta situazione di fatto.
Il problema, però, sorgerà nel caso in cui il privato intenderà impugnare il provvedimento di revoca così adottato dall’Amministrazione.
Quanto all’onere probatorio, ci si è chiesti se in tal caso operi la regola civilistica secondo cui “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” (art. 2697, comma 1, c.c.).
Vi sono tuttavia almeno quattro ragioni per ritenere che spetti alla P.A. l’onere di dimostrare in giudizio la non prevedibilità del mutamento delle situazioni di fatto:
-in primo luogo, il fatto che l’art. 64, comma 1, c.p.a., pone a carico delle parti l’onere di fornire gli elementi di prova “che siano nella loro disponibilità”;
-in secondo luogo, rileva il generale principio della c.d. “vicinanza della prova”, per effetto del quale sarà la P.A. che, avendo un più agevole ed immediato accesso ai fatti, dovrà dimostrare l’imprevedibilità del fatto sopravvenuto posto a fondamento del provvedimento di revoca concretamente emanato;
-in terzo luogo, il fatto che in tutti i casi in cui il Legislatore ha posto la prevedibilità di un certo fatto quale fondamento e presupposto del conseguente diritto o potere esercitato, ha sempre preteso che l’onere della prova circa l’imprevedibilità sia fornita dal soggetto che di tale imprevedibilità intende giovarsi nel giudizio;
-in quarto luogo, il fatto che già con riferimento alla disciplina dell’indennizzo da revoca del provvedimento, ex art. 21 quinquies, comma 2, l’indirizzo interpretativo prevalente opina nel senso che compete alla P.A. la dimostrazione del fatto che il privato conosceva (o poteva conoscere) la contrarietà dell’atto all’interesse pubblico.
La nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
Il secondo presupposto per l’esercizio del potere di revoca che la L. n. 164/2014 ha innovato, riguarda la “nuova valutazione dell’interesse pubblico originario”.
In particolare, secondo il novellato art. 21 quinquies, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato in caso di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario “salvo   che   per   i provvedimenti  di  autorizzazione  o  di  attribuzione  di   vantaggi economici”.
La succitata Legge n. 164/2014 ha innovato la precedente disciplina escludendo espressamente che la “nuova valutazione dell’originario interesse pubblico” possa fondare il potere di revoca del provvedimento autorizzativo/ attributivo di vantaggi economici originariamente concesso.

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2. La revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche

La norma generale sulla revoca si applica con tutta evidenza anche alla revoca dei contributi economici. Il tema della revocabilità dei contributi e delle sovvenzioni pubbliche merita opportuno approfondimento.
Contributi e sovvenzioni rientrano nella più ampia categoria dei provvedimenti amministrativi ampliativi ossia di quei provvedimenti che, come dice la stessa denominazione, ampliano la sfera giuridica dei destinatari e, a fronte dei quali, generalmente, la posizione giuridica soggettiva è quella dell’interesse legittimo.
Partendo dall’analisi dei finanziamenti essi si iscrivono nella disciplinata di cui all’art. 12 della L. n. 241/1990 rubricato “Provvedimenti attributivi di vantaggi economici” che abbraccia sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari, nonché l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati.
Il significato da attribuire alla parola “contributo” parrebbe evidente: un aiuto economico garantito ad un beneficiario per le ragioni più varie (dallo start up di una società o azienda, alla ricostruzione di un immobile distrutto da fenomeni sismici o alluvionali). Ciò che conta, insomma, è che l’atto comporti un trasferimento di ricchezza -anche immateriale- o, per meglio dire, la costituzione o trasformazione di beni giuridici economicamente valutabili, tra due soggetti, almeno uno dei quali pubblico. Non è coessenziale invece il modus con cui avviene questo trasferimento, potendo essere una dazione diretta di danaro, uno sgravio contributivo, una sovvenzione condizionata o, addirittura, uno stesso provvedimento amministrativo.
 Il primo e più importante richiamo a questa  categoria di provvedimenti si trova probabilmente nella legge fondamentale del procedimento amministrativo, l. 7 agosto 1990, n. 241, il cui art. 12 annovera alla categoria la “concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere”, precisando poi che il relativo conferimento “a persone ed enti pubblici e privati … (deve essere) subordinat(o) alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi
Ecco allora che ai fini della qualificazione in termini di contributo pubblico in senso stretto, ciò che conta non è l’an, il quantum o il quomodo, bensì il fine di utilità.
 2.a. Il criterio di riparto di giurisdizione tra Giudice Ordinario e Giudice Amministrativo. 
Il tema del riparto di giurisdizione in materia di revoca dei contributi pubblici è argomento assai complesso e dibattuto, sul quale si sono nel tempo espresse voci autorevoli, a volte discordanti.
Trattare del riparto di giurisdizione in tema di revoca di contributi economici equivale ad analizzare il tipo di potere esercitato, a prescindere dal soggetto che lo eserciti.
Appurato che ai fini del riparto giurisdizionale rileva soltanto la situazione giuridica sostanziale dedotta in giudizio, il passo seguente del ragionamento consiste nell’individuare con precisione il momento in cui P.A. e cittadino vengono a trovarsi su livello paritetico; ovverosia individuare l’istante in cui quello che prima era un semplice interesse legittimo al contributo si consolidi in un “diritto soggettivo” tutelabile innanzi il giudice ordinario. Pare a tal fine utile intessere un parallelo con il caso è degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, ove si individua il discrimine giurisdizionale stipula del contratto tra imprenditore e P.A. Da quell’istante cessa la giurisdizione amministrativa, si passa ad un rapporto paritetico (seppur sui generis), e tutte le successive controversie saranno conosciute dal giudice ordinario, poiché appunto afferenti rapporti inter pares.
Secondo l’orientamento consolidatosi innanzi la Corte di Cassazione, recentemente confermato dalle ordinanze rese dalle Sezioni Unite civili 10 novembre 2020 n. 25213 e 18 maggio 2021 n.13492, in tema di finanziamenti pubblici le relative controversie sono devolute:
a) alla cognizione del giudice amministrativo, laddove esse riguardino l’annullamento del provvedimento di attribuzione del beneficio per vizi di legittimità o la revoca dello stesso per contrasto con l’interesse pubblico, in relazione ai quali la posizione giuridica del beneficiario è qualificabile come interesse legittimo, in quanto spetta alla pubblica amministrazione il potere di riconoscere il contributo sulla base di una valutazione dell’interesse pubblico e previo apprezzamento discrezionale dell’an, del quid e del quomodo dell’erogazione;
b) alla giurisdizione del giudice ordinario quando le controversie  non involgono aspetti di ponderazione o comparazione tra interessi pubblici o di riconsiderazione dell’interesse del privato rispetto ai primi, come allorché la controversia abbia ad oggetto la concreta erogazione del contributo o il ritiro disposto dalla p.a. per inadempimento degli obblighi imposti al beneficiario, senza che siano ravvisabili margini di discrezionalità nell’apprezzamento delle ragioni di pubblico interesse sottese all’erogazione o al recupero.
Come già evidenziato l’orientamento della Corte di legittimità è condiviso dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. sent. n. 7204/2016, confermata da Cons. Stato, sez. VI, n. 882/2018, n. 3064/2016, n. 1531/2015, n. 211/2015).
Merita di essere menzionata la sentenza dell’Adunanza  Plenaria del Consiglio di Stato 29 gennaio 2014 n. 6 secondo cui sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario:
a) quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge ed alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione;
b) qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull’inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo.
Viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo:
a) qualora la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio;
b) quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario.
La sentenza Cons. Stato Ad. Plen. 29 gennaio 2014 n. 6, è interessante anche perchè ha disatteso l’orientamento minoritario espresso da Ad. Plen.  luglio 2013 n. 13  che, contrariamente alla tesi maggioritaria sopraesposta, e muovendo dalla qualificazione del denaro come bene pubblico e di conseguenza dell’atto di erogazione come provvedimento di natura concessoria,   sosteneva che le controversie in materia di attribuzione (e, quindi, di revoca) di contributi o agevolazioni finanziarie rientrassero nella giurisdizione esclusiva di cui il giudice amministrativo dispone in materia di concessioni di beni pubblici ai sensi dell’art. 133, lett. b) cod. proc. amm.
Ebbene la Plenaria del 2014 pone in luce le criticità del suddetto orientamento minoritario.
Anzitutto deve essere  esclusa l’equiparabilità tra concessione di beni ed erogazione del denaro, in quanto, anche se il denaro è annoverabile nella categoria dei beni, non va confusa la figura della concessione a privati di benefici pubblici, che presuppone l’uso temporaneo da parte dei privati di detti beni per una finalità di pubblico interesse, con quella del finanziamento, che implica un tipo di rapporto giuridico del tutto diverso, in forza del quale il finanziato acquisisce la piena proprietà del denaro erogatogli ed eventualmente assume l’obbligo di restituirlo in tutto o in parte ad una determinata scadenza. Ben altrimenti, infatti, nell’uno e nell’altro caso, le finalità pubbliche s’intrecciano con l’interesse del concessionario o del finanziato, e le ragioni di non agevole distinguibilità tra posizioni di diritto soggettivo e d’interesse legittimo, che sottostanno alla scelta legislativa di attribuire alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in tema di concessione di beni o servizi pubblici, non necessariamente ricorrono nei rapporti di finanziamento. Né, d’altronde, il carattere eccezionale della giurisdizione esclusiva ne consente l’applicazione al di là dei casi indicati dalla legge (in questi termini Cass. Sez. Un. 19 maggio 2008, n. 12641, par. 3 della motivazione).
In secondo luogo, alla sussistenza della giurisdizione amministrativa osterebbe, comunque, la riserva, prevista dallo stesso art. 133, lett. b) cod. proc. amm., a favore della giurisdizione ordinaria di tutte le questioni patrimoniali inerenti a compensi vantati dal concessionario, qualunque sia il nomen in concreto utilizzato (“canoni, indennità ed altri corrispettivi”) (in tal senso cfr., fra le altre, Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2002, n. 1989; Cass. Sez. Un. 11 gennaio 1994, n. 215; Cass. Sez. Un. 10 dicembre 1993, n. 12164).
In terzo luogo, l’insussistenza di una giurisdizione esclusiva afferente, in generale, alla materia di contributi pubblici risulta confermata, argomentando a contrario, dalla recente introduzione, ad opera della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea), nel testo dell’art. 133 del codice del processo amministrativo della lettera z-sexies. La disposizione in esame ha espressamente devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie relative agli atti ed ai provvedimenti che concedono aiuti di Stato in violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di recupero di cui all’articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999, a prescindere dalla forma dell’aiuto e dal soggetto che l’ha concesso”. In questo modo, la “concessione” di aiuti non notificati e il “recupero” di aiuti incompatibili diventano, per tabulas, materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Nell’ambito della variegata categoria dei contributi pubblici, il legislatore ha, dunque, selezionato una species, (quella dei contributi che costituiscono aiuti di Stato), attribuendoli espressamente alla giurisdizione esclusiva, realizzando così una reductio ad unitatem, con l’effetto di escludere le altre giurisdizioni nazionali (ordinaria e tributaria) e di superare le diversità delle molteplici discipline sostanziali. Se ne deduce che una tale previsione si giustifichi proprio sul presupposto che, in assenza di norme speciali, la giurisdizione in materia di contributi e agevolazioni finanziarie è soggetta agli ordinari criteri di riparto, con il conseguente possibile concorso, a seconda del tipo di controversia e di situazione soggettiva dedotta, delle giurisdizioni ordinaria, amministrativa e tributaria.
In quarto luogo, l’esclusione della sussistenza di una giurisdizione esclusiva consente di superare anche l’argomento fondato sull’art. 7 cod. proc. amm., laddove tale disposizione richiama, attraverso la formula “atti […] rincoducibili anche mediatamente all’esercizio del potere amministrativo” le espressioni contenute nelle note sentenze della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204 e 11 maggio 2006, n. 191. Al riguardo si osserva che nella citata giurisprudenza costituzionale, invero, il riferimento alla riconducibilità della controversia, anche in via mediata o indiretta, all’esercizio del potere viene utilizzato non come criterio generale di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, ma come criterio legittimante, sotto il profilo della compatibilità con il vincolo costituzionale delle “particolari materie” di cui all’art. 103 Cost., la stessa giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In altri termini, dalla richiamata giurisprudenza costituzionale non può ricavarsi che ogni controversia comunque riconducibile, sia pure in via indiretta o mediata, all’esercizio del potere pubblico possa essere ricondotta alla giurisdizione amministrativa di legittimità, involgendo, per ciò solo, posizioni di interesse legittimo. La Corte costituzionale, al contrario, ha individuato nella riconducibilità all’esercizio, pure se in via indiretta o mediata, del potere pubblico, il criterio che legittima la scelta legislativa di introdurre una ipotesi di giurisdizione esclusiva, escludendo, per converso, tale possibilità ove detto collegamento sia assente.
In quinto luogo, si ritiene che non possa essere enfatizzata, per derogare a detto assetto, neanche la finalità “di assicurare la concentrazione delle tutele”, pur richiamata dall’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69. Quello della concentrazione delle tutele è, infatti, in primo luogo, un criterio direttivo che la legge delega ha posto all’esercizio del potere legislativo delegato da parte del Governo e che ha legittimato, fra l’altro, la scelta (già avallata dalla sopra citata giurisprudenza costituzionale) di concentrare in campo al giudice amministrativo ogni forma di tutela dell’interesse legittimo, ivi compresa quella risarcitoria. Esso, tuttavia, non consente di attrarre, in via meramente interpretativa e senza base normativa, nell’ambito della giurisdizione amministrativa controversie relative a diritti soggettivi, pure a prescindere dall’individuazione di una disposizione legislativa fondante un’ipotesi di giurisdizione esclusiva.. 
Infine, la Plenaria ritiene non condivisibile neanche l’argomento secondo cui gli atti di ritiro di cui si discute, in quanto espressione di “autotutela”, sarebbero per ciò solo atti di esercizio di un potere autoritativo, a fronte del quale non potrebbe che configurarsi una posizione di interesse legittimo del privato. Nel caso di specie, al contrario, non viene in rilievo il generale potere di autotutela pubblicistica (fondato sul riesame della legittimità o dell’opportunità dell’iniziale provvedimento di attribuzione del contributo e sulla valutazione dell’interesse pubblico), ma lo speciale potere di autotutela privatistica dell’Amministrazione (di cui peraltro l’ordinamento conosce altre tassative ipotesi, le più importanti delle quali si riscontrano nell’esecuzione dei contratti pubblici: cfr. le ipotesi di recesso e risoluzione di cui agli artt. 134-136 d.lgs. 12 aprile 2006 recante Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), con il quale, nell’ambito di un rapporto ormai paritetico, l’Amministrazione fa valere le conseguenze derivanti dall’inadempimento del privato alle obbligazioni assunte per ottenere la sovvenzione. L’atto in questione si configura come declaratoria della sopravvenienza di un fatto cui la legge ricollega l’effetto di determinare la decadenza dal diritto di godere del beneficio e trova ragione non già in una rinnovata ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato, ma nell’asserito inadempimento degli obblighi imposti al beneficiario e nella verifica dei presupposti di esigibilità del credito. Ne deriva che le contestazioni che investono l’esercizio di tale forma di autotutela, sono sottratte alla giurisdizione del giudice amministrativo e sono devolute a quella del giudice ordinario. 
A completamento del sopra delineato quadro giurisprudenziale, merita di essere segnalata l’ordinanza delle Sez. Un Civ. 5 agosto 2016 n. 16602 resa in materia di revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche per comportamenti contrari agli obblighi nascenti dalla “concessione provvisoria” del contributo.
L’ordinanza, superando  la tesi contraria del Consiglio di Stato resa in sede consultiva che rimarcava la “natura di agevolazione concessa solo in via provvisoria rispetto alla quale in capo al soggetto concessionario sorge un mero interesse legittimo” (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. II consultiva, n. 2064/2015) riconosce la giurisdizione  del Giudice Ordinario .
Le Sezioni Unite della Suprema Corte  chiariscono che “la situazione giuridica che origina dal decreto di concessione “provvisoria” del contributo pubblico (nella specie emesso ai sensi del D.L. n. 415 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 488 del 1992, e del D.M. 20 ottobre 1995, n. 527) è di diritto soggettivo ed ha ad oggetto la prestazione patrimoniale come definita e liquidata già dalla prima rata, all’esito della graduatoria fra le imprese richiedenti: la concessione “provvisoria” è sufficiente a far sorgere un diritto di credito dell’impresa al contributo, credito che deve essere soddisfatto dall’amministrazione erogante, senza margini di discrezionalità (tra le altre, Cass., sezioni unite, n. 15618 del 2006; Cassazione, sezione semplice, n. 7584 e n. 7870 del 2015)”.
Ne consegue, secondo le Sezioni Unite che “in tale quadro, l’eventualità che l’Amministrazione pubblica possa revocare in tutto od in parte il contributo, in caso di gravi inadempimenti della impresa beneficiaria nella esecuzione dei lavori finanziati, non trasforma la situazione giuridica sottostante in interesse legittimo: ove la revoca sia motivata su asseriti inadempimenti del precettore del contributo, per la dedotta violazione di obblighi nascenti dall’atto concessorio del finanziamento, la situazione soggettiva fatta valere dal beneficiario rimane di diritto soggettivo e la pubblica amministrazione non ha alcun margine di discrezionalità (in senso stretto) nell’apprezzamento di detti inadempimenti”.

3. Considerazioni conclusive

La presente trattazione ha avuto lo scopo – pur senza pretesa di esaustività –  di porre l’attenzione sul dibattito stratificatosi negli anni  in ordine al riparto di giurisdizione in materia di revoca di  contributi e sovvenzioni pubbliche; dibattito che è approdato all’unanime orientamento -dei massimi Consessi della Giustizia civile ed amministrativa – che individua nella natura della posizione giuridica soggettiva del privato (interesse legittimo, diritto soggettivo) il criterio dirimente per individuare il Giudice dinanzi al quale ottenere tutela a fronte dell’esercizio del potere di autotutela della PA.

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Adele Saito

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