Beni culturali immateriali: il recente riconoscimento legislativo

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Article 21 of the recent Law 27 December 2023, n. 206 provides, for the first time, the recognition of the category of intangible cultural heritage as the object of the provisions of the Cultural Heritage and Landscape Code. After decades of debate, the conception of the Bottai law based on the principle of the protection of cultural heritage, qui tangi potest, i.e. tangible assets, has been overcome.
The extreme brevity of the article, however, requires a necessary reference to the international conventions in force on the subject, namely the UNESCO Convention of Paris of 2003 and the Convention of Faro of 2005.
The reference to these instruments, however, creates further problems caused by the typology of these regulatory sources which are necessarily very generic, to adapt to the different national regulatory contexts.
Such a circumstance leads to major problems of interpretative and applicative nature.
This article aims to contribute to a debate that allows us to overcome conditions of probable inapplicability of such a long-awaited provision.
In conclusion, the essay suggests that the legislator intervenes by means of a short legislative framework which provides for a simple reference, for the matter, to the European legislation about C.L.L.D. or Community Led Local Development. The suggested regulatory reference would make it possible to save the principle of the Faro Convention which leaves the definitions, both in planning and management, of the policies for the valorization of intangible cultural heritage to citizens and heritage communities.

Indice

1. Riconoscimento legislativo del patrimonio culturale immateriale e (ennesima) riforma organizzativa del ministero della cultura


L’art. 10 del DL 10 agosto 2023, n. 105 convertito con modificazioni dalla L. 9 ottobre 2023, n. 137 ha recato nuove disposizioni in materia di cultura e di organizzazione del Ministero della cultura. 
Il successivo art. 21 della Legge 27 dicembre 2023, n. 206, Disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy, pubblicato sulla GU Serie Generale n.300 del 27-12-2023, ha completato la riorganizzazione funzionale inserendo negli ambiti di competenza amministrativa del Ministero il patrimonio culturale immateriale
Per fare questo al comma 1 dell’art. 21 ha previsto che “Il Ministero della cultura e, per i profili di competenza, il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e le altre amministrazioni competenti promuovono la valorizzazione e la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, quale insieme di beni intangibili espressione dell’identità culturale collettiva del Paese.”. Viene, dunque, per la prima volta, riconosciuto il valore culturale dei beni immateriali o intangibili per l’identità collettiva nazionale.
Il 2 comma della stessa art. 21 prevede poi: 
“A tal fine, al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 52, comma 1, dopo le parole: «in materia di beni culturali » sono inserite le seguenti: « materiali e immateriali »
b) all’articolo 53, comma 1, lettera b), le parole: « del patrimonio culturale » sono sostituite dalle seguenti: « , anche economica, del patrimonio culturale materiale e immateriale ».
Il combinato disposto delle due norme ha dunque apportato le seguenti modificazioni in ordine alle aree funzionali. 
Ai sensi del novellato art. 52 comma 1 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, il Ministero della Cultura esercita, anche in base alle norme del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, e del testo unico approvato con decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, le attribuzioni spettanti allo Stato in materia di beni culturali materiali e immateriali, beni paesaggistici, spettacolo, cinema  e audiovisivo, eccettuate quelle attribuite, anche dal presente decreto, ad altri ministeri o ad agenzie, e fatte in ogni caso salve, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1, comma 2, e 3, comma 1, lettere a) e b), della legge 15 marzo 1997, n. 59, le funzioni conferite dalla vigente legislazione alle regioni ed agli enti locali.
Col nuovo art. 53 del D.Lgs 30 luglio 1999, n. 300, il Ministero della Cultura svolge le funzioni e i compiti di spettanza dello Stato nelle seguenti aree funzionali: a) tutela dei beni culturali e paesaggistici; b) gestione e valorizzazione, anche economica, del patrimonio culturale materiale e immateriale, degli istituti e dei luoghi della cultura; c) promozione dello spettacolo, delle attività cinematografiche, teatrali, musicali, di danza, circensi, dello spettacolo viaggiante; promozione delle produzioni cinematografiche, audiovisive, radiotelevisive e multimediali; d) promozione delle attività culturali; sostegno all’attività di associazioni, fondazioni, accademie e altre istituzioni di cultura; e) studio, ricerca, innovazione ed alta formazione nelle materie di competenza; f) promozione del libro e sviluppo dei servizi bibliografici e bibliotecari nazionali; tutela del patrimonio bibliografico; gestione e valorizzazione delle biblioteche nazionali; g) tutela del patrimonio archivistico; gestione e valorizzazione degli archivi statali; h) diritto d’autore e disciplina della proprietà letteraria; i) promozione delle imprese culturali e creative, della creatività contemporanea, della cultura urbanistica e architettonica e partecipazione alla progettazione di opere destinate ad attività culturali; i-bis vigilanza sull’Istituto per il credito sportivo e culturale Spa, per quanto di competenza.
La normativa ha stabilito poi che il Ministero si articola in dipartimenti. Il numero dei dipartimenti non può essere superiore a quattro, in riferimento alle aree funzionali di cui all’articolo 53 dello stesso D.Lgs 300, e il numero delle posizioni di livello dirigenziale generale non può essere superiore a trentadue, ivi inclusi i capi dei dipartimenti.
Con norma transitoria è poi stabilito che fino alla data di entrata in vigore dei regolamenti di organizzazione, da adottare, entro il 31 dicembre 2023, mediante le procedure di cui all’articolo 13 del decreto-legge 11 novembre 2022, n. 173, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 dicembre 2022, n. 204, continua ad applicarsi il regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 2 dicembre 2019, n. 169. Gli incarichi dirigenziali generali e non generali decadono con il perfezionamento delle procedure di conferimento dei nuovi incarichi ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Sono in ogni caso fatte salve le funzioni delle strutture preposte all’attuazione degli interventi  del Piano nazionale di ripresa e resilienza di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 aprile 2023, n. 41, nonché della Soprintendenza speciale per il PNRR, di cui all’articolo 29 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108.

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Prime considerazioni sull’articolato dell’art. 21 della legge n. 206/23: proposta di correzione normativa con rimando alla normativa europea ai fini dell’applicazione dei principi di partecipazione comunitaria e di sussidiarietà orizzontale a mezzo dei CLLD


La normativa sul riconoscimento del valore culturale dei beni immateriali è scarna. Semplicemente riconosce l’esistenza di questa tipologia culturale ma non definisce la nozione né da altri dettagli.
Sembrerebbe che ai fini definitori debbano essere, dunque, richiamate le succitate Convenzioni internazionali Unesco e quella di Faro, in particolare.  
La Convenzione di Faro fornisce, all’art. 2.a), una definizione estremamente vasta di patrimonio culturale. La Gualdani osserva che essa conduce al “dissolvimento della linea di distinzione tra ciò che è patrimonio e ciò che non lo è, poiché sembra che tutto sia suscettibile di ricadere sotto l’ombrello del patrimonio così definito.” Di fronte a una nozione così estesa, quali possono essere le implicazioni sulle funzioni di promozione e valorizzazione del patrimonio culturale intangibile? 
Se tutto è patrimonio culturale, si rischia di arrivare al paradosso che nulla lo possa concretamente essere, causa l’impossibilità di promuovere e valorizzare ogni componente spaziale e/o temporale del vissuto umano. 
Faro reca una nozione che rischia di rivelarsi inattuabile nella realtà, non consentendo a livello nazionale un effettivo ed efficace esercizio delle funzioni culturali.
Di fronte ad una mancata definizione normativa di ciò che è patrimonio culturale immateriale le amministrazioni preposte, così come i privati, potrebbero trovarsi nell’impossibilità di attuare una politica su beni culturali “tanto intangibili da essere indefiniti e, dunque, irreali”.
In alternativa, si potrebbe procedere, per come suggerito tra breve, con lo strumento dei CLLD (con tutte le problematiche che tale strumento lascia inevase e che tra poco esporremo).
Non solo. C’è di più a rendere incerta l’applicazione giuridica di tale categoria nominale dei valori culturali. 
La Convenzione di Faro riconosce a ognuno, da solo o collettivamente, il diritto al patrimonio culturale, che si traduce nel diritto, individuale o collettivo, di trarre beneficio dal patrimonio e di contribuire al suo arricchimento, con corrispondenti responsabilità (preambolo, artt. 1 e 4). Tali espressioni richiamano quel diritto internazionale che ancora, sempre in modo generico, estende la protezione del patrimonio culturale alla sfera dei diritti umani fondamentali, al di là delle mere questioni coinvolgenti il diritto di proprietà.[i]
Allo stesso tempo, però, la Convenzione prevede l’interesse pubblico di individuare in modo preciso l’oggetto della protezione e giustificarne la regolamentazione giuridica e ogni altra attività pubblica a tutela di fronte all’esercizio di interessi privati (art. 5.a) e di rafforzare i molteplici valori ricollegabili al patrimonio (artistico, storico, ambientale, sociale, simbolico, economico, educativo, ricreativo, etc.)  attraverso “l’identificazione, lo studio, l’interpretazione, la protezione, la conservazione[ii] e la presentazione” (art. 5.b).[iii]
Il su esposto collocamento dell’individuo e delle comunità patrimoniali al centro della nozione di patrimonio culturale pone il problema delle responsabilità e competenze, da ripartire tra autorità pubbliche, cittadini (SIC!) e comunità, nel processo di definizione del valore del patrimonio culturale: in altri termini, se la genericità delle espressioni ben si attaglia ad una mozione di principio, tale genericità rischia di creare un vulnus normativo in Italia, ove il processo di definizione è demandato esclusivamente allo Stato centrale.
Ed ancora, atteso che Faro spinge verso la decentralizzazione del processo decisionale nella gestione dei patrimoni, sono possibili “filtri” per il controllo dei valori attribuiti al patrimonio dalle comunità patrimoniali, intervenendo in presenza di valori illiberali o contrari ai diritti umani? Ad esempio, visto il massivo ingresso, in Europa e in Italia, di immigrati di fede e cultura islamica, sarebbe concepibile un filtro che prevenga la promozione della “cultura dell’infibulazione femminile” piuttosto che della sharia, praticata tutt’ora in molte nazioni? Se sì, chi dovrebbe svolgere tale funzione?
Prevedendo che gli Stati debbano prendere in considerazione il valore attribuito da ogni comunità patrimoniale al patrimonio culturale in cui essa si identifica (art. 12.b), si decentralizza il processo decisionale nel senso di un partenariato istituzionale pubblico privato di tipo operativo o di una delega della gestione (totale o parziale?)  a comunità? Se dovesse trattarsi di una compartecipazione, secondo quali forme e gradi tale compartecipazione democratica dovrebbe avvenire? 
Stando alla Convenzione di Faro verrebbero bypassati i centri di competenza centrali, giacché non partecipati dai privati, quali l’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale, operante sotto la Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio. Bisognerebbe, dunque, abolire detto ente?
Una delle risposte possibili, riscontrabile purtroppo in limitatissima dottrina[iv], è quello delle attività di tipo sussidiario[v] messe in opera dai CLLD ovvero dai Community Led Local Development (Strumenti di Sviluppo Locale di tipo Partecipativo) a mezzo dei Local Action Groups (Gruppi Azione Locale) della programmazione dei fondi strutturali europei.
In tale modello la regolamentazione europea (Reg.UE 2021/1060 e Reg.2021/1058) già delinea una procedura partecipativa poi meglio definita per ogni regione dai documenti di programmazione. 
Il problema è che il detto articolato di legge non cita né rimanda alla normativa europea sul tema. 
Si potrebbe, per altro verso, rispondere che la regolamentazione europea sia già vigente erga omnes. Contro tale affermazione milita però l’argomento che limita tali regolamentazioni alla programmazione e gestione dei soli fondi strutturali. Lo strumento dei CLLD non trova, infatti, riconoscimento diretto nella normativa nazionale, salvo un riferimento, decisamente indiretto, al principio di sussidiarietà nell’art.118 della Costituzione, che declina una modalità dei CLLD ma non tutto lo spettro definitorio dell’istituto.[vi]
Come dare risposta alle questioni qui rappresentate?
Si potrebbe, secondo noi, redigere un brevissimo articolato normativo che preveda un riferimento alla regolamentazione europea sul CLLD. 
Tale semplice rimando giustificherebbe la circostanza che, in via amministrativa, si determinino, poi, a mezzo di regolamenti attuativi e/o circolari, ambiti locali che definiscano coalizioni di privati, comunità ed enti territoriali proponenti programmi pluriennali di valorizzazione per contenuti intangibili, ivi comprovatamente diffusi negli usi locali. 
Tali ambiti potrebbero essere costituiti, di volta in volta variando circostanze amministrative e programmazioni, secondo il modello dei GAL a mezzo di Piani di Sviluppo (o Azione) Locale, come nei programmi Leader attuati secondo la prassi del CLLD, anche costituiti, per come proposto dallo scrivente e da Pietro Petraroia, sotto forma di “fondazione di comunità, rectius Fondazione di Comunità Solidale, Ecologica e Culturale”. [vii]
In mancanza, crediamo che il prevedere proposte di parametrazioni territoriali e/o di contenuti solo da parte del Ministero o da parte delle Regioni o delle Province o Città metropolitane, rischierebbe di andare contro i principi partecipativi della Convenzione di Faro.  
Inoltre, per come detto in nota, se la giurisprudenza costituzionale ha potuto, in passato, fare valere il profilo proprietario sui beni culturali materiali per attribuire le competenze in tema di valorizzazione, tale interpretazione non si presterebbe affatto, come ovvio, ai valori intangibili.
Osserviamo, infine, che la sopra esposta proposta di rimando normativo potrebbe risolvere anche le questioni programmatorie e, dunque, a cascata finanziarie, su come si dovrà attuare e declinare, dal punto di vista delle politiche di incentivazione a privati, piuttosto che delle politiche pubbliche di promozione e valorizzazione, la indefinita categoria dei beni culturali immateriali.
Potrebbe, in altri termini, dare risposta alle rivenienti problematiche su “quali priorità dare, quali definizioni privilegiare, quali ambiti comunitari preferire”. 
Quanto qui proposto consta, come detto, la mancanza di riferimenti normativi, anche indiretti, su cui incardinare un’eventuale fattibilità in linea solo amministrativa. L’unica via è, pertanto, quella normativa, ancorché inverata in un semplice rimando alla normativa europea.
In conclusione, la genericità del testo di legge e l’assenza anche di semplici rimandi ad altri istituti, come il CLLD europeo, rischierebbe, dunque, di rendere inattuabile una politica di promozione e valorizzazione dei valori culturali intangibili oggi inseriti tra le funzioni amministrative del Ministero della Cultura.
La qui rappresentata proposta di rimando alla normativa europea consentirebbe, invece, di rendere attuabili nuove politiche di valorizzazione per la categoria dei beni culturali immateriali al fine di evitare di applicare la Convenzione di Faro, che, per i motivi sopra edotti, è “normativa sui generis”, e, dunque, di per sé generica e di difficile attuazione. 

Note

  1. [1]

    P. Meyer-Bisch dice che, il diritto al patrimonio si configura come una sorta di diritto di proprietà, ma rimane comunque al di fuori dell’ambito della proprietà privata. Il diritto al patrimonio “ranges from a personal or family heirloom […] to the common heritage of humankind, through community and national heritages”. P. Meyer-Bisch, On the “right to heritage” – The innovative approach of Articles 1 and 2 of the Faro Convention, in Council of Europe, Heritage and Beyond, cit., pagg. 59-64, qui pag. 63

  2. [2]

    Va precisato, per inciso, che, a nostro avviso. Il concetto, per come definito nelle legislazioni nazionali, di “conservazione” o “tutela” o “salvaguardia” poco si attagliano alla categoria dei beni intangibili. Uniche attività declinabili a favore dei beni immateriali possono essere soltanto quelle di valorizzazione, di promozione e di fruizione. Idem A. Gualdani, I beni culturali immateriali: una categoria in cerca di autonomia, Aedon 1, 2019, pag.3. Si veda anche C. Lamberti, Ma esistono i beni culturali immateriali? (in margine al Convegno di Assisi sui beni culturali immateriali), in Aedon, 2014, 1, par. 1.

  3. [3]

    N. Fojut, The philosophical, political and pragmatic roots of the convention, in Council of Europe, Heritage and Beyond, cit., pagg. 17 e ss

  4. [4]

    Sul tema dei CLLD nel settore culturale sia consentito rimandare a A.Angelini, A. Bruno, “Place-Based. Sviluppo Locale e Programmazione 2014-2020”, ISBN 9788891742971 Prefazione di Giovanni Puglisi, pag. 220 – Franco Angeli Editore – 2016; A.Bruno, Sviluppo locale di tipo partecipativo ed organismi di diritto pubblico, per la gestione dei beni culturali – parte I e II pubblicati il 9 agosto 2018 su www.diritto.it;  A.Bruno, L’approccio partecipato dei piani di gestione Unesco e dei piani strategici di sviluppo culturale pubblicato il 20 gennaio 2019 su www.ildirittoamministrativo.it; A.Bruno, Natura giuridica dei gruppi di azione locale (CLLD) e prospettive future pubblicato il 15 febbraio 2019 su www.ildirittoamministrativo.it e, infine, A.Bruno, P.Petraroia, “Capitale culturale, resilienza territoriale e pandemia: un approccio sussidiario alla gestione delle sfide su «Il capitale culturale», Supplementi 11 (2020), pp. 425-446ISSN 2039-2362 (online); ISBN 978-88-6056-670-6; DOI: 10.13138/2039-2362/2546. Si perdonino tali riferimenti autoreferenziali dovuti alla inesistenza di dottrina sul tema. 

  5. [5]

    Sul tema della declinazione della sussidiarietà nel settore culturale si veda A. L. TARASCO, Il federalismo demaniale e la sussidiarietà obliqua nella gestione dei beni culturali, in Riv. Giur. Mezzogiorno, n. 4/2011, 1069 ss., ove si è evidenziato come “la pur condivisibile attenzione per la delicatezza del nostro patrimonio culturale sembra giustificare troppe deroghe rispetto a principi fondanti della nostra Repubblica quali la sussidiarietà verticale ed orizzontale (art. 118 Cost.) che ricevono in quel comparto una traduzione concretamente obliqua che poco partecipa di quegli stessi principi”). Sul tema della problematica applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale dell’ordinamento dei beni culturali, si veda anche a A. L. TARASCO, La valorizzazione del patrimonio culturale tra project financing e gestione diretta: la difficile sussidiarietà orizzontale, in Riv. Giur. Edilizia, 2005, 108 ss. 

  6. [6]

    Una via suggestiva e di cui servirebbe fare verifiche di fattibilità è quella proposta dal Tarasco. Unire l’atipicità dei contratti ex-art.1, c. 1-bis della L.241/90 con la possibilità di declinare le politiche sussidiarie da esprimere magari, diciamo noi, sotto forma di CLLD (si permetta ancora rinviare a A.Angelini, A. Bruno, “Place-Based. Sviluppo Locale e Programmazione 2014-2020”, Franco Angeli Editore – 2016 e agli altri testi in materia di CLLD sopraccitati). Riportiamo un passaggio di Tarasco sul tema: “Allo stesso modo, sul piano civilistico, il potere di creare contratti atipici (art. 1322, comma 2, c.c.) costituisce un ulteriore congegno elaborato dal legislatore per mediare tra normazione del procedimento (nella specie, attraverso la tipizzazione delle figure negoziali) e riconoscimento della creatività degli attori giuridici concreti, Il contenuto dei contratti atipici, infatti, così come le ordinanze di necessità ed urgenza, non sono predeterminati dal legislatore, il quale, però, riconosce in capo ai singoli soggetti (rispettivamente, contraenti e organi pubblici) la capacità di regolamentare la fattispecie concreta di cui — pur se a diverso titolo — sono protagonisti. Esercitando la libertà conferita dall’ordinamento, essi agiscono come soggetti che traducono nel mondo giuridico la propria creatività e sensibilità di persone, contribuendo a vivificare una dinamica ed un processo che altrimenti sarebbero ingessate dalle architetture legislative predeterminate. Gli esempi, nonostante la loro eterogeneità, rappresentano una risposta indicativa che il legislatore ha fornito al problema del rapporto tra disciplina dei procedimenti e promozione delle vive dinamiche che ne sono alla base.”, si veda A.L. Tarasco, op.cit. pag. 69 .

  7. [7]

    “Già esiste, in proposito, un regolamento del MiBACT (D.M. n. 491/2001) in materia di costituzione e partecipazione a fondazioni. La Regione Siciliana con la legge regionale 26 marzo 2002, n. 2, art. 64 comma 1 è autorizzata, parimenti, a costituire o partecipare a fondazioni nel settore culturale. In altre regioni (Lombardia, Toscana e così via) la prassi è consolidata. Derivazione della Fondazione di Partecipazione è quella di Comunità. Quest’ultima è più decisamente orientata alla dimensione solidale ed è, dichiaratamente, pertinente al terzo settore. La Fondazione di Comunità rispetto alla Fondazione di Partecipazione è più idonea e finalizzata a raccogliere donazioni e a valorizzarle per il benessere di un determinato territorio e, in taluni casi, per gestire beni pubblici di rilievo locale promuovendo e implementando il Terzo Settore e l’impegno dei cittadini. Suggeriamo qui, almeno in prima battuta, di integrare fra di loro le due tipologie di soggetti: quello della Fondazione di Comunità e quello della Fondazione di Partecipazione” passo tratto da A.Bruno, P.Petraroia, “Capitale culturale, resilienza territoriale e pandemia: un approccio sussidiario alla gestione delle sfide su «Il capitale culturale», Supplementi 11 (2020), pp. 425-446ISSN 2039-2362 (online); ISBN 978-88-6056-670-6; DOI: 10.13138/2039-2362/2546, pag. 439.

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