Violazione del dovere di correttezza e non abuso d’ufficio per il sindaco che impedisce il passaggio pedonale con la propria auto

Redazione 22/10/13
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Biancamaria Consales

Così ha deciso la sesta sezione penale della Suprema Corte di cassazione, pronunciandosi, con sentenza n. 42849, depositata il 18 ottobre 2013, sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica avverso la decisione del Gup territorialmente competente.

Questi i fatti. Con sentenza del 1° febbraio 2013, il Gup ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere ex artt. 424, comma 2 e 425, comma 1, c.p.p., nei confronti di una coppia di coniugi, il primo nella qualità di Sindaco ed il secondo nella qualità di ex Sindaco del medesimo Comune, escludendo la sussistenza del reato di abuso di ufficio commesso, secondo il tema di accusa, per aver fatto uso di una strada pubblica per fini privati, ove i predetti imputati, vi avevano parcheggiato le proprie autovetture, rendendola di fatto impraticabile al transito pedonale di tutti i cittadini. Tale accesso pedonale era stato, poi, reso del tutto impercorribile attraverso l’apposizione di una grossa fioriera (acquistata tra l’altro, con un impegno di spesa del Comune) su uno degli ingressi del vicolo e la sosta sistematica delle rispettive autovetture private sulla stretta carreggiata pedonale, ove ad arte, non era stato previsto il divieto di sosta.

La Corte di cassazione, con la sentenza in oggetto, ha respinto il ricorso della procura contro la sentenza di non luogo a procedere del Tribunale di merito.

“La natura pubblica della traversa ove vige un divieto di transito, ma non anche un divieto di sosta, ne consente comunque la fruizione, per finalità di sosta, a tutti gli utenti della strada, non risultandone impedito l’accesso, da parte di chiunque, sul versante opposto a quello ove si trova posizionata la fioriera: la permanenza di autovetture in sosta, infatti, non impedisce il passaggio pedonale, ovvero il transito di carrozzelle per disabili.

L’art. 323 c.p. – hanno concluso gli Ermellini – con il richiamo alla locuzione nello svolgimento della funzione o del servizio, richiede che il funzionario realizzi la condotta illecita agendo nella sua veste di pubblico ufficiale o di incaricato dl pubblico servizio, con la conseguenza che rimangono privi di rilievo penale quei comportamenti, che, quand’anche posti in violazione del dovere di correttezza, siano tenuti come soggetto privato senza servirsi in alcun modo dell’attività funzionale svolta”.

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