Risarcimento danni da animali selvatici: a chi spetta?

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In punto di diritto la responsabilità aquiliana per i danni a terzi (nel caso in esame cinghiale sbatte contro un’auto e responsabile è la Provincia) deve  essere imputata all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o  Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i  poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata,  con autonomia decisionale sufficiente a consentire loro di svolgere l’attività in  modo da poter amministrare i rischi di danni a terzi che da tali attività derivino. Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, con l’ordinanza del 29 maggio 2018, n. 13488, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso, nel caso de quo, dalla Corte d’appello di Roma. Ai danni causati dalla fauna selvatica è dedicato il volume “Stima dei danni provocati da fauna selvatica alle coltivazioni agricole e al patrimonio ittico e zootecnico“, a cui rimandiamo per approfondimenti.

Indice

1. La vicenda: danni da animale selvatico


La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che nel 2009 TIZIO conveniva dinanzi al Tribunale di Rieti la Regione Lazio e l’Amministrazione provinciale, per sentirle condannare al risarcimento dei danni derivanti dalla collisione della sua auto con un cinghiale che improvvisamente gli attraversava la strada riportando all’esito danni meccanici e di carrozzeria. Il Tribunale adito, con sentenza 24X/2009, condannava i convenuti in solido al risarcimento del danno, applicando l’art. 2052 cc. A seguito di interposto appello, anche per vizi procedurali, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza 59XX/2016, rilevava che dalla istruttoria effettuata emergeva un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico, ovvero l’omissione di qualsivoglia cautela atta ad impedire il vagare incontrollato di animali selvatici, comportamento incidente eziologicamente sul danno patito da Tizio. Ed il potere di adottare le misure necessarie per prevenire i danni causati dagli animali selvatici (D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267), poteva essere esercitato solo dalla Provincia di Rieti, mentre alla Regione Lazio non poteva  essere mosso alcun rimprovero negli stessi termini, esercitando soltanto  funzioni di programmazione e di coordinamento della pianificazione faunistica. Pertanto, la Corte territoriale condannava la provincia di Rieti al risarcimento dei danni in favore di Tizio. Avverso la predetta sentenza l’Amministrazione provinciale di Rieti propone ricorso per cassazione, con tre motivi.
Ai danni causati dalla fauna selvatica è dedicato il volume “Stima dei danni provocati da fauna selvatica alle coltivazioni agricole e al patrimonio ittico e zootecnico“, a cui rimandiamo per approfondimenti

FORMATO CARTACEO

Stima dei danni provocati da fauna selvatica alle coltivazioni agricole e al patrimonio ittico e zootecnico

L’obiettivo di questo manuale è quello di guidare il professionista alla corretta stima dei danni provocati alle colture e al patrimonio zootecnico dalla fauna selvatica, che incide con sempre maggior peso nel cagionare perdite economiche significative al settore primario. Il testo considera la normativa vigente in materia e l’organizzazione dell’attività di controllo; è infatti basilare ricordare che il perito una volta stimato il danno subito dall’agricoltore dovrà determinare l’indennizzo sulla scorta dei regolamenti regionali.Vengono poi descritti i principali autori dei danni, le loro abitudini alimentari e i segni che lasciano sul territorio, quasi una firma che ci consente di ricostruire il nesso causale del danno stesso.Nella seconda parte del testo sono proposte metodologie di rilevazione del danno, suddivise per coltura, e la successiva quantificazione economica dello stesso. Vengono affrontati anche i danni provocati da lupi e ursidi agli allevamenti zootecnici e dagli ittiofagi al patrimonio ittico.L’opera offre poi al lettore gli strumenti per l’esatta definizione delle varie tecniche estimative che il perito dovrà e potrà poi applicare nella sua valutazione.Massimo MoncelliLaureato in Scienze Agrarie, Perito Agrario Laureato, è esperto di estimo ed economia immobiliare, membro del Royal Institution of Chartered Surveyors e della Società Italiana di estimo e valutazioni. È iscritto nell’Elenco dei Docenti della Scuola Superiore della Magistratura e nell’albo degli esperti scientifici del MIUR. Autore di numerosi articoli e pubblicazioni tecniche in materia di estimo civile e legale.

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2. I motivi di ricorso


Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 2052 c.c., agli artt. 14, comma III, 95 D.P.R. 495/1992 e all’art. 14 D.Lgs. 285/1992 (art. 360, n. 3, c.p.c.), omesso esame di un fatto decisivo (art. 360, n. 5, c.p.c.), in quanto il giudice d’appello avrebbe errato perché pur valutando i fatti ai sensi dell’art. 2043 c.c. di fatto applicava invece l’art. 2052 c.c., ritenendo sussistente in capo alla provincia di  Rieti gli obblighi di vigilanza sul tratto stradale, che invece ricorrono in capo  alla Regione, come previsto dall’art. 95 D.P.R. 495/92 e 14 D.Lgs. 285/1992. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 243 c.c., in relazione all’art. 9, 1. 157/1992; artt. 9, 35 comma II, comma 42, L.R. 17/95; all’art. 19, comma 1, lettera E ed F d. Lgs.  267/2000; all’art. 9, 1. 157/1992; all’art. 14, comma I, lettera F, 1. 142/1990 (art.  360, nn 3 e 5, cpc) osservando che l’art. 35, comma II, L.R. 17/95 nell’elencare le ragioni per cui la Provincia provvede al controllo della fauna selvatica, non fa menzione dei danni cagionati a circolazione dei veicoli. Alle stesse conclusioni si perviene considerando il disposto delle lettere E ed F dell’art. 19, comma I,  d.lgs. 267/2000. Ancora, la legge 157/1992, all’art. 9, demanda le funzioni di controllo alle Regioni.

3. La decisione


La Corte di Cassazione, mediante la menzionata ordinanza n. 13488/2018, ha ritenuto i motivi non fondati ed ha rigettato il ricorso. Al fine di stabilire le competenze tra gli Enti la Corte di Cassazione ha osservato che l’art. 14 della legge 8  giugno 1990 n. 142 sulle autonomie locali attribuiva alle Province le funzioni  amministrative che attengano a determinate materie, fra cui la protezione della  fauna selvatica (1° comma lett. f), nelle zone che interessino in parte o per  intero il territorio provinciale. La legge 11 febbraio 1992 n. 157, attribuisce, invece, alle Regioni a statuto ordinario il compito di “emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie di fauna selvatica” (art. 1, 1° comma) e dispone che le Province attuino la disciplina regionale “ai sensi dell’art. 14, 1°  comma lett. i) della legge 8 giugno 1990 n. 142 “(art. 1, 3  comma), cioè in virtù  dell’autonomia ad esse attribuita dalla legge statale; non per delega delle  Regioni. Da tali disposizioni si evince che la Regione ha una competenza essenzialmente normativa, mentre alle Province spetta l’esplicazione delle concrete funzioni amministrative e di gestione, nell’ambito del loro territorio. Per quanto poi concerne la Regione, alcune leggi regionali hanno attribuito alle  Province tutti i compiti rilevanti ai fini della gestione della fauna selvatica:

  • l’istituzione delle oasi di protezione e la loro soppressione;
  • l’istituzione e la soppressione delle zone di ripopolamento e di cattura;
  • l’immissione di nuovi capi;
  • la determinazione della superficie adeguata alle esigenze biologiche degli animali;
  • la realizzazione delle attrezzature e degli interventi tecnici atti a perseguire gli scopi di protezione e di incremento delle specie;

attività tutte che  possono comportare maggiori o minori rischi di interferenze degli animali con  le attività esterne, in relazione alle modalità con cui vengano esplicate. Un eccesso di popolamento, la determinazione poco accorta dei luoghi in cui gli animali trovano cibo ed acqua, l’assetto e le modalità di delimitazione del  territorio in relazione alla prossimità con le strade pubbliche, ecc., possono  incrementare i rischi di interferenze con la circolazione dei veicoli. E’ inoltre previsto che le Province stipulino apposite polizze assicurative per il risarcimento dei danni, senza espressa limitazione ai danni alle coltivazioni e non altrimenti risarcibili, menzionati nel primo comma. Nell’ambito dei danni non altrimenti risarcibili si riconosce che l’ente gestore del territorio, tenuto all’indennizzo e interessato alla stipula dell’assicurazione, è la Provincia, pur se essa possa provvedere anche tramite l’utilizzazione di fondi regionali. Pertanto è da ritenere che la responsabilità aquiliana per i danni a terzi debba  essere imputata all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o  Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i  poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata,  con autonomia decisionale sufficiente a consentire loro di svolgere l’attività in  modo da poter amministrare i rischi di danni a terzi che da tali attività derivino. Inoltre la responsabilità per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi  disciplinata dalle regole generali di cui all’art. 2043 c.c. e non dalle regole di cui  all’art. 2052 c.c. Non è quindi possibile riconoscere una siffatta responsabilità  semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e  regionali affidano in generale il compito di controllo e gestione del fenomeno  del randagismo e neanche quello più specifico di provvedere alla cattura ed alla  custodia degli animali randagi, occorrendo la puntuale allegazione e la prova, il  cui onere spetta all’attore danneggiato in base alle regole generali, di una  concreta condotta colposa ascrivibile all’ente, e della riconducibilità dell’evento  dannoso, in base ai principi sulla causalità omissiva, al mancato adempimento di  tale condotta obbligatoria (ad esempio perché vi erano state specifiche  segnalazioni della presenza abituale dell’animale in un determinato luogo,  rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, e ciò nonostante  quest’ultimo non si era adeguatamente attivato per la sua cattura)» (Corte di Cassazione, n.  18954/2017). Nel caso in esame la Corte di Appello di Roma correttamente ha ritenuto che la responsabilità della fauna selvatica e del suo controllo era stato attribuito nello specifico dalla Regione alla provincia di Rieti sulla base della legge Regionale n.  17 del 2 maggio 1995 art. 35, II comma, e pertanto ha condannato quest’ultima al risarcimento del danno subito da Tizio perché la Provincia, quale ente titolare dei poteri di controllo e censimento della fauna selvatica non ha attuato i piani selettivi e di controllo della fauna selvatica.  

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