Sufficiente ad integrare il reato di stalking la volontà e la consapevolezza di porre in essere comportamenti minacciosi o molesti idonei a condizionare la vittima

Redazione 17/05/13
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Anna Costagliola

Ai fini della configurabilità del reato di stalking non occorre, sotto il profilo soggettivo, una rappresentazione anticipata del risultato finale, ma, piuttosto, la costante consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi e dell’apporto che ciascuno di essi arreca all’interesse protetto, insita nella perdurante aggressione da parte del ricorrente della sfera privata della persona offesa. È quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 20993 del 15 marzo scorso.

Secondo l’orientamento interpretativo seguito dalla ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, al quale ha aderito la Corte territoriale con la decisione impugnata innanzi ai Supremi giudici, il delitto di stalking di cui all’art. 612bis c.p. è configurabile quando il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, abbia cagionato nella vittima un grave e perdurante stato di turbamento emotivo ovvero abbia ingenerato un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto, ovvero ancora abbia costretto la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita. Sotto il profilo oggettivo, ad integrare la reiterazione del comportamento quale elemento costitutivo della fattispecie, sono sufficienti anche due sole condotte di minaccia o molestia. Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, invece, trattandosi di reato abituale di evento, è richiesto il mero dolo generico, quindi la volontà di porre in essere le condotte di minaccia o di molestia, con la consapevolezza dell’idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente necessari per l’integrazione della fattispecie legale.

Entrambi gli elementi, oggettivo e soggettivo, che concorrono a configurare il reato di stalking risultano integrati nella fattispecie portata all’attenzione della Suprema Corte, evidenziati proprio dalle modalità ripetute ed ossessive della condotta persecutoria compiuta dal ricorrente nei confronti della donna a lui in precedenza legata da una relazione affettiva e dalle conseguenze che ne sono derivate sullo stile di vita della persona offesa. 

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