Stalking: sufficiente per la misura cautelare che sia innescato nella vittima il timore per la propria incolumità o dei suoi congiunti

Redazione 26/06/13
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Lucia Nacciarone

Ad avviso dei giudici di legittimità (sent. n. 27798 del 25 giugno 2013) non occorre una lunga serie di azioni delittuose ma basta che la condotta produca nella vittima uno stato di angoscia che la costringa a cambiare le abitudini quotidiane.

Per questo è stato respinto il ricorso di un 42enne contro la misura del divieto di avvicinarsi ai luoghi di dimora e di lavoro della moglie per il reato di atti persecutori.

La suprema Corte, in linea coi giudici di merito, ha ritenuto legittimo il provvedimento sulla scia delle dichiarazioni rese dalla consorte, con la quale aveva in corso un procedimento di separazione personale: in più occasioni la donna era stata minacciata ed offesa dal marito e queste azioni avevano ingenerato in lei un timore talmente forte da costringerla a cambiare abitudini di vita.

Anche i contesti di separazione e i contrasti per l’affido dei figli non legittimano le minacce e le violenze nei confronti della donna, delle quali conseguenze diretta è stata una privazione della libertà di determinazione.

Proseguono, quindi, i giudici: «l’art. 612 bis del codice penale richiede la reiterazione delle condotte di violenza e minaccia ma è altresì evidente che non occorre una lunga sequela di azioni delittuose per ritenere integrato il reato, essendo sufficiente che esse siano di numero e consistenza tali da ingenerare nella vittima il fondato timore di subìre offesa alla propria integrità fisica e morale e da provocare nella stessa un perdurante e grave stato di ansia, ovvero un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto».

Ad avviso dei giudici, inoltre, è necessario che la misura cautelare sia ‘modellata’ in base alla situazione di fatto esistente nella realtà dando le prescrizioni quanto più circostanziate possibili e mai generiche.

Inoltre, è opportuno, concludono i giudici, che la misura sia concepita per assicurare da un lato la tutela della vittima del reato, dall’altro per restringere il meno possibile la libertà di movimento dell’indagato.

 

 

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