Spettano all’Ente le spese di trasferta che hanno un nesso con le finalità della missione: non rientrano nella categoria i massaggi al centro benessere

Redazione 06/03/12
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Biancamaria Consales

È quanto stabilito dalla seconda sezione penale della Corte di cassazione, che, con sentenza n. 8094 depositata il marzo 2012, ha condannato alla pena si sette mesi di reclusione oltre la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di un anno, un uomo politico. Le imputazioni che erano state rivolte all’uomo, presidente di un consiglio comunale, riguardavano, in particolare, i reati di truffa e minaccia, con l’aggravante dell’abuso dei propri poteri e del ruolo rivestito.

Questo il caso.  L’uomo si era recato in missione a Milano alla “Borsa internazionale del turismo” per conto dell’ente locale che rappresentava e, a tal fine, si era fatto anticipare 2.500 euro per far fronte alle spese di viaggio. Ma poi, approfittando delle risorse dell’Amministrazione, aveva provveduto ad offrire cene a persone estranee all’amministrazione, a comprare alcuni costumi da bagno ed addirittura si era recato in un centro benessere per farsi eseguire massaggi, pedicure e manicure. Naturalmente, la somma destinata alla sua “missione in trasferta” non era risultata sufficiente e, pertanto, ritornato in sede, aveva chiesto, ricorrendo ad artifizi e raggiri, una nuova determina, ottenendo altri 1.380 euro per coprire “le spese aggiuntive impreviste ed imprevedibili”. Ottenuto il mandato di pagamento mancava ancora il trasferimento dei fondi sul conto corrente e, così, senza indugio si era recato di persona dal dirigente del servizio economato “costringendolo, con minaccia, a consegnare immediatamente alla banca l’ordine di pagamento”. Condannato in primo grado per truffa e minaccia, con l’aggravante di aver abusato dei propri poteri e del ruolo rivestito, il politico, ritenendo di aver subito un torto, aveva esperito ricorso in appello per vedere annullata la sanzione dell’interdizione per un anno dai pubblici uffici e la reclusione per sette mesi. Ma anche la Suprema Corte, rigettando tutti i suoi motivi di ricorso, ha ritenuto illegittimi perché indebiti i rimborsi di spese effettuate per il soddisfacimento di esigenze strettamente personali dell’imputato, quali pedicure, manicure, massaggi, costumi da bagno pranzo offerto ad ospiti per fini non istituzionali. “Il diritto al rimborso delle spese sostenute dagli amministratori in ragione del proprio ufficio – hanno affermato i giudici – non può essere interpretato nel senso che consentirebbe, sul piano astratto, il rimborso di qualsivoglia spesa. Appare, infatti, evidente che sono erogabili o rimborsabili da parte dell’ente le sole spese che abbiano comunque un nesso con le finalità dell’Ente e con gli scopi dello stesso e della missione demandata al funzionario in trasferta” .

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