Sottrazione internazionale di minori: lecita se il rimpatrio espone il minore a rischi

Redazione 07/10/11
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Per la Corte di cassazione è lecita la sottrazione internazionale di minore quando la permanenza all’estero costituisce un pericolo per la crescita psico-fisica del bambino.

 di Anna Costagliola

È quanto stabilito dalla Suprema Corte nella pronuncia n. 20365 del 5 ottobre 2011, con cui ha respinto il ricorso di un canadese avverso il decreto con cui il Tribunale per i minorenni di Venezia rigettava l’istanza di restituzione della propria figlia, previo rimpatrio, illegittimamente sottratta dalla ex partner e fatta rientrare in Italia nonostante l’ordine opposto da parte delle Autorità canadesi.

Il problema della sottrazione internazionale di minori ha assunto negli ultimi anni proporzioni preoccupanti in concomitanza con il processo di integrazione europea e a causa del notevole incremento di matrimoni bi-nazionali, fattori cui si aggiunge il problema dell’affidamento dei minori quando l’unione coniugale, per cultura e religione diverse, viene meno.

Con il termine «sottrazione internazionale di minore» si intende l’atto con cui un genitore decide volontariamente, unilateralmente e senza il consenso dell’altro, di sottrarre il figlio all’altro genitore con l’intenzione di nasconderlo e di tenerlo presso di sé in modo permanente. Tale fenomeno è costituito dal rapimento di un minore o dal trasferimento illegittimo dello stesso posto in essere da uno dei genitori, cui consegue la permanenza del minore in uno Stato diverso da quello di residenza abituale.

La Corte di cassazione ha più volte precisato che ciò che più rileva è l’interesse del minore a non essere arbitrariamente sottratto al suo ambiente di vita: in ciò orienta la Convenzione Aja 1980 (rafforzata dal regolamento CE 2201/2003), finalizzata proprio a ripristinare la situazione di fatto antecedente alla sottrazione. Lo sradicamento del minore dall’ambiente nel quale è cresciuto e ha sempre vissuto, dove ha costruito il centro dei suoi affetti e interessi nella delicata fase della crescita e della formazione della sua personalità, è inteso, infatti, come un vero e proprio atto di violenza, suscettibile di arrecare grave pregiudizio al benessere psico-fisico del bambino.

La finalità degli strumenti di diritto internazionale ed europeo che disciplinano la materia è quindi quella di garantire il rapido rientro del minore nel suo luogo di residenza abituale ed ivi ristabilire il rapporto genitoriale e i legami familiari e sociali arbitrariamente interrotti dall’evento traumatico della sottrazione.

Alla luce delle disposizioni della Convenzione e del Regolamento, il rigetto dell’istanza di rientro è da considerarsi ipotesi eccezionale, subordinata al prodursi di determinate e specifiche circostanze, previste in maniera tassativa dall’art. 13 della Convenzione de L’Aja, le quali devono essere rigorosamente provate dalla parte resistente. In particolare, il diniego può fondarsi:

a) sulla prova che il genitore affidatario, al momento della sottrazione, non esercitava di fatto il diritto di custodia o comunque aveva prestato, anche ex post, il suo consenso al trasferimento o mancato rientro del minore (art. 13.1, lett. a);

b) sulla prova che il ritorno alla residenza abituale determinerebbe nel minore il fondato rischio di essere esposto a pericoli fisici o psichici o di trovarsi in una situazione intollerabile (art. 13.1, lett. b). Si tratta dell’eccezione invocata più frequentemente dal genitore che si oppone al rimpatrio.

La Cassazione, nel rigettare il ricorso avanzato dal canadese, ha osservato come il Tribunale per i minorenni di Venezia, pur ritenendo la illiceità del trasferimento in Italia della residenza del minore per decisione unilaterale della madre in violazione del provvedimento dell’Autorità giudiziaria canadese, tuttavia ha riconosciuto la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 13.1, lett. b), della Convenzione, che valgono ad escludere il rientro del minore. Né potrebbe ritenersi che detto Tribunale, sullo sfondo di un giudizio inerente ad una domanda di rimpatrio, si sia addentrato nel merito della controversia relativa alla migliore sistemazione possibile del minore, pronunciandosi su quale dei due genitori fosse più idoneo ad occuparsi dei figli, in tal modo sostituendosi al giudice canadese nelle decisioni assunte sul diritto di affidamento del padre.

Il Tribunale di Venezia, a giudizio della Corte, ha inteso, infatti, semplicemente verificare se dal ritorno della minire presso il padre potesse a lei derivare un pericolo quanto meno psichico, o comunque se, in conseguenza del rientro la minore potesse venirsi a trovare in una situazione intollerabile. Tale verifica, certamente consentita, ed anzi imposta dall’art. 13 della Convenzione, non può non tener conto delle attitudini educative del genitore affidatario, in quanto l’inidoneità a garantire adeguate condizioni, anche materiali, di accadimento dei minori è circostanza che li espone a pericoli fisici o psichici.

La stessa giurisprudenza della Cassazione ha più volte affermato come il ritorno di un minore illecitamente sottratto da un genitore non possa essere deciso in modo automatico, senza tenere conto della situazione effettiva del bambino nel momento in cui è adottato il provvedimento e degli effetti negativi che potrebbe causare la separazione dal genitore. In via generale, in tema di illecita sottrazione internazionale di minori da parte di un genitore, l’accertamento del Tribunale per i minorenni circa la ricorrenza di una delle ipotesi di deroga all’immediata restituzione del minore implica un’indagine in fatto dominata dal principio della prevalenza, nel dubbio, della tutela del minore.

Sulla base delle argomentazioni esposte la Corte ha ritenuto legittima la decisione del giudice del merito, anche in considerazione degli elementi probatori portati alla sua attenzione, che lo hanno determinato nel senso della opportunità, adeguatamente motivata e supportata da comprovate circostanze, che la minore continuasse a convivere con la madre. (Anna Costagliola)

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