Sicurezza sul lavoro: condannato l’addetto alla sicurezza per aver immesso la lavoratrice nel circuito lavorativo senza idonea dotazione

Redazione 27/06/13
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Biancamaria Consales

Così ha deciso la quarta sezione penale della Corte di cassazione, che con sentenza n. 644 del 25 giugno 2013, ha condannato, confermando quanto già deciso nel precedente grado di giudizio, un soggetto imputato del reato di lesioni colpose.

Questi in fatti. In primo grado il Tribunale aveva assolto dal predetto reato l’imputato, cui erano state addebitate, in qualità di responsabile dell’area mensa di una società, nonché preposto alla sicurezza dei lavoratori, le fratture riportate da una dipendente a causa di una caduta sul pavimento bagnato, non essendo la stessa dotata di scarpe antinfortunistica. L’assoluzione del Tribunale trovava fondamento nel fatto che, che durante l’istruttoria, non era emersa con sicurezza la titolarità di una posizione di garanzia in capo all’imputato.

La Corte di appello, su impugnazione del P.M., aveva dichiarato, invece, l’imputato colpevole e lo aveva condannato alla pena di giorni 40 di reclusione, pena poi sostituita con la multa di euro 1.520. La Corte aveva ritenuto, infatti, che l’imputato era titolare della posizione di garanzia, non solo perché responsabile dell’area mensa, ma anche perché documentalmente gli era stato affidato il compito di formare e di informare sulle misure di sicurezza da fornire ai lavoratori, tra cui le scarpe di sicurezza. Pertanto la sentenza di assoluzione di primo grado veniva riformata.

Nel proporre ricorso per cassazione, il ricorrente sosteneva che la Corte di merito non aveva considerato che in relazione all’attività che la dipendente stava svolgendo (apparecchio tavoli) non era necessario l’utilizzo delle scarpe antiscivolo, non essendo deputata alle pulizie. In presenza di responsabilità, questa doveva essere attribuita, tutt’al più, alla persona delegata al controllo sul posto e non al ricorrente, che gestiva otto punti di ristorazione in tre diverse regioni; egli, infatti, era sì incaricato di dare direttive generali sul servizio, ma la società nel suo organigramma prevedeva figure intermedie operative sul posto per controllare l’applicazione delle misure di sicurezza e su cui gravava la responsabilità del fatto.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, sostenendo che “risponde ad una specifica disposizione di legge (art. 18, lett. d, d.P.R. 81/2008), che codifica le regole di ordinaria diligenza, fornire al lavoratore mezzi personali di protezione, finalizzati a prevenire infortuni in relazione agli specifici rischi della prestazione lavorativa. Del resto – continuano gli Ermellini – laddove, come nei locali mensa, è possibile che vengano svolte contemporaneamente o in rapida successione più lavorazioni (pulizia ed apparecchiatura e sparecchia tura tavoli) è prevedibile che i rischi siano comuni e, quindi, è necessario che vengano previste misure di sicurezza analoghe”.

 In conclusione, la circostanza che una lavoratrice sia stata immessa nel circuito lavorativo senza la dotazione delle scarpe di sicurezza e senza che alcuno controllasse sul rispetto di tali misure di sicurezza, chiama in causa direttamente colui che era deputato ad organizzare in modo efficiente la sicurezza dei lavoratori sul luogo di esercizio delle loro mansioni.

 

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