Sanzioni disciplinari: non costituisce una violazione disciplinare la dilazione del processo se congrua in relazione ai carichi di lavoro

Redazione 29/01/14
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Biancamaria Consales

Questa è la decisione delle Sezioni unite civili della Suprema Corte di cassazione, le quali, con sentenza n. 1516 del 27 gennaio 2014 hanno respinto il ricorso del Procuratore Generale promosso contro la decisione del Consiglio superiore della magistratura di assolvere sette magistrati, che avevano rinviato per anni ed ingiustificatamente la decisione di numerose cause.

Nella fattispecie, e più precisamente, ai predetti giudici era stato addebitato di avere, nello svolgimento delle loro funzioni di consiglieri relatori in cause civili, dilazionato la decisione di numerose cause mediante rinvii a distanza anche di 4/7 anni, benché ne sarebbe stata possibile la definizione in termini più brevi in relazione ai carichi di lavoro, all’adeguatezza dei mezzi disponibili ed alla materia delle controversie.

La Sezione disciplinare ha ritenuto, pertanto, che non vi fossero nella fattispecie elementi per considerare violato il dovere di laboriosità o che fosse dovuto a negligenza inescusabile il mancato rispetto dei termini di cui agli artt. 81,82 e 115 disp. att. c.p.c.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso del Procuratore Generale affermando che la decisione di assoluzione da parte della Sezione disciplinare del Csm trovava fondamento nel fatto che “la fissazione da parte del singolo giudice o del collegio di un’agenda del processo che non si limiti alla fissazione cronologica dei processi da decidere sulla base dell’ordine di iscrizione a ruolo, ma sulla base delle caratteristiche dei processi pendenti sul ruolo, delle loro difficoltà, dell’urgenza legata ad alcune vicende specifiche o alle caratteristiche del procedimento, non costituisce una violazione disciplinare se la dilazione non appaia palesemente incongrua in relazione ai carichi di lavoro ed alla difficoltà dei processi”.

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