Sanzioni disciplinari: è lecito sanzionare l’avvocato che ha sottoscritto un atto contenente espressioni offensive, anche se redatto dal difensore che lo assiste

Redazione 24/07/13
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Biancamaria Consales

È quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, che con sentenza n. 17776 del 22 luglio 2013, hanno respinto il ricorso proposto da un legale avverso la decisione del Consiglio Nazionale Forense con cui veniva confermata l’irrogazione di una sanzione disciplinare.

Nella fattispecie, il CNF aveva respinto il ricorso dell’avvocato nei confronti della decisione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati territorialmente competente, che gli aveva inflitto la sanzione dell’avvertimento per aver usato espressioni offensive ed allusive, nei confronti del sostituto procuratore,  nell’atto di opposizione alla sua richiesta di archiviazione, affermando la necessità da parte dei magistrati di frequentare scuole di perfezionamento per non incorrere in errori di diritto, ipotizzando altresì un eventuale favoritismo nei confronti di un quotidiano.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati aveva ritenuto disciplinarmente rilevante il comportamento del legale anche in relazione all’art. 53 del codice di deontologia forense (rapporti con i magistrati), ma aveva tuttavia considerato, nell’applicazione della sanzione, la giovane età del professionista e la conseguente inesperienza nello scrivere.

In appello l’incolpato aveva sostenuto che l’atto di opposizione era stato redatto da un “collega” (che lo aveva assistito) e, pertanto, chiedeva che fosse esclusa la sua commissione del fatto. Ma il Consiglio Nazionale Forense, nel respingere l’impugnazione, rilevava che il “collega” si era richiamato alla lettura dell’atto di opposizione ed aveva affermato la legittimità della critica del suo assistito, provocata da palesi errori lesivi della sua dignità e da indagini assolutamente non condivisibili, aggiungendo di aver egli stesso partecipato alla stesura dell’atto di opposizione.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, sostenendo che “il Consiglio Nazionale Forense ha correttamente applicato il principio secondo il quale la sottoscrizione di un atto – nella specie atto di opposizione all’archiviazione, redatto dal difensore nell’interesse della persona offesa dal reato, ai sensi degli artt.101 e 410 del codice di procedura penale – ne individua la paternità e la provenienza e, nel valutare la successiva linea difensiva secondo cui l’atto sarebbe invece da attribuire al difensore del ricorrente, ha, come motivazione ampia e corretta, rilevato sia che la firma del professionista apposta sull’atto di opposizione è ictu oculi la medesima apposta in calce al ricorso (…) sia l’inconciliabilità di tale successiva linea difensiva con quella originaria, secondo cui l’atto di opposizione presentato dal professionista esprimeva solo la sua contrarietà, senza intenzioni offensive nei confronti del magistrato”.

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