Revoca delle funzioni per il giudice di pace “in guerra” con il legale patrocinante nello stesso foro

Redazione 08/05/13
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Biancamaria Consales

Così hanno deciso le Sezioni Unite della Corte di cassazione, pronunciandosi, con sentenza n. 10413 del 6 maggio 2013, sul ricorso proposto da un giudice di pace avverso la decisione del Consiglio Superiore della Magistratura.  

Nella fattispecie, il Consiglio Superiore della Magistratura aveva deliberato la revoca del giudice di pace dalle sue funzioni, condividendo il parere del Consiglio giudiziario costituito presso la Corte di appello di Venezia, che aveva accertato una serie di esposti, querele e denunce tra detto funzionario e un avvocato, attestanti comportamenti animosi e non conformi ai caratteri di indipendenza ed equilibrio del magistrato ed, inoltre, palesemente inadeguati sul piano professionale.

L’impugnazione avanzata dal magistrato onorario era, però, stata respinta nei precedenti gradi di giudizio (Tar Lazio e Consiglio di Stato), ove era stato confermato che i suddetti comportamenti animosi avevano avuto un riflesso negativo sulla credibilità ed affidabilità delle funzioni giudiziali svolte dal magistrato.

La Suprema Corte ha ritenuto che il provvedimento di revoca del Consiglio Superiore della Magistratura fosse fondato, in quanto basato sull’assenza di carattere di indipendenza ed equilibrio, nonché di violazione dei doveri di diligenza e correttezza nei confronti degli avvocati e delle parti private. La violazione del dovere di correttezza trovava fondamento proprio nei comportamenti illegittimi e/o non professionali in occasione di una lunga vicenda intercorsa con il legale (ed articolatasi in esposti, querele e denunce).

Dunque, innegabili gli effetti negativi conseguenti ad una “sorta di guerra personale” instaurata tra il giudice di pace ed il legale avente lo studio nello stesso foro in cui il giudice onorario esercitava le proprie funzioni.

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