In tema di responsabilità civile della P.A., la domanda risarcitoria, di regola, ha una propria autonomia e individualità rispetto alla domanda impugnatoria, per la diversità dei presupposti di fatto e di diritto sulla quale si fonda; il giudice è quindi tenuto a pronunziarsi su di essa ai fini della esatta corrispondenza tra il decisum e il petitum e, in assenza di una pronunzia espressa, non può considerasi formato il giudicato.
Peraltro, qualora il giudice ometta di pronunziarsi su una delle domande proposte e non ricorrano gli estremi per una sua reiezione implicita, deve sempre riconoscersi alla parte che aveva formulato la domanda, di coltivare la domanda nell’ambito di un separato giudizio.
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, infatti, “.. la parte ha la facoltà alternativa di fare valere la omissione in sede di gravame o di riproporre la domanda in separato giudizio posto che la presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c. ha valore meramente processuale e non anche sostanziale; ne consegue che, riproposta la domanda in separato giudizio, non è in tale sede opponibile il giudicato esterno per omessa pronunzia” (Cass. civile, sez. II, 30 maggio 2002 , n. 7917; Cass. civ., sez. III, 11 giugno 2008 n. 15461).
La giurisprudenza amministrativa, altresì, ha rilevato che in sede di risarcimento del danno nei confronti della P.A., l’onere probatorio circa l’ammontare del danno può ritenersi assolto allorché il ricorrente indichi, a fronte di un danno certo nella sua verificazione, taluni criteri di quantificazione dello stesso, salvo il potere del giudice di vagliarne la quantificazione (Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271).
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