Reiscrizione all’albo: necessario ristoro parti lese

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La reiscrizione all’albo dell’avvocato radiato è impedita dal mancato ristoro delle parti lese.

Corte di Cassazione -SS.UU. civ.- Sentenza n.22511 del 26-07-2023

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Indice

1. Il caso


L’Avv. Caio ha impugnato innanzi la Corte Suprema la sentenza con la quale il Consiglio Nazionale Forense aveva respinto il ricorso avverso il diniego opposto dal COA alla richiesta di reiscrizione all’Albo sul presupposto che la condotta successiva alla radiazione, irrogata a seguito di accertata appropriazione indebita dell’importo di €. 585.000,00, non rivestisse il carattere della irreprensibilità né potesse ritenersi sufficiente a riparare gli effetti dell’illecito.
Nella sentenza impugnata, il Consiglio Nazionale Forense aveva evidenziato che il COA, investito della domanda di reiscrizione, correttamente l’aveva rigettata in ragione dell’ingiustificato inadempimento dell’accordo transattivo con il quale il Professionista si era impegnato a restituire agli aventi diritto il maltolto, dei mancati chiarimenti sull’utilizzo della somma indebitamente ottenuta e trattenuta  e della mancata adduzione di prove documentali dell’impossibilità di adempiere alle obbligazioni assunte.
In ragione di tanto, in conformità alla giurisprudenza propria e della Corte Suprema, aveva ritenuto di rigettare il ricorso in applicazione del principio secondo cui “La valutazione della condotta “irreprensibile” (già “specchiatissima ed illibata”), che la legge richiede per la reiscrizione nell’albo a seguito di radiazione (ovvero, per il regime previgente, anche di cancellazione disciplinare) non può limitarsi all’esame dei comportamenti dell’avvocato precedenti alla condanna disciplinare, poiché altrimenti di nessun professionista già ritenuto meritevole di radiazione (o di cancellazione disciplinare) potrebbe mai essere disposta la reiscrizione. Ai fini della reiscrizione è infatti necessario valutare il comportamento successivo del richiedente, compreso il risarcimento delle parti lese.” (CNF sent. n. 180 del 21.10.2022)
Con l’interposto gravame l’Avv. Caio ha censurato la sentenza:
a) per aver ritenuto corretto l’operato del COA, il quale aveva posto a fondamento del diniego di reiscrizione l’omessa condotta riparatoria già valutata nel procedimento disciplinare conclusosi con l’irrogazione della radiazione;
b) per aver affermato l’insussistenza della condotta riparatoria nonostante risultasse documentata la sua situazione di indigenza.


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2. I principi affermati dalla Corte Suprema


Sul primo motivo di ricorso, la Corte, ritiene che il comma 15 dell’art. 17 della L.P. indirettamente individui, quale presupposto per la reiscrizione, anche la riparazione del danno.
Da tale esegesi, la Corte trae le seguenti conseguenze:
– “… mentre, nel giudizio disciplinare viene valutata l’omessa riparazione sino al momento della conclusione del procedimento come criterio per la determinazione della sanzione, nel giudizio e nella decisione relativa all’istanza di reiscrizione ciò che viene valutato è la mancata riparazione anche dopo l’irrogazione della sanzione in quanto il comportamento successivo alla condanna, consistente nel mancato ristoro delle parti lese, dimostra la mancata cessazione dei fatti che hanno determinato la cancellazione”;
– “l’autonoma valutazione dell’omissione del ristoro ai fini della decisione sull’istanza di reiscrizione non comporta alcuna perpetuazione della sanzione, in quanto si associa al comportamento dell’istante successivo all’irrogazione della sanzione stessa, nella valutazione del quale la mancata riparazione costituisce indice negativo ai fini del giudizio prognostico relativo alla recuperata affidabilità del professionista (cfr. Cass Sez. Un.  30589 del 20.12.2017) .
Sul secondo motivo di ricorso, la Corte, ribadendo i limiti del sindacato di legittimità sulla sentenza del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare, evidenzia che la sentenza appare adeguatamente e ragionevolmente motivata in punto di mancato raggiungimento della prova della sussistenza di una situazione di indigenza idonea a rendere impossibile l’adempimento dell’accordo transattivo.

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Vincenza Fabrizio

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