Biancamaria Consales
Così ha stabilito la prima sezione civile della Corte di cassazione, pronunciandosi, con sentenza n. 2034 del 13 febbraio 2012, sul risarcimento dei danni non patrimoniali, riconosciuti nel precedente grado di giudizio ad un dipendente del Comune, cui gli era stata negata la dipendenza da causa di servizio per una patologia da cui era affetto.
Il dichiarato danno non patrimoniale, conseguente alla lesione del proprio diritto alla riservatezza, sopraggiungeva dal momento in cui la responsabile dell’area direzionale del Comune, che appunto aveva negato il riconoscimento, riportava nell’atto amministrativo diagnosi, cure, natura ed effetti della patologia e ne disponeva la pubblicazione nell’Albo Pretorio del Comune per 15 giorni.
La Corte di cassazione ha ribadito l’illiceità del comportamento per violazione dell’art. 2 della Costituzione e delle disposizioni di cui al D.Lgs. 193/2003 (Codice della privacy), cioè per illegittima divulgazione dei dati personali e sensibili riguardanti la salute.
In particolare, la pubblica amministrazione ha violato il principio di pertinenza e di non eccedenza, principio secondo cui commette un illecito se effettua il trattamento di un dato che risulti eccedente le finalità pubbliche da soddisfare. Nella fattispecie, il trattamento dei dati sensibili è risultato eccedente la funzione pubblica (quella della pubblicazione dell’atto).
La pubblicazione della determinazione amministrativa, infatti, era avvenuta in modo tale per cui chiunque avrebbe potuto leggerne la motivazione e apprendere le informazioni sulla salute del soggetto interessato. Di conseguenza, un ulteriore pregiudizio derivava proprio dalla specifica preoccupazione dell’attore della possibile lettura dell’atto amministrativo da parte di un numero indeterminato di soggetti, e dunque dal fatto di non sapere quali e quante persone avevano in realtà conosciuto la propria situazione di salute.
D’altronde le stesse motivazione dell’atto si sarebbero potute egualmente esprimere adottando una differente modalità di notificazione o più semplicemente sarebbe, bastato per tutelare il soggetto interessato, l’utilizzo di “omissis”.
Debole è apparsa la difesa della responsabile dell’area direzionale del Comune, la quale, oltre a sosteneva che il pregiudizio arrecato non fosse stato minimamente provato, ma solo supposto, ribatteva che gli incaricati dell’affissione all’albo degli atti comunali avevano sì affisso la determinazione, ma in parte sovrapposta ad altra deliberazione, per cui in concreto non sarebbe stato possibile al pubblico accertare il contenuto della motivazione contenente la pretesa violazione del diritto alla riservatezza.
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