Progressioni verticali: modificazione o novazione di rapporto di lavoro?

Redazione 06/05/11
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Lilla Laperuta

Le progressioni verticali, risolvendosi nel passaggio alla categoria immediatamente superiore del sistema di classificazione delle professionalità, costituiscono un mero sviluppo di carriera nell’ambito del rapporto di lavoro già incardinato con la pubblica amministrazione; ne consegue che, in assenza di una specifica contraria prescrizione legislativa, esse, ai fini della disciplina finanziaria, non integrano la fattispecie della nuova assunzione ivi prevista e, dunque, sfuggono al limite del rispetto del Patto di stabilità da parte dei Comuni.

È questa la conclusione, alquanto discutibile, a cui è pervenuta la terza sezione del TAR della Sicilia, sede di Palermo, con la sentenza n. 647 dello scorso 1° aprile 2011.

Si è infatti in presenza di un indirizzo che sconfessa orientamenti contrari affermati ripetutamente dalla giurisprudenza di legittimità e dalla dottrina, sminuendo allo stesso tempo la portata della riserva costituzionale per il concorso pubblico di cui all’art. 97 della Carta. Nel 2003, si ricorda, proprio rendendo omaggio a detta riserva, la Corte di Cassazione, a sezioni unite, sent. n. 15403, aveva acclarato, superando definitivamente le diatribe sollevate in merito, che le progressioni verticali altro non sono se non una novazione del rapporto di lavoro, che comportano un accesso ad una nuova carriera, e, di qui, l’attribuzione, del relativo contenzioso alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Diversamente, se viene accolta la tesi dei giudici di merito, che identifica l’essenza dell’istituto in parola nella mera modificazione del rapporto di lavoro, il giudice investito sarà quello ordinario. (Lilla Laperuta)

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