Professionisti, i prelievi ingiustificati dal conto corrente non costituiscono compensi imponibili

Redazione 09/10/14
Scarica PDF Stampa

Lilla Laperuta

Con ordinanza del 10 giugno 2013 la Commissione tributaria regionale per il Lazio aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, co.1, n. 2), secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi). Secondo la disposizione  all’art. 32 del D.P.R. 600/1973, i dati risultanti dalle movimentazioni bancarie sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del medesimo D.P.R., salvo che il contribuente dimostri che ne ha tenuto conto nella determinazione dei redditi o che essi non hanno rilevanza a tal fine. In base La norma prevede inoltre che i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito delle predette operazioni sono posti come ricavi o compensi a base delle rettifiche e degli accertamenti (sono quindi assoggettabili a tassazione), se il contribuente non ne indica i soggetti beneficiari e sempreché non risultino dalle scritture contabili.

Ha rilevato il giudice a quo che l’art. 1 L. 311/2004, inserendo nel corpo di tale parte della disposizione le parole «o compensi», ha esteso ai lavoratori autonomi l’ambito operativo della presunzione in base alla quale le somme prelevate dal conto corrente (così come quelle su questo versate) costituiscono compensi assoggettabili a tassazione, se non sono annotate nelle scritture contabili e se non sono indicati i soggetti beneficiari dei pagamenti.

La disposizione censurata, se applicata agli anni d’imposta in corso o anteriori alla novella legislativa, comporterebbe per i contribuenti professionisti un onere probatorio imprevedibile e impossibile da assolvere, in contrasto con l’art. 24 della Costituzione e con il principio di tutela dell’affidamento richiamato dall’art. 3, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente).

Essa violerebbe, altresì, l’art. 3 Cost., alla luce di entrambe le letture di cui la norma è passibile: la prova contraria che incombe sul contribuente o richiederebbe necessariamente anche la giustificazione causale dei prelevamenti, così imponendo «un adempimento aggiuntivo rispetto a quello rappresentabile sulla base di una lettura piana del testo normativa»; oppure dovrebbe ritenersi soddisfatta «con la mera indicazione del beneficiario, divenendo, però, tanto irrazionale quanto inutile sul piano dell’accertamento dei maggiori redditi.

Con sentenza 6 ottobre 2014, n. 228 la questione è stata considerata fondata dalla Consulta.

In particolare è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, D.P.R. 600/1973 nella parte in cui prevede l’applicazione ai lavoratori autonomi della presunzione in base alla quale le somme prelevate dal conto corrente costituiscono compensi assoggettabili a tassazione, se non sono annotate nelle scritture contabili e se non sono indicati i soggetti beneficiari dei pagamenti. La presunzione, si afferma nella sentenza, è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento