La disposizione dell’art. 1102, comma 2, c.c., secondo la quale il partecipante alla comunione non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso, impedisce al possessore, che abbia utilizzato la cosa comune oltre i limiti della propria quota, non solo l’usucapione ma anche la tutela possessoria del potere di fatto esercitato, fino a quando questo non si riveli incompatibile con l’altrui possesso.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, sez. II Civile, con la sentenza n. 10624 depositata il 23 maggio 2016.
Il caso.
La ricorrente citava in giudizio la convenuta, dichiarando di essere la proprietaria di un immobile facente parte di un edificio bifamiliare e che, per accedere ai rispettivi garage, occorreva transitare attraverso uno spazio comune ai proprietari delle due unità immobiliari.
In tale spazio comune era stata eretta dalla ricorrente una tettoia sotto la quale la stessa era solita parcheggiare le sue due autovetture.
Sosteneva la ricorrente che la convenuta aveva iniziato a parcheggiare la sua autovettura in modo da impedirle di accedere e di uscire dallo spazio sotto la tettoia.
La ricorrente, pertanto, chiedeva che fosse ordinato alla convenuta di reintegrarla nel possesso dei due posti auto sotto la tettoia, inibendole di parcheggiare l’auto con modalità tali da impedire l’ingresso e l’uscita dalle sue due autovetture.
Il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso, ritenendo che non fosse stato provato il possesso esclusivo da parte della convenuta dei posti auto sotto la tettoia.
Avverso la sentenza di primo grado la ricorrente proponeva appello e la Corte d’Appello di Venezia accoglieva il gravame, ordinando alla convenuta di astenersi dal parcheggiare in modo da impedire l’uscita dai posti auto che si trovano nello spazio comune sotto la tettoia. La Corte di Venezia affermava che, pur non potendosi ritenere pienamente provato il possesso esclusivo da parte della ricorrente dei due posti auto sotto la tettoia, era stato invece dimostrato che la convenuta, quando entrambi i posti sotto la tettoia erano occupati, parcheggiava la sua auto sullo spazio scoperto in maniera da impedire la manovra di uscita ai veicoli posti nello spazio coperto.
La convenuta ha proposto ricorso per cassazione.
La decisione.
Gli Ermellini hanno rigettato il ricorso.
Nella giurisprudenza della Suprema Corte, si intende che la disposizione dell’art. 1102 comma 2 del c.c., secondo la quale il partecipante alla comunione non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso, impedisce al possessore, che abbia utilizzato la cosa comune oltre i limiti della propria quota, non solo l’usucapione ma anche la tutela possessoria del potere di fatto esercitato, fino a quando questo non si riveli incompatibile con l’altrui possesso.
La Corte d’appello di Venezia ha inteso verificare la legittimità del fatto denunciato dalla ricorrente nel giudizio di cassazione, nei limiti in cui ciò sia consentito nel giudizio possessorio, alla luce dell’art. 1102 c.c., e cioè non con riguardo al possesso esclusivo dell’area coperta dalla tettoia, ma con riferimento al compossesso dell’intero spazio comune antistante le proprietà esclusive.
L’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto al duplice divieto di alternarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto.
Pertanto, deve considerarsi che la condotta del comproprietario, consistente nell’occupazione – mediante il parcheggio della propria autovettura – di una porzione del cortile comune in modo da impedire ad altro comproprietario di fare accesso o di uscire dalla rispettiva area di sosta, configura un abuso (ovvero, nella specie, una turbativa del possesso), poiché preclude agli altri comproprietari (e compossessori) di partecipare all’utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l’equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà (cfr. Cass. 24/02/2004, n. 3640).
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento