Omicidio colposo: risponde anche del decesso sopravvenuto in fase post-operatoria il medico nella sua veste di capo di una equipe chirurgica

Redazione 11/05/12
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Anna Costagliola

Con la sentenza n. 17222 del 9 maggio 2012, la Cassazione ha affermato la penale responsabilità del medico, nella veste di capo dell’equipe chirurgica, anche in ipotesi di decesso del paziente sopraggiunto all’intervento e avvenuto nella fase del decorso post-operatorio.

Nella fattispecie, la quarta sezione della Cassazione penale ha respinto il ricorso di un medico condannato per omicidio colposo in danno di un neonato con un solo giorno di vita deceduto successivamente ad un delicato intervento chirurgico per non aver disposto il ricovero in unità di terapia intensiva né dato indicazione alcuna in ordine alla necessità di un adeguato monitoraggio dei parametri vitali, circostanze, queste che hanno contribuito al verificarsi dell’esito infausto della vicenda. Né ad escludere la responsabilità del medico varrebbe il rilievo per cui ad indurlo al comportamento indicato sarebbe stato un colloquio intercorso con il primario del reparto, giacché l’imputato non avrebbe dovuto attenersi ad un passivo ossequio alle istruzioni da questi impartite. Per i giudici di legittimità, infatti, «il vincolo gerarchico non trova estrinsecazione nella cura concreta del paziente e delle decisioni di natura prettamente mediche da assumere in un caso in cui il primario si trovava completamente estraneo, non avendo partecipato all’intervento chirurgico ed essendo fisicamente assente dalla struttura sanitaria».

Si legge in sentenza come la posizione di garanzia del capo di una equipe chirurgica non è limitata all’ambito strettamente operatorio, ma si estende anche al contesto post-operatorio. Tale enunciazione trova razionale giustificazione nel fatto che il momento immediatamente successivo all’atto chirurgico non è per nulla avulso dall’intervento operatorio, ove si consideri solamente il fatto che le esigenze di cura e assistenza del paziente sono inevitabilmente rapportate alle peculiarità dell’atto operatorio ed al suo andamento in concreto, contingenze note al capo equipe più che a ogni altro sanitario. Alla luce di tale principio la Corte ha ritenuto, pertanto, di non poter condividere la censura con cui il ricorrente contestava la decisione di merito nel punto in cui perveniva ad un accertamento di responsabilità sulla base di un generico ruolo di garanzia, trascurando l’autonomia professionale dei medici di reparto destinatari, per turno, del paziente ricoverato e quindi titolari del relativo obbligo di assistenza.

Osserva in conclusione la Corte che il caso portato alla sua attenzione rendeva altamente prevedibile, in considerazione sia della natura dell’atto operatorio sia della tenerissima età del paziente, il sopravvenire di complicanze post-operatorie che avrebbero in ogni caso richiesto un attento monitoraggio dei parametri vitali. La mancata prescrizione di tale adempimento, in quanto afferente al suo ruolo di garante, è imputabile ad un comportamento colposo del medico chirurgo, finendo per assumere un ruolo decisivo nello sviluppo degli accadimenti nel momento in cui non ha consentito la tempestiva diagnosi delle complicanze insorte e l’esecuzione delle terapie che avrebbero potuto salvare il paziente.

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