Non spettano all’avvocato i diritti professionali successivi alla sentenza, se il soccombente paga entro 120 giorni dalla notifica del titolo

Redazione 24/05/13
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Biancamaria Consales

È la decisione della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, la quale con sentenza n. 12579 del 22 maggio 2013, ha parzialmente accolto il ricorso dell’Inps, cui era stato intimato il pagamento di una somma a titolo di residuo importo per spese legali dovute sulla base dei dispositivi di alcune sentenze emesse nei suoi confronti. 

Nella fattispecie, l’opposizione al precetto avanzata dall’Istituto previdenziale era stata ritenuta dal Tribunale infondata, in quanto l’intimazione aveva ad oggetto la richiesta di pagamento dei diritti previsti dalle tabelle forense maturati per attività documentate e svolte successivamente all’emanazione delle predette sentenze (ossia i diritti per ritiro del fascicolo, per consulenza con il cliente e per corrispondenza informativa), nonché le spese generali nella misura forfettaria prevista per legge; l’Inps, invece, aveva corrisposto solo l’importo delle spese legali dovute fino alla notifica del titolo, operazione, quest’ultima, resasi necessaria per far sì che l’ente debitore potesse eseguire la prestazione, alla quale era stato condannato, nel termine di centoventi giorni dalla notifica dello stesso titolo esecutivo.

Nel proporre ricorso per cassazione, la difesa dell’Istituto previdenziale aveva sostenuto che il pagamento effettuato dall’ente pubblico prima del decorso del termine dilatorio di centoventi giorni dalla notifica del titolo esecutivo impedisce al creditore di dar corso all’azione esecutiva attraverso la notifica del precetto, per cui, considerato che nella fattispecie il pagamento era avvenuto in data antecedente alla notifica di tale atto, il giudicante avrebbe dovuto accogliere l’eccezione di nullità o di inefficacia dello stesso precetto. Dunque, le uniche spese che potevano essere pretese dalla controparte erano quelle risultanti dalla sentenza per effetto del principio di soccombenza, per cui le spese successive alla conclusione di tale giudizio non erano dovute. I diritti richiesti per consultazione col cliente, per corrispondenza informativa e per ritiro del fascicolo, veniva specificato nel ricorso, spettavano solo per la fase processuale della cognizione.

La Suprema Corte, nell’accogliere parzialmente il ricorso, ha affermato che, considerato che l’Inps aveva adempiuto alla propria prestazione prima della scadenza del termine di centoventi giorni dalla notifica del titolo esecutivo, le spese che la parte vittoriosa del giudizio di merito aveva diritto a conseguire erano rappresentate esclusivamente da quelle liquidate nella sentenza che aveva definito il giudizio di merito, oltre che da quelle sostenute per la notifica della sentenza e per la verifica della sua attuazione, cioè, in ultima analisi, di quelle spese che si erano rese necessarie per creare i presupposti indispensabili per porre la stessa sentenza in esecuzione.

Il creditore dell’Inps – si legge nella sentenza – poteva aver diritto a conseguire l’importo dei diritti e delle spese liquidati con la sentenza, in quanto relativi allo svolgimento di un’attività difensiva accertata dal giudice di merito in relazione al processo di cognizione dal medesimo definito, nonché quello sostenuto per le spese di notifica della sentenza e per la verifica della sua attuazione, essendosi queste ultime rese necessarie per l’attivazione della procedura di pagamento da assolversi da parte dell’inps entro il termine di centoventi giorni.

Invece, il creditore procedente non aveva diritto di conseguire nuovamente i diritti di procuratore concernenti le voci per “consultazione cliente”, per “corrispondenza informativa” e per “ritiro fascicolo”, anche in relazione alla fase successiva alla pronuncia della sentenza, in quanto una tale pretesa finiva per tradursi in una inammissibile duplicazione di competenze attinenti alla fase cognitiva del processo, già riconosciutegli in sede di liquidazione finale nella stessa sentenza notificatagli”. 

La Corte, dunque, accogliendo in parte il ricorso, cassa, con rinvio, la sentenza impugnata.

Redazione

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