Non si può negare il permesso di soggiorno al cittadino extracomunitario sulla base della mera minaccia di divorzio del coniuge

Redazione 31/05/12
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Così si è pronunciata, con ordinanza n. 8598 de 29 maggio 2012, la sesta sezione civile della Suprema Corte di Cassazione sul ricorso proposto da un cittadino nigeriano contro il Ministero dell’interno.

I fatti. Il questore di Mantova aveva respinto, con decreto, l’istanza di permesso di soggiorno per motivi familiari presentata dal cittadino entrato in Italia a seguito di ricongiungimento: in particolare, la Questura aveva negato il permesso sul rilievo che era risultato che la moglie non aveva alcun interesse alla convivenza con il coniuge e che aveva presentato domanda di divorzio.

Il reclamo del cittadino nigeriano veniva respinto nei precedenti gradi di giudizio, con la motivazione che, in fondo, si negare in anticipo la concessione di un permesso di soggiorno che poi si sarebbe dovuto revocare a causa della mancata convivenza con la moglie.

Con ricorso in cassazione il ricorrente sosteneva che la Corte di merito era incorsa in una evidente confusione di previsioni normative. Non aveva, infatti, distinto l’ipotesi di cui al comma 1bis dell’art. 30 del T.U. immigrazione (cioè la revoca del permesso per carenza di effettiva convivenza) che fa riferimento ai casi di matrimonio tra extracomunitari regolari con cittadini italiani o europei dalla ipotesi (di cui alla fattispecie) prevista dal comma 1 del predetto art. 30 (ingresso di un extracomunitario per ricongiungimento con coniuge regolarmente presente in Italia), dalla quale è totalmente estraneo il controllo della effettività della convivenza posto che si tratta di un coniugio preesistente tra stranieri, in ordine al controllo della cui effettività non si pone alcuna esigenza di verifica. Con riguardo a tale seconda ipotesi vi è solo il problema degli effetti della separazione susseguente al ricongiungimento dei coniugi, problema risolto dalla norma con una scelta ragionevole e chiara di permanenza temporanea del permesso rilasciato onde consentire al ricongiunto di chiedere un permesso per lavoro in conversione.

Gli ermellini, cassando il decreto di diniego, hanno accolto il ricorso, condividendo quanto sostenuto dal ricorrente: non si può denegare il permesso di soggiorno sulla base di una minaccia di separazione della moglie (e quindi di un mero non gradimento del coniuge ricongiunto) senza avvedersi della inconferenza di tale atteggiamento e della irrilevanza della minacciata cessazione della convivenza.

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