Non rientra nello stato passivo della società fallita il compenso del legale se l’attività professionale svolta manca del requisito dell’utilità per la massa dei creditori

Redazione 11/05/12
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Biancamaria Consales

Questa è la decisione espressa dalla prima sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, la quale, con sentenza n. 7166 del 10 maggio 2012, si è pronunciata sul ricorso proposto da un avvocato avverso il decreto del Tribunale, che gli aveva rigettato l’opposizione allo stato passivo del fallimento di una società, proposta per ottenere l’ammissione in prededuzione del proprio credito per prestazioni professionali. Tali prestazioni professionali erano state svolte per la consulenza extragiudiziale e l’assistenza del debitore nell’ambito di una procedura di concordato preventivo, incluso in un sub procedimento ex art. 173 della legge fallimentare. Il ricorrente in cassazione aveva dedotto, tra l’altro, la carenza di motivazione in relazione al credito del compenso.

Gli ermellini hanno rigettato la sua domanda, sostenendo che l’opera intellettuale prestata dal professionista non poteva essere di nessuna utilità per la massa dei creditori. Essa, inoltre, era stata prestata in condizioni che sin dall’inizio non consentivano alcun plausibile salvataggio dell’impresa, destinata irrimediabilmente al fallimento. Addirittura l’attività professionale, nella fattispecie, era stata prestata contro la curatela per la tutela di un interesse del soggetto fallito antagonistico a quello della massa dei creditori.

Dunque, il rigetto della domanda trova il suo fondamento proprio nella totale assenza del requisito della utilità per la massa dei creditori di prestazioni difensive svolte nell’interesse personale di chi era stato indicato come responsabile di atti in frode degli stessi creditori.

Redazione

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