Non è necessario attribuire al figlio naturale riconosciuto tardivamente il cognome paterno

Redazione 01/07/13
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Lucia Nacciarone

 

E ciò, in virtù del fatto che la bambina era conosciuta ed identificata nell’ambiente scolastico e sociale col cognome della madre; l’interesse ad evitare un danno all’identità del minore deve essere ritenuto prevalente rispetto alla tradizione del patronimico.

A deciderlo sono i giudici di legittimità, che con la sentenza n. 16271 del 27 giugno 2013 hanno respinto il ricorso del procuratore generale presso la Corte d’appello contro il decreto che accoglieva il reclamo dei genitori: entrambi infatti avevano deciso che la figlia naturale, riconosciuta successivamente, continuasse a portare il solo cognome materno col quale per tanto tempo era stata identificata.

Quindi, premessa la legittimazione del procuratore generale a ricorrere, ai sensi dell’art. 72 del codice di procedura civile, che stabilisce l’equiparazione fra i poteri attribuiti alla parti e quelli del pubblico ministero, e ancor di più per l’articolo 95 del D.P.R. 396/2000. co. 2, per il quale il procuratore della Repubblica può sempre promuovere il procedimento di rettificazione, vale a dire quello «volto ad eliminare una difformità tra la situazione tra la situazione di fatto, qual è o dovrebbe nella realtà secondo la previsione di legge, e quella risultante dall’atto dello stato civile, per un vizio comunque e da chiunque originato nel procedimento di formazione dell’atto stesso», tuttavia nel caso di specie è stato ritenuto dalla Cassazione superfluo aggiungere il cognome paterno laddove la bambina era già conosciuta con quello della madre.

Ciò che conta è infatti tutelare l’interesse del minore in termini di personalità sociale cioè ad essere riconosciuto con un segno distintivo dalle persone che lo conoscono, innanzitutto gli amichetti e i compagni di scuola: e rispetto a ciò la tradizione del patronimico soccombe.

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