Licenziamento disciplinare: il giudice deve sempre valutare la proporzionalità

Redazione 30/05/16
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Il giudice di merito investito della domanda con cui si chieda l’invalidazione di un licenziamento disciplinare, accertatane in primo luogo la sussistenza in punto di fatto, deve verificare che l’infrazione contestata sia astrattamente sussumibile sotto la specie della giusta causa o del giustificato motivo di recesso e, in caso di esito positivo di tale delibazione, deve poi apprezzare in concreto (e non semplicemente in astratto) la gravità dell’addebito, essendo pur sempre necessario che esso rivesta il carattere di grave negazione dell’elemento essenziale della fiducia e che la condotta del dipendente sia idonea a ledere irrimediabilmente la fiducia circa la futura correttezza dell’adempimento della prestazione dedotta in contratto, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore dipendente rispetto all’adempimento dei suoi obblighi. 

Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con la sentenza n. 10950 depositata il 26 maggio 2016.

Il caso. 

La Corte d’appello di Roma rigettava il reclamo ex art. 1, comma 58, l. n. 92/2012 proposto da un lavoratore avverso la sentenza di conferma del licenziamento disciplinare intimatogli per prolungate violazioni dell’orario di lavoro.

Ebbene, la sentenza, se da un lato affermava l’esistenza di una giusta causa di licenziamento dall’altro non si pronunciava sulla proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto all’infrazione contestata.

Così, il lavoratore proponeva ricorso per cassazione denunciando il vizio di omessa pronuncia su un motivo di reclamo nella parte in cui la sentenza nulla affermava sulla predetta proporzionalità.

La decisione.

Gli Ermellini hanno evidenziato che rapporto di proporzionalità fra l’illecito disciplinare e la sanzione andava analizzato dalla corte territoriale.

Invero, il giudizio di proporzionalità non può essere scisso da quello circa la sussistenza o meno di una giusta causa o di un giustificato motivo di licenziamento.

Il giudice di merito, investito del giudizio circa la legittimità d’un provvedimento disciplinare, deve necessariamente valutare la sussistenza o meno del rapporto di proporzionalità tra l’infrazione del lavoratore e la sanzione irrogatagli, tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive della condotta del lavoratore e di tutti gli altri elementi idonei a consentire l’adeguamento della disposizione normativa dell’art. 2119 c.c., richiamato dall’art. 1 l. n. 604/1966, alla fattispecie concreta.

Quindi, l’apprezzamento relativo alla proporzionalità tra sanzione ed illecito disciplinare deve essere svolto anche d’ufficio, poiché attiene alla sua stessa sussumibilità sotto il concetto di giusta causa o giustificato motivo di licenziamento: diversamente, risulterebbe interrotta la sequenza logica “fatto – norma – effetto giuridico” attraverso la quale si afferma l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico.

La singola impugnazione anche solo di uno degli elementi di tale sequenza esclude che sugli altri si formi acquiescenza ai sensi dell’art. 329 c.p.c. e impone al giudice dell’impugnazione di riconsiderare la statuizione tanto in punto di diritto quanto in punto di fatto. 

 

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