Le Sezioni Unite chiariscono le sanzioni applicabili in caso di violazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile

Redazione 04/06/13
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Lucia Nacciarone

Il Supremo consesso, con la pronuncia n. 23866 del 31 maggio 2013 ha adottato (risolvendo un contrasto interpretativo) la linea più mite verso coloro che si sottraggono all’obbligo di cui all’art. 12-sexies della legge 898/1970.

La norma de quo rinvia, ai fini della pena, all’articolo 570 del codice penale, che sanziona le condotte di violazione degli obblighi di assistenza morale e materiale nei confronti dell’ex coniuge con la reclusione fino ad un anno o con la multa (comma primo) o con le due pene congiuntamente.

La Sezioni Unite hanno chiarito che il rinvio quoad poenam all’art. 570 del codice penale è riferito al primo comma, quindi la mancata corresponsione dell’assegno è punita alternativamente con la multa o con la reclusione.

I giudici di legittimità hanno quindi annullato la sentenza della Corte d’appello che, all’opposto, aveva condannato un uomo per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza all’ex moglie alla pena di tre mesi di reclusione e 500 euro di multa.

In passato la Cassazione aveva ritenuto che il rinvio, quoad poenam, all’art. 570 c.p., operato dall’art. 12-sexies della legge sul divorzio, dovesse intendersi riferito alle pene previste dal comma secondo e non a quelle indicate nel primo comma della disposizione codicistica, in quanto il citato art. 12-sexies ha ad oggetto la violazione di un obbligo di natura economica e non di assistenza morale.

Nella sentenza del 31 maggio i giudici invece dopo aver ricordato che la condotta definita dall’art. 12-sexies delinea una precisa e specifica fattispecie integrata dalla violazione di un provvedimento del giudice, trattandosi, precisamente, di un reato omissivo proprio, di carattere formale, essendo individuato il soggetto attivo soltanto in chi è tenuto alla prestazione dell’assegno di divorzio e consistendo la condotta nell’inadempimento dell’obbligo economico stabilito nel provvedimento del giudice, e che quindi in rinvio al 570 c.p. è da intendersi solo quoad poenam, affermano che «in mancanza di sicuri elementi testuali orientativi scaturenti dal testo legislativo, siffatto rinvio deve intendersi — in sintonia con il rapporto di proporzione e con il criterio di stretta necessità della sanzione penale —, al primo comma dell’art. 570 c.p., che costituisce l’opzione più favorevole all’imputato. Una simile interpretazione evita ulteriori disarmonie di trattamento fra la tutela del coniuge convivente, penalmente tutelato soltanto se versa in stato di bisogno, e quella del coniuge divorziato; tra la tutela dei figli minori nell’ipotesi di divorzio; tra la tutela di figli maggiori inabili al lavoro e quella dei figli maggiori non autosufficienti in caso di divorzio».

 

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