La Cassazione si sofferma sulla distinzione fra divulgazione e semplice detenzione di materiale pedopornografico

Redazione 30/11/11
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Con la sentenza n. 44065 del 28 novembre 2011 i giudici di legittimità hanno annullato con rinvio la sentenza di merito impugnata, che stabiliva la condanna di un uomo per il reato di cui all’art. 600ter del codice penale, norma incriminatrice della pornografia minorile.

Ad avviso della Corte suprema la fattispecie andava inquadrata nel meno grave delitto previsto dall’art. 600quater del codice penale, che punisce la detenzione di materiale pornografico.

Nel giudizio di merito l’imputato era stato condannato per aver divulgato, mettendolo a disposizione degli altri utenti del web, materiale pornografico riguardante minorenni; attraverso il programma internet, una sorta di “emule”, era possibile a chiunque fosse collegato in quel momento scaricare il materiale pornografico.

La volontarietà della condivisione dell’immagine in rete era stata desunta dalle caratteristiche del programma di condivisione utilizzato, che imponeva a colui che si collegava la creazione di una cartella di condivisione e la consapevolezza che, una volta scaricati, i file sarebbero stati divulgati.

La Cassazione però ha ritenuto che dalla descrizione del fatto emerge sicuramente la responsabilità dell’imputato per il reato di detenzione di materiale pornografico, ma che il semplice utilizzo del programma di file sharing non è da solo sufficiente per integrare la fattispecie più grave del reato di divulgazione di materiale pornografico.

Non è possibile, infatti, ravvisare nell’utilizzazione di tal programma una sorta di responsabilità oggettiva.

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