La Cassazione estende l’obbligo contributivo anche alle attività che presentano un nesso con l’attività professionale

Redazione 05/09/12
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Anna Costagliola

 

Tutti i redditi professionali, anche quelli derivanti da attività diverse ma comunque collegate all’attività professionale, sono assoggettabili a contribuzione obbligatoria a favore della Cassa di previdenza di categoria. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14684 del 29 agosto 2012 che ribalta i recenti indirizzi interpretativi (Cass., sentt. 11154/2004 e 2468/2005) che attribuivano l’obbligo di versamento degli oneri previdenziali alle sole «attività riservate» per legge, ovvero ritenevano che i contributi previdenziali fossero dovuti solo sui redditi derivati dall’attività professionale in senso proprio. La Corte ha infatti rigettato il ricorso di un ingegnere iscritto a Inarcassa (Cassa di previdenza di architetti e ingegneri) che contestava la richiesta di pagamento di contributi su redditi professionali derivanti dalle attività di consulenza per elaborazione dati e programmazione e per l’attività di amministrazione di una società. Riteneva il professionista che detti contributi non fossero dovuti in quanto estranei all’attività di ingegnere libero professionista. Parere contrario alle motivazioni esposte dal ricorrente hanno espresso i giudici della Cassazione, i quali hanno adottato un nuovo indirizzo interpretativo che amplia il concetto di attività professionale all’evoluzione delle competenze tecniche che costituiscono il bagaglio professionale dell’iscritto. Secondo la Corte, infatti, oltre alle attività riservate, tra le attività professionali soggette a obbligo contributivo rientrano anche quelle che, pur non «professionalmente tipiche», presentino tuttavia un «nesso» con l’attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedano le medesime competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell’esercizio dell’attività professionale e nel cui svolgimento, pertanto, mette a frutto anche la specifica cultura che gli deriva dalla formazione tipologicamente propria della sua professione.

L’interpretazione seguita dagli Ermellini, che a parere di questi ultimi va estesa a tutte le categorie professionali e che si traduce nell’escludere la sussistenza dell’obbligo contributivo solamente nel caso in cui non sia ravvisabile in concreto un intreccio tra tipo di attività e conoscenze tipiche del professionista, era stata in realtà già suggerita dalla Corte costituzionale ed avallata dalla stessa giurisprudenza di legittimità.

In particolare, la Consulta, nella nota sent. 402/1991, aveva ritenuto che il prelievo contributivo è collegato all’esercizio professionale e che per tale deve intendersi anche la prestazione di attività riconducibili, per loro intrinseca connessione, ai contenuti dell’attività propria della libera professione. Nella stessa direzione i giudici di legittimità (Cass., sent. 20670/2004) già avevano affermato che è la oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività in concreto svolta dal professionista a comportare l’inclusione dei relativi compensi tra i corrispettivi che concorrono a formare la base di calcolo del contributo soggettivo obbligatorio e del contributo integrativo dovuti alle Casse di previdenza.

Fermi i ricordati precedenti, nella sentenza in oggetto si ribadisce, pertanto, come il parametro dell’assoggettamento alla contribuzione sia dato dalla connessione tra l’attività (da cui il reddito deriva) e le conoscenze professionali, ossia la base culturale su cui tale attività si fonda; il limite di detta connessione vale a segnare, di conseguenza, l’estraneità dell’attività stessa alla professione.

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