L’adesione dell’avvocato allo sciopero di categoria non ferma il procedimento disciplinare nei suoi confronti

Redazione 24/09/13
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Biancamaria Consales

Così hanno deciso le sezioni unite civili della Suprema Corte di cassazione, che con sentenza n. 21591 del 20 settembre, hanno rigettato il ricorso di un avvocato nei cui confronti era stata disposta la sanzione disciplinare della radiazione dall’Albo professionale.

Nella fattispecie, il Consiglio nazionale forense, in assenza dell’interessato, aveva rigettato il ricorso proposto dall’avvocato avverso la sanzione disciplinare della radiazione dall’Albo professionale irrogatagli dal Consiglio dell’Ordine di Roma, in quanto sottoposto a procedimento penale per reato di calunnia.

In particolare il CNF aveva rilevato che l’addebito disciplinare contestato al professionista era costituito dalla perdita del requisito della condotta specchiata ed illibata richiesto per l’iscrizione all’Albo, quale conseguenza dell’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento.

Il Consiglio aveva, dunque, ritenuto non sussistente la prescrizione dell’illecito, dato che il quinquennio per la promozione dell’azione disciplinare decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di applicazione della pena e non dalla data in cui si realizzarono gli eventi da cui originò il processo penale.

L’avvocato sanzionato, nel ricorrere in cassazione, deduceva, tra l’altro, la violazione del proprio diritto di difesa sotto un duplice profilo: da un lato perché il giorno in cui il CNF si era riunito in camera di consiglio per esaminare la sua impugnazione, egli non era comparso in quanto aveva aderito allo sciopero indetto per quella giornata dagli organismi sindacali dell’Avvocatura, il che avrebbe imposto di considerare giustificata la sua assenza e di rinviare ad altro momento la decisione. Il secondo profilo era invece attinente alla tempestiva impugnazione, che a causa della tardiva notifica della sentenza non era stata possibile.

La Corte, rigettando il ricorso dell’avvocato sanzionato, ha ritenuto infondate le censure sollevate.

“Quanto alla violazione delle garanzie di difesa per l’omesso rinvio di udienza – hanno sostenuto gli Ermellini – deve rilevarsi che la comparizione dinanzi al CNF per la discussione del ricorso, proposto contro la delibera disciplinare adottata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, è atto del professionista incolpato ricollegabile non all’esercizio della sua attività professionale, ma alla sua personale posizione di soggetto sottoposto alla giurisdizione disciplinare. Tale posizione non è riconducibile alle posizioni di interesse collettivo che gli organismi rappresentativi della categoria tutelano con gli strumenti tipici della lotta sindacale, quali l’astensione collettiva dalle udienze. Pertanto la decisione dell’avvocato ricorrente di non comparire dinanzi al collegio disciplinare deve essere ritenuta frutto di una sua scelta discrezionale, non assistita dalle garanzie tipiche dell’adesione all’astensione collettiva dall’attività professionale proclamata dagli organismi sindacali.

Quanto, poi, al profilo di violazione del diritto di difesa per la tardiva notifica della sentenza del CNF – hanno ancora ritenuto i giudici –, il motivo è inammissibile non essendo contestato un vizio della sentenza, ma solo un difetto di attività successivo alla pronunzia”.

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