Insolvenza fraudolenta e truffa negoziale

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L’actio delicta, enunciante, o predisponente, una sensibile violazione da “insolvenza fraudolenta”, è penalmente stigmatizzata dall’art. 641 c.p. italiano.[1]
In particolare, tale articolo, ben evidenzia, e in maniera concludente, internamente al valore propositivo del suo primo capoverso, l’intervento punitivo, posto in essere, per legem, dallo Stato, in favore e tutela della propria cittadinanza, il quale intervento, può tempestivamente invocare una c.d. querela di parte, o più precisamente, querela della persona offesa, da suggellarsi in ordine a quanto giuridicamente circostanziato, altresì, dagli artt. 120 c.p., e 336 c.p.p.[2]

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Indice

1. Premessa


Nei termini del medesimo codicistico riferimento cui al citato art. 641 c.p., l’austerità e lo spessore, della consistente illiceità da azione o petizione, rilevantesi, strutturano in se stessi, un inadempimento o giuridica fallosità, da constatarsi, correlativamente a un c.d. diretto o indiretto status di reato, stringentemente positivo, concorde a una dissimulata quanto giuridica apposizione di insolvenza personale.
Una concretezza di presupposizione, o di oggettiva, raffigurativa realità, di presunzione, le quali, inducono, a mettere in nuce, la controversa e ostentata esimente insolvenza, appartenente alla personale intrinsecità di previsione dell’individuo reo, nell’anima testuale cui all’articolo predetto.
Una materica questione, di carattere valutativo, e di ordine attuativo, il cui confronto, con una ravvisabile quanto correlabile prassi giudiziale, si rende predisponente maturazione – nei riguardi del potenziale reus – dell’applicazione della pena detentiva di reclusione fino a due anni, congiuntamente all’imputazione di una multa, da specularmente computarsi, fino a un valore reale e legale di 516 euro. 
In materia di “truffa negoziale” o, di “truffa c.d. contrattuale”[3] l’accertamento legale da necessitarsi, esibisce la propria notabile specificità, accostandosi al tenore letterale, quanto, al medesimo tempo, sensibilmente sostanziale, del corpus iuris di cui all’art. 640 c.p. .
In linea di primaria e approssimata sintesi, da riportarsi in tale iniziale, primitiva, analitica descrizione, la costruzione di relazione, di cui al congenito illecito (reato), espone di sé i seguenti tratti di caratteriale pragmatica essenza, o preposte criticità, quali:
1.     l’ingiusto profitto;
2.     il danno causato al soggetto passivo del siglato rapporto contrattuale;
3.     la stipulazione contrattuale in se stessa;
4.     il fatto contrattualmente costituitosi attraverso la stipula negoziale;
5.     l’obiettivo squilibrio da rilevarsi nelle relative prestazioni;
6.     l’aggravante del danno patrimoniale;
7.     il valore economico contrattuale;
8.     la data della stipulazione;
9.     l’entità del danno risarcibile.

2.Gli elementi di contiguità, distanza, teorica e sostanziale discontinuità, ravvisabili, tra: l’”insolvenza fraudolenta” e la c.d. “truffa negoziale”.


L’azione delittuosa, o di infeconda liceità, segnatamente rispondente a un reato di “insolvenza fraudolenta”, decifra, esplicitamente, una c.d. condizione di dissimulazione comportamentale, esercitata, da parte di un soggetto attivo, o reoab origine, dell’oggettivo, fraudolento, insilante illecito, concretato, o concretizzabile, da contestarsi.
Una manifesta alterazione comportamentale, accertabile, de iure conditode facto e per cogitatio
De facto, qualora, nel persistere di una acclarabile stabilità materiale dell’actio delicta, conseguenziale, a una permanenza emotiva di premeditata configurazione, realizzi in materia, la soggettiva personificazione della realità di un reato, che riveli se stesso, attraverso la pervasività di una esteriore illicitata origine, e personale continuità, nella istitutiva proposizione di un raggiro o inganno, concepibile a danno di terzi. 
La dissimulazione, si rivela, così, un elemento centrale in quanto predetto, in termini propri e/o impropri.
In termini propri, omogeneamente, ai seguenti elementi di prioritaria osservazione, ovvero:

  • l’intrinseca finalità;
  • la sottile ratio sottesa;
  • il grado e finitezza dell’inadempimento. 

In termini impropri, corrispondentemente, alle seguenti ulteriori tracce di manufatta giuridica determinazione, ovvero:

  • l’incapienza;
  • la diretta o indiretta occultazione della mancante volontà ad adempiere;
  • la manifesta infondatezza della pronunciata solvibilità. 

Riflettendo brevemente sugli enunciati elementi propriamente riscontrabili, o delimitabili, nell’ambito della citata actio delicta, l’intrinseca finalità, si coniuga implicitamente da sé, con la volontarietà del compimento di quest’ultima; la sottesa ratio, con l’implicito dolo; il grado e finitezza dell’inadempimento, rispettivamente, con l’ordine qualitativo e quantitativo della collimante strutturata gravità, da legarsi alla congetturata violazione, nonché, con la persuasiva mera compiutezza coinvolgente la profondità concludente dell’actio e della cogitatio.  
Gli enunciati, riconoscenti, una natura impropriamente consapevole, in ordine a una tale funzionale azione delittuosa, concentrano, la propria insita captazione, nell’incapienza, ovvero, nei meriti di una inefficienza materiale e cosciente, che si ponga nei riguardi dell’illicitato proponimento di un potenziale adempimento della contratta obbligazione; nell’occultazione diretta della mancante volontà a realizzare un tangibile dare, arretrando, l’adempimento dell’assunto impegno; oppure, nell’occultazione indiretta della medesima volontà, omettendone, la veridicità dell’intenzione; nella manifesta infondatezza della pronunciata solvibilità, ovvero, nell’effettività dell’imponderabile incongruità decantata.
Per cogitatio, ovvero, valevolmente, nel circoscritto ambito di pretermessi aspetti di elicitata permissività, nella perseveranza di un’azione conferente carattere, e struttura, di insana convergenza, e quantificabile sutura, reggenti, l’elemento razionale dell’occultamento – o, ricercata dissimulazione – e, il computato orientamento, di una congenita, cognitiva mancanza, di stipulante intenzionalità ad obbligarsi.
Soggettivanti e oggettivanti speciosità (o apparenze), si fondono così, prestando la propria voce, all’unisono, al pertinente complemento di non adempimento, cui al primo capoverso dell’art. 641 c.p..  
Nella logica della deterrenza e delle utilità esposte a maglie larghe, piccole o sinuose, dall’intrinseco giuridico tessuto, di un reato, quale quello nella fattispecie ivi contemplata, si pone, in maniera concorrente, la testimoniale facti species, appellante, il reato di c.d. “truffa (o, frode) negoziale”, nell’ambito di un processo di debita comparazione, che dispone se stesso, a cercare di fornire, una dimensione di corporeo, inusitato incontro, tra le stesse, in qualità di probativa contiguità, distanza e teorica o sostanziale discontinuità:

  • contiguità: nella dissimulazione dell’habitus, costituente la proposizione di un raggiro o inganno, concepibile a sfavore di terzi, che per quanto di prevalente inerenza con l’illicitum, cui all’”insolvenza fraudolenta”, di se esibisce, una precostituita e al contempo pregiudizievole stabilità materiale, intrinsecamente, alla permanenza di emotiva e premeditata configurazione del delictum, finalizzante la stessa, così come previgentemente sottolineato.
  • L’inerente realizzazione, in materia, della soggettiva personificazione della realità delittuosa, diviene così, conseguenziale riservata personale invasività dell’elicitata azione di illicitata origine. 
  • L’immanente contiguità di pertinenza, con la c.d. “truffa negoziale”, configura di per sé, una potenziale tipicità di corporale giuridica consistenza, e di qualitativa, quanto preliminare osservazione (o, indagine), la cui prova caratteristica, di prossimità, riveli l’oggettivo riscontro, e, l’esclusività, della reale putativa riserva o pienezza di reato, circoscrivente la statuiva effettività della stipula contrattuale in sé, profilante l’ordinante sensibilità decisoria insita nell’illicitum[4] ;  
  • distanza: nell’origine del “dolo iniziale”;[5]
  • discontinuità: intrinsecamente alla mera “illiceità della causa[6]

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3. Indagine e accertamento di un principio di valore da porre in essere nell’espressività delittuosa degli artt. 641 e 640 c.p. .   


Il reato (o, delitto) di “insolvenza fraudolenta”, involge, il proprio incipit di letterale definizione, nell’ambito di opportuni termini di comparazione, ricerca e accertamento, estrapolabili, e poi, apprezzabilmente sancirsi:

  • nella dissimulazione;
  • nell’incapienza debitoria;
  • nell’intenzionalità dolosa

Un antefatto, questo, il quale trova la propria sede di giuridica descrizione, in quanto reso stimabile dall’anima testuale cui all’art. 641 c.p., nei seguenti termini, ovvero:
“Chiunque, dissimulando il proprio stato di insolvenza (2221, 2540 c.c.), contrae un’obbligazione col proposito di non adempierla è punito, a querela della persona offesa (120; 336 c.p.p.), qualora la obbligazione non sia adempiuta, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a € 516 (649).
L’adempimento della obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato.”.
Sigillanti, preziose unità, di accreditabile funzionalità – le quali, forniscono, rilevanza di inevitabile prerogativa, di una logica giuridico-giurisprudenziale, implicita, a un tale predisposto codicistico impianto di natura ordinatamente penalistica – pervengono, ad articolarsi, attraverso dei paradigmi di formale e sostanziale forma, e contingenza, da profilarsi nelle seguenti istitutive modalità di actio e di cogitatio, ovvero: 

  •  la delibazione, sancibile nella determinatezza dell’agire e della cognitiva ratio;
  •  il legatus ab probationem, statuibile tra l’incapiente solvibilità e l’obligatio;
  • l’intervallo di incertezza, il quale, segna, una precostituita atassia[7] tra intenzionalità dolosa e la misurabile quantificazione di un ratificato inadempimento.

La continenza dell’obligatio,[8] cui alla fraudolenta e personale illegittimità debitoria, estingue l’individualità soggettiva della positività stessa del criminem.  
L’art. 640 c.p., nei termini del suo primo e secondo capoverso, contemplanti, de iure condito, la riassuntiva denominazione di “truffa”, sancisce letteralmente, nell’ambito del personale ambito codicistico di sistematicità, e significatività, di reato, che: 
 «Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro1.032 (649).
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549:
1)se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell’Unione Europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare (32 quarter, 162 c.p.m.p.);
2)se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità (661);
2bis)se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’art. 61, numero 5).» 
 Tale medesima obiettiva esplicativa continenza, è elemento giustificativo del neminem ledere avvolgente il tantundem quali-quantitativo di natura processuale, oggettivamente proposto, nelle acclarabili propositive locuzioni, cui all’applicazione dell’art. 640 c.p., negli allegati termini di cui all’art. 649 (bis)[9] c.p., ovvero, laddove, si sanziona, attendibilmente, e stabilmente, che:
“Per i fatti perseguibili a querela preveduti dagli articoli 640, terzo comma, 640 ter, quarto comma, e per i fatti di cui all’art. 646, secondo comma, o aggravati dalle circostanze di cui all’art. 61, primo comma, numero 11, si procede d’ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero se la persona offesa è incapace per età o per infermità o se il danno arrecato alla persona offesa è di rilevante gravità.”.
I primigeni fattori di ragguardevole contrapposizione o probante distanza, precedentemente osservati, sostengono, presumibilmente, i reati di “Insolvenza fraudolenta” e “Truffa negoziale”, nell’ambito della pregevole misura di una analitica riflessione di tale guisa e natura, nell’essenza dell’estetico quanto retrospettivo e schernente, aspetto dissimulatore, intrinseco al fungente aspetto di giuridica infrazione, concludente un comportamento finalizzato ad «estorcere» il consenso negoziale del contraente,[2] e, più propriamente:    

  •  l’origine del “dolo iniziale, nella distanza di cognizione insitamente probante il criminem in sé;
  • l’illiceità del nesso di causalità, quale discontinua malleveria contrapponente i reati stessi.

Una tesi questa, istitutivamente reggente, pedissequamente, un principio di valore posto in essere dall’espressività positiva delittuosa articolante l’impianto codicistico cui agli artt. 641 e 640 c.p.

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  1. [1]

    Così come reso evidente dal Libro II (Dei Delitti), Titolo XIII (Delitti contro il patrimonio) del codice penale italiano.

  2. [2]

    Il riferimento agli articoli 120 –  “Diritto di querela” (Libro I, Dei Reati, Capo IV, Della persona offesa dal reato, Titolo IV, Reo e persona offesa, del codice penale), e 336 – “Querela” (Libro V, Indagini e udienza, Titolo III, Condizioni di procedibilità, del codice di procedura penale italiano), sono resi evidenti, internamente, alla cifra stilistica e letterale cui al segnalato art. 641 c.p.

  3. [3]

    Si consulti a tal proposito, la pagina 2033 del codice penale italiano, commentato, curato da L. ALIBRANDI, Piacenza, 2021, alla lettera b), i cui approfondimenti, ben evidenziano, una peculiare pertinenza di natura giurisprudenziale stringentemente declinante il corpus iuris di definizione cui all’art. 640 del predetto codice.

  4. [4]

    Si consiglia la consultazione del codice penale commentato di L. ALIBRANDI, Piacenza, 2021, alla pagina 2033, internamente alle note esplicative, descriventi, l’actio delittuosa, cui al reato di “Truffa”, contemplato, nell’art. 640 del medesimo testo codicistico, Capo II (Dei delitti contro il patrimonio mediante frode), Titolo XIII (Delitti contro il patrimonio), Libro II (Dei delitti).

  5. [5]

    Dal codice penale di L. ALIBRANDI, Piacenza, 2021

  6. [6]

    Ibidem

  7. [7]

    O, «scoordinamento»

  8. [8]

    O, «obbligo»

  9. [9]

    “Casi di procedibilità d’ufficio”, Capo III bis (Disposizioni comuni sulla procedibilità), Libro II (Dei delitti), Titolo XIII (Dei delitti contro il patrimonio).

  10. [10]

    Si consulti, a tal proposito, il Codice penale italiano, commentato, curato da L. ALIBRANDI, Piacenza, 2021, pag. 2082, art. 641, lettera d)Rapporto con altri reati. Nello specifico, in tale citato giurisprudenziale contesto, il riferimento è noto, con specifico riguardo, alla sentenza della seconda sezione penale della Cassazione risalente al 27 giugno 1981, n. 6387, e riservata udienza del 24 febbraio del medesimo anno.

Lucia D’Angelo

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