Il difetto di motivazione nei provvedimenti amministrativi

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Scopo di questo elaborato è quello di analizzare le deroghe all’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi riconosciuti dall’art. 3 della Legge n. 241/1990, con particolare riferimento alla motivazione sintetica espressa con valutazione numerica nell’ambito delle procedure concorsuali

     Indice

  1. Le deroghe all’ obbligo di motivazione e la motivazione per relationem
  2. Motivazione sintetica espressa con valutazione numerica; 2.1 L’orientamento della Corte costituzionale e dell’Adunanza plenaria

1. Le deroghe all’obbligo di motivazione e la motivazione per relationem

Nella legge sul procedimento amministrativo emergono nel dettato normativo al secondo e terzo comma dell’art. 3 le deroghe all’obbligo di motivazione sancito al primo comma dello stesso articolo e l’ammissibilità della motivazione per relationem. “La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale” (art. 3, comma 2, L. 241/1990): tali uniche eccezioni trovano la ratio nella natura dell’atto stesso essendo entrambi espressione di discrezionalità politica e non amministrativa.  Va fatto presente però che la mancanza di un obbligo generale di motivazione non soddisfa quanti ravvedono la possibilità che quest’ultima sia, in talune ipotesi, fondamentale e sostengono la necessità di una valutazione case by case, in particolar modo nelle fattispecie in cui l’atto generale sia decisamente negativo.[1]
Diversamente da quanto accade per gli atti normativi e gli atti generali, la motivazione per relationem  di cui al comma 3 dell’art. 3 sopra citato, non rappresenta una deroga all’obbligo di motivare in sé, ma una mera eccezione incentrata sulla manifestazione del corredo motivazionale[2] che, non accompagnando il provvedimento finale in maniera ordinaria, può ravvedersi nel rinvio che dalla pubblica amministrazione viene effettuato ad uno o più atti infraprocedimentali appartenenti alla stessa amministrazione o ad altra.[3]
Tuttavia, affinché l’atto amministrativo in questione sia legittimo, è necessario che l’atto indicato per relationem sia reso disponibile. Infatti, la problematica più rilevante che coinvolge la disciplina della tipizzata motivazione per relationem è rappresentata dal meccanismo di richiamo effettuato dall’amministrazione: il testo dell’art. 3 prevede che, insieme alla comunicazione della decisione, l’atto a cui si fa rinvio deve essere “indicato e reso disponibile”. Da ciò potrebbe desumersi la necessità di un meccanismo di conoscibilità diverso dal diritto di accesso disciplinato nella legge del ’90.[4]
A tal proposito, parte della giurisprudenza ha rilevato la sufficienza dell’indicazione dell’atto e la non necessarietà della materiale allegazione stante l’accessibilità dell’atto. Secondo altra parte della giurisprudenza, la motivazione ab relationem, costituendo un’eccezione al generale obbligo di motivazione implicherebbe sempre l’obbligo di allegazione dell’atto oggetto della relatio. Infine, secondo una posizione mediana, l’allegazione sarebbe necessaria solo in caso di provvedimenti discrezionali.
Tenuto conto di quanto disposto dall’art. 3 della L. n. 241/1990, tranne nei casi sopra indicati, deve ritenersi invalido ,per violazione di legge, l’atto amministrativo sfornito di motivazione così come l’atto amministrativo che non esprima compiutamente i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche alla base dell’atto ovvero che non indichi l’atto cui fa riferimento per la motivazione o che non lo renda disponibile.
E’ illegittimo per eccesso di potere,[5] invece, l’atto la cui motivazione sia perplessa, contraddittoria, incongrua e/o illogica.


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2. Motivazione sintetica espressa con valutazione numerica

Una delle questioni che più ha interessato sia la dottrina che la giurisprudenza negli ultimi decenni è rappresentata dalla ammissibilità della motivazione espressa con valutazione numerica nell’ambito di prove concorsuali.
Può ritenersi pacifico ormai che “nelle procedure concorsuali l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante punteggio numerico, o alfanumerico, se a monte siano fissati criteri generali di valutazione ed attribuzione del punteggio”[6].
Tuttavia, la questione è stata a lungo oggetto di un dibattito, in quanto sulla possibilità che il voto numerico potesse costituire motivazione si era sviluppato un vivace contrasto giurisprudenziale non solo tra i Tribunali amministrativi ed il Consiglio di Stato, ma anche tra le sezioni del Supremo consesso, che ha dato luogo a sentenze contraddittorie in materia di concorsi pubblici. Il contrasto sembra essersi apparentemente concluso con le autorevoli decisioni della Corte costituzionale e dell’Adunanza plenaria in relazione ad una fattispecie di grande attualità quale quella relativa alle prove scritte del concorso per l’abilitazione forense[7], la cui relativa graduatoria di ammissione agli orali viene spesso impugnata dinanzi al giudice amministrativo per mancanza di motivazione, non bastando a ciò, secondo i ricorrenti, il solo voto numerico.
Si può affermare che oggi costituisce ius receptum il principio secondo cui il voto numerico, attribuito dalle commissioni alle prove scritte ed orali di un concorso pubblico, esprime e sintetizza il giudizio tecnico-discrezionale della Commissione stessa, contenendo in sé la sua stessa motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti purché siano rigidamente predeterminati i parametri di riferimento ed il metodo di correzione degli elaborati, considerando che si tratta di attività connotata da discrezionalità tecnica e che occorre assicurare la tempistica delle correzioni nell’ottica di assicurare i principi di buon andamento ed imparzialità.
Inoltre, data l’inesauribilità del potere amministrativo, chiedere l’annullamento degli atti provvisti del solo voto numerico, e per ciò ritenuti atti carenti di motivazione, potrebbe essere poco utile per i ricorrenti perché la PA potrebbe emettere nuovamente lo stesso atto ma corredato  di approfondita motivazione. In tal modo, l’articolo 21 octies evidenzia come, nel caso di specie, i ricorrenti non otterrebbero comunque il bene della vita cui aspirano, ovvero, l’ammissione agli orali, in quanto ad un atto non motivato ne seguirebbe uno di uguale contenuto, ma opportunamente motivato.

2.1. L’orientamento della Corte costituzionale e dell’Adunanza plenaria 

La Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione con la  sentenza n. 175/2011.
In questa occasione,  la Corte , pronunciandosi sul merito, prende le mosse dal dato normativo per gli esami di abilitazione all’avvocatura e, dopo averlo già fatto con la n. 20 del 2009[8], pone un punto fermo rispetto all’utilizzazione del solo punteggio numerico per l’ammissione agli esami orali per la professione forense, avallando il diritto vivente prodotto dal Consiglio di Stato.[9]

In tal senso, la Consulta ha precisato che il criterio prescelto dal legislatore della votazione numerica è idoneo a costituire motivazione del giudizio valutativo espresso dalla commissione esaminatrice in quanto non si limita ad indicare soltanto il risultato della valutazione ma sintetizza il giudizio della commissione, contenendo in sé la sua stessa motivazione, senza la necessità di ulteriori esplicitazioni. Ciò risponde non solo a evidenti motivi di economicità ma la ratio va anche rintracciata  nelle “esigenze di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97, primo comma, Cost.), che rendono non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle commissioni esaminatrici, delle ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non idoneità, avuto riguardo sia ai tempi entro i quali le operazioni concorsuali o abilitative devono essere portate a compimento, sia al numero dei partecipanti alle prove”.

Tuttavia, la sentenza della Corte costituzionale ha lasciato irrisolte molte questioni, tanto che anche la giurisprudenza amministrativa successiva, soprattutto dei Tribunali di primo grado, aveva riproposto dubbi sulla sufficienza del voto numerico.
È stata necessaria una sentenza dell’Adunanza plenaria n. 7/2017[10] per ribadire le ragioni della decisione della Corte costituzionale, a cui l’Adunanza rinvia.
Inoltre, nel 2020, il Consiglio di Stato è tornato ad esprimersi sulla questione relativa alla sindacabilità, da parte del giudice amministrativo, dei giudizi afferenti alle prove di esame e di concorso espressi dalle commissioni esaminatrici ed ha escluso che il giudizio negativo espresso da una Commissione esaminatrice attraverso l’assegnazione di un punteggio numerico possa ritenersi viziato. Anzi, è ipotizzabile che le scelte dell’Amministrazione siano sindacate dal Tribunale solo in presenza di vizi di erroneità o irragionevolezza riscontrabili ab externo e icto oculi dalla sola lettura degli atti. In un simile contesto, il Consiglio di Stato precisa di conoscere la necessità che si raggiunga un equilibrio nello svolgimento della giurisdizione amministrativa che permetta, da un lato, di assicurare la piena ed effettiva giustiziabilità delle posizioni di coloro che concorrono ad una pubblica selezione e si sottopongono ad una valutazione altamente discrezionale delle Commissioni, e, dall’altro, di impedire all’attività giurisdizionale di rinnovare la valutazione già effettuata in sede amministrativa o, comunque, di compiere essa stessa una autonoma valutazione[11]. Il Consiglio di Stato, dando continuità al proprio orientamento giurisprudenziale ed anche conformemente alle statuizioni della Corte Costituzionale  ribadisce, da un lato, che le valutazioni numeriche e le formule di inidoneità sono le modalità ordinarie attraverso cui il soggetto a cui è richiesta la valutazione tecnica motiva la propria decisione e, dall’altro, che rispetto a tale forma di potere amministrativo è ammesso il solo cosiddetto sindacato debole del Giudice Amministrativo che, per poter essere attivato, richiede la denuncia, e la manifestazione icto oculi, di specifici e determinanti vizi. In definitiva si può pacificamente riconoscere che la giurisprudenza relativa ai concorsi pubblici si è consolidata sulle numerose controversie in materia di esami di abilitazione alla professione legale, facendo sì che si deducesse un principio generale da un caso specifico.

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Note

[1] In tal senso, si richiama S. BACCARINI, Motivazione ed effettività della tutela, in federalismi.it, 2007, il quale richiamando l’opinione di Morbidelli, ravvede nella letterale applicazione dell’art. 3 della legge 241 del 1990 un vulnus di tutela nei confronti dei consociati;

[2] Cfr. la definizione che offre A. ROMANO TASSONE, Motivazione (dir. amm.) in S. CASSESE (a cura di) Dizionario di diritto pubblico, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 3744 ss..

[3] Cfr. la definizione data da M. DE PAOLIS in M. DE PAOLIS, T. AUTIERI, R. E. MARCHESE, V. MASCELLO, G. SCHETTINO, S. TERRADOS MOLLEDO, op. cit., p. 37.

[4] La questione, invero, ha impegnato la giurisprudenza negli anni successivi all’emanazione della legge sul procedimento amministrativo nel 1990: l’opinione maggioritaria sembrava far riferimento al diritto di accesso, visto l’obbligo della pubblica amministrazione di rilasciare l’atto endoprocedimentale in seguito a regolare richiesta da parte del privato interessato, come statuito negli artt. 22 e ss del capo V della legge del 1990. Si consideri in tale senso, da ultimo, Cons. St., sez. III, 20 marzo 2015, n. 1537. Cfr. per una ricostruzione, ex multis, M. ARSÍ, Piena conoscenza, motivazione e comunicazione del provvedimento in Giornale di diritto amministrativo, 1996, p. 133.

[5] P. VIRGA, Il provvedimento amministrativo, Giuffrè, Milano, 1968, pp. 449 ss.. “L’eccesso di potere si manifestava principalmente in tre modi: sviamento dell’interesse pubblico o della causa, violazione di un precetto di logica o di giustizia, vizio nella formazione della volontà. Tra le varie figure tipiche, o indici sintomatici, un importante ruolo è svolto dal difetto di motivazione e dalla illogicità̀ manifesta, all’interno di quest’ultima vanno inseriti tutte le ipotesi in cui sussiste una discrepanza tra i vari motivi del provvedimento tra loro a cui conseguono i casi di a. preambolo perplesso, b. motivazione perplessa, c. motivazione contraddittoria, d. contraddizione tra preambolo e motivazione, e. contraddizione tra dispositivo e motivazione. Nel genus del difetto di motivazione, invece, vanno collocate le fattispecie che, richiedendo la motivazione in ragione della natura del provvedimento, ne risultino prive, ledendo il privato nel suo diritto di difesa.”

[6] Tribunale Amministrativo Regionale | Lombardia – Milano |Sezione 4 | Sentenza | 29 gennaio 2014 | n. 305.

[7] Sul punto tradizionalmente la giurisprudenza amministrativa si è sempre confermata granitica sulla sufficienza del solo voto numerico. Ex multis : Cons. Stato, sez. IV, n.2601/2002 , Cons. Stato, sez. IV, n. 2331/2004; Cons. Stato, sez. IV, n. 219072008, Cons. Stato, sez. IV, n. 5832/2009, CGARS n. 316/2012. Recentemente, anche per via della novella che ha investito la disciplina relativa all’accesso alla professione forense, si sono, invece, registrate pronunce  giurisprudenziali di primo grado che si sono poste in contrasto con tale orientamento tradizionale : TAR MOLISE, n. 5/2012; TAR ROMA, sez. II quater, n. 9415/2015: “ (…)il solo voto numerico impedisce comunque al candidato di avere effettiva contezza degli asseriti errori in cui è incorso; conoscenza che potrebbe impedire di reiterarli in un successivo esame cui il candidato volesse partecipare”

[8] Con tale decisione, la Corte costituzionale giudica legittima la disciplina che consente la valutazione delle prove di esame per l’abilitazione alla professione forense attraverso una votazione alfanumerica, così come risulta oramai affermato dal diritto vivente. Prima di tale sentenza, la Consulta aveva sempre giudicato la stessa questione come manifestamente inammissibile, in quanto esistevano diversi indirizzi interpretativi; la Corte, id est, non aveva mai avallato uno anziché l’altro e lo faceva attraverso il richiamo dell’obbligo dell’interpretazione conforme a Costituzione, obbligo che ricade in capo al giudice e che poteva, dunque, adottare già l’interpretazione da lui ritenuta corretta alla luce delle disposizioni costituzionali. Per questa giurisprudenza, v. le ordd. nn. 28 del 2006, 419 e 420 del 2005, 233 del 2001 e 466 del 2000, quest’ultima è stata annotata da A. SANDULLI, La motivazione del provvedimento nei pubblici concorsi ed il sindacato di costituzionalità del diritto vivente, in Giurisprudenza costituzionale, 6/2000, pp. 3662-3670; A. L. TARASCO, Diritto vivente e obbligo di motivazione nei concorsi pubblici: la Corte Costituzionale “si astiene”, in Corriere giuridico, 8/2000, pp. 1571 e ss. Sulla dottrina del ‘diritto vivente’, cfr. G. ZAGREBELSKY, La dottrina del diritto vivente, in Giurisprudenza costituzionale, 1/1986, pp. 1151 e ss.; L. ELIA, Sentenze “interpretative” di norme costituzionali e vincolo dei giudici, in Giurisprudenza costituzionale, 1966, pp. 1715 e ss.; A. PUGIOTTO, Sindacato di costituzionalità e diritto vivente, Milano, 1994; A. ANZON, Il giudice a quo e la Corte costituzionale tra dottrina dell’interpretazione conforme a Costituzione e dottrina del diritto vivente”, in Giurisprudenza costituzionale, 1998, pp. 1082 e ss.; A. RUGGERI e A. SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino 2009, p. 88-89 e 140-141

[9] Fra le decisioni più recenti, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 26 gennaio 2009 n. 406; Consiglio di Stato, sez. IV, 24 dicembre 2008 n. 6562; Consiglio di Stato, sez. IV, 19 settembre 2008 n. 4512 (nella quale si precisa che nulla cambia a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 ove, come è noto, si prescrive che “la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione in relazione alle risultanze dell’istruttoria”; in dottrina cfr. V. ITALIA, Voto numerico e motivazione nella giurisprudenza del Consiglio di Stato. Nota a Consiglio di Stato, sez. IV, 19 settembre 2008 n. 4512, in Foro amministrativo – CdS 10/2008, pp. 2704 e ss.); Consiglio di Stato, sez. IV, 29 luglio 2008 n. 3747; Consiglio di Stato, sez. IV, 7 luglio 2008 n. 3383; Consiglio di Stato, sez. IV, 6 giugno 2008 n. 2685; Consiglio di Stato, sez. IV, 29 maggio 2008 n. 1698; Consiglio di Stato, sez. IV, 10 aprile 2008 n. 1553; Consiglio di Stato, sez. IV, 7 aprile 2008 n. 1455, tutte in Foro amministrativo – CdS, nn. 1/2009, 10 e 12/2008.

[10] Cons. giust. amm. Sicilia, ord., 2 maggio 2017, n. 206. In particolare, il Cons. giust. amm. Sicilia ha rimesso all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la decisione delle seguenti questioni: (i) se l’articolo 49 della legge n. 247 del 2012 escluda l’applicazione dell’articolo 46, comma 5 della stessa legge; (ii) se il voto numerico sia capace di sintetizzare il giudizio tecnico-discrezionale della commissione senza ulteriori oneri motivazionali.

[11] Consiglio di Stato, V, 30 settembre 2020, n. 5743.

Clelia Chiarenza

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