Il consulente di parte può trattare i dati sensibili dell’interessato quando la loro elaborazione rimanga circoscritta ai soggetti del rapporti processuale

Redazione 06/08/12
Scarica PDF Stampa

Anna Costagliola

La Corte di cassazione, nella sentenza n. 13914 del 2 agosto 2012, afferma l’importante principio in base al quale il diritto alla privacy può subire legittime limitazioni quando vengano in rilievo garanzie correlate al diritto di difesa, ovvero per far valere o difendere un diritto in giudizio, sicchè il consenso dell’interessato al trattamento dei dati personali, nella specie sensibili in quanto attinenti alla salute, non è necessario.

Con detta sentenza, pertanto, è respinto il ricorso proposto dall’istante volto ad ottenere il risarcimento dei danni per l’illecito trattamento dei suoi dati sensibili compiuto da un professionista chiamato a redigere, nell’ambito di una causa che lo opponeva al datore di lavoro, un parere pro veritate  sulla CTU già espletata richiesto dal difensore di controparte. Il consulente si era avvalso, per l’espletamento dell’incarico, esclusivamente di atti e documenti già esistenti negli atti di causa, esprimendo una valutazione critica sull’espletata CTU; nella fattispecie concreta, l’accesso alle carte «incriminate» da parte del perito è qualificato come necessario all’esercizio del diritto di difesa del datore di lavoro. Ne deriva che è lo stesso interessato, in qualche modo, a comunicare i propri dati sensibili al consulente di parte. Precisa, infatti, la Corte che, qualora sia lo stesso interessato a «comunicare» i propri dati sensibili a uno o più soggetti determinati diversi dall’interessato, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione, la «elaborazione» dei detti dati da parte di tali determinati destinatari della comunicazione sfugge all’applicazione della disciplina speciale sulla protezione dei dati sensibili e rivive pienamente il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. Ciò vale anche con riguardo all’espletamento della perizia di parte, giacchè il diritto di difesa si esplica anche mediante la produzione di una perizia stragiudiziale, la quale può essere utilizzata dalla parte per trarne argomenti difensivi volti a confutare una consulenza tecnica d’ufficio.

Pertanto, affermano i giudici di legittimità, è «destinatario determinato» della comunicazione dei dati operata dall’interessato anche il consulente di parte che il difensore in giudizio può nominare, se l’elaborazione delle informazioni da lui eseguita venga comunicata esclusivamente ai destinatari dei dati sensibili forniti dall’interessato; e ciò a prescindere da ogni autorizzazione concessa dal giudice.

In definitiva, l’utilizzo delle informazioni da parte del perito di parte avversaria nell’ambito dell’attività di difesa processuale deve essere considerato lecito, sempre che le conclusioni a cui lo stesso giunga vengano diffuse solo nell’ambito dei soggetti del rapporto processuale, ovvero parti, difensori, giudice, ausiliari, consulenti delle parti. D’altra parte, conclude la Corte, il professionista incaricato di redigere il parere risulta titolato al trattamento dei dati riservati in virtù dell’autorizzazione generale del Garante della privacy concessa ai liberi professionisti, ove detto trattamento risulti «strettamente indispensabile per l’esecuzione di specifiche prestazioni professionali richieste dai clienti per scopi determinati e legittimi» e sempre che il trattamento medesimo sia finalizzato all’espletamento di un incarico tra quelli che il libero professionista è legittimato ad eseguire in base al proprio ordinamento professionale, come quello di far valere o difendere un diritto, anche da parte di un terzo, in sede giudiziaria.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento