Fecondazione assistita: dal Tribunale di Roma arriva il sì alla diagnosi preimpianto per le coppie fertili

Redazione 30/09/13
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Anna Costagliola

Il Tribunale di Roma, applicando i principi sanciti dalla Corte di Strasburgo, ha dato il via libera alla diagnosi preimpianto a spese del Servizio sanitario nazionale per una coppia di portatori sani di fibrosi cistica che intende fare ricorso alla fecondazione assistita. Una decisione considerata «storica» perché per la prima volta è stata presa disapplicando direttamente la L. 40/2004 e applicando una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

Il caso riguarda una coppia romana che ha già un figlio affetto da fibrosi cistica. Per questo motivo, intendendo ricorrere alla fecondazione assistita in vista di una seconda gravidanza, i coniugi hanno chiesto di poter effettuare la diagnosi reimpianto, che implica l’accertamento dello stato di salute dell’embrione al fine di escludere dall’impianto quello di cui sia stata previamente accertata l’anomalia grave. Sulla legittimità della diagnosi prenatale, tuttavia, se dopo le numerose ordinanze dei Tribunali di merito (trib. Cagliari e trib. Firenze 2007 e TAR Lazio 2008) e, soprattutto, dopo la sentenza della Corte costituzionale 151/2009, non sembrano esservi più dubbi, essa, tuttavia, alla luce della legge 40 appare consentita alle sole coppie infertili. Detta legge, infatti, limita l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita ai soli casi di conclamata sterilità o infertilità, escludendo invece quelle coppie che, pur non infertili, rischiano concretamente di procreare figli affetti da grave malattie, a causa di patologie geneticamente trasmissibili.

Tanto premesso, la coppia in questione si è rivolta ai giudici di Strasburgo che hanno dato loro ragione, stabilendo che la legge 40 viola i diritti dei ricorrenti nella parte in cui non consente l’accesso alle tecniche di procreazione assistita e alla diagnosi preimpianto sugli embrioni alle coppie non sterili portatrici di malattie genetiche. In particolare, la Corte ha ritenuto che i divieti posti dalla normativa italiana sono incoerenti con l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che prevede il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare, e dunque all’autodeterminazione nelle scelte terapeutiche, non ammettendo alcuna ingerenza da parte di un’autorità pubblica nel privato della coppia. I giudici di Strasburgo hanno ancora rilevato l’incoerenza del sistema legislativo italiano, posto che un’altra legge, la L. 194/1978, consente l’aborto terapeutico in caso di patologie del feto (come la stessa fibrosi cistica) accertate mediante diagnosi prenatali (es. amniocentesi, villocentesi). In pratica, da un lato si vieta, attraverso la L. 40/2004, l’impianto dei soli embrioni non affetti dalla patologia genetica, costringendo i futuri genitori al concepimento, dall’altro, con la legge sull’interruzione di gravidanza (L. 194/1978), si autorizzano i genitori ad abortire un feto che successivamente si accerti essere affetto dalla stessa patologia. In tal modo si impedisce, di fatto, di operare preventivamente e con minori danni (sia per la salute della mamma che per il concepito, in considerazione del suo stadio di sviluppo) una scelta che comunque la coppia è legittimata a compiere successivamente con l’aborto terapeutico.

Con il rigetto da parte della Grande Camera EDU, nel febbraio scorso, del ricorso presentato dal Governo italiano per chiedere il riesame della sentenza della Corte europea, quest’ultima è divenuta definitiva, confermandosi così che l’accesso alla fecondazione assistita rientra tra i diritti umani meritevoli di tutela, non potendosi tollerare dolorose discriminazioni nell’accesso alle cure. Anche le coppie fertili potranno quindi accedere alla fecondazione in vitro.

Il Tribunale di Roma, con la sentenza in oggetto, ha ritenuto di dover applicare i principi della Corte di Strasburgo, disapplicando la L. 40/2004. Ha così riconosciuto il diritto della coppia ad ottenere l’assistenza del Sistema sanitario nazionale per la fecondazione assistita e per l’effettuazione della diagnosi preimpianto.

Una sentenza, quella del giudice italiano, che l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca definisce «storica», sia perché supera la necessità di intervento della Corte costituzionale e disapplica direttamente, per la prima volta, una normativa nazionale come la legge 40, così riconoscendo la portata immediata di una decisione della Corte Europea dei Diritti, sia perché non era mai successo prima che si decidesse «che il diritto alle cure avvenga in una struttura pubblica».

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