Falso ideologico: sussiste se in atto pubblico si dichiara di avere requisiti morali pur se falliti

Redazione 29/11/13
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Biancamaria Consales

Così ha deciso la quinta sezione della Suprema Corte di cassazione, rigettando, con sentenza n. 47085 del 26 novembre 2013, il ricorso proposto da un commerciante ritenuto responsabile del delitto di falso ideologico.

Questi i fatti. La Corte di Appello territorialmente competente, confermando la decisione assunta dal locale Tribunale, ha riconosciuto un uomo responsabile del delitto di falsità ideologica commessa in atto pubblico per avere falsamente attestato, nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio presentata al Comune, di essere in possesso dei requisiti morali di cui all’art. 5, commi 2 e 5, del D.Lgs. 114/1998, mentre in realtà era stato dichiarato fallito. Il Collegio aveva, infatti, ritenuto che non fosse venuta meno l’illiceità del fatto solo per essere stata abrogata la norma che rendeva la dichiarazione di fallimento ostativa all’esercizio del commercio, dal momento che all’epoca del fatto quel requisito morale era richiesto dalle leggi vigenti.

Proponendo ricorso per cassazione, il ricorrente sosteneva che l’intervenuta abrogazione della norma che prevedeva la dichiarazione sostitutiva ha privato il fatto di rilevanza penale.

Il ricorso è stato ritenuto privo di fondamento, in quanto “ai fini della configurabilità del reato di falso ideologico commesso da privato in atto pubblico, non è necessario che esista una norma giuridica che, con riferimento al contenuto, obblighi il privato a possedere i requisiti dichiarati, ma è sufficiente che il suddetto atto precostituito per la prova del fatto attestato abbia un contenuto non veritiero”.

Gli Ermellini si sono soffermati, poi, sulle disposizioni legislative (in particolare agli articoli 46 e 47 del D.P.R. 445/2000), che non sono state abrogate né hanno subito modificazioni. “È soltanto venuto meno l’onere di attestare il possesso dei requisiti morali per l’esercizio di attività commerciale, precedentemente richiesto dalla legge regionale n. 28/1999. Ma questa modifica del regime giuridico – spiegano i giudici – investe solo il movente dell’azione illecita compiuta dall’imputato, mentre non riguarda gli elementi costitutivi del reato a lui ascritto”.

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