Danno non patrimoniale: risarcibile ai congiunti il danno morale per la sofferenza psichica patita dalla vittima che rimanga in lucida agonia

Redazione 24/02/12
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Anna Costagliola

In caso di lesioni che abbiano prodotto, a breve distanza di tempo, un esito letale, sussiste in capo alla vittima che abbia percepito lucidamente l’approssimarsi della morte un danno di natura psichica, la cui entità non dipende dalla durata dell’intervallo tra lesione e morte, bensì dall’intensità della sofferenza provata dalla vittima dell’illecito ed il cui risarcimento può essere reclamato dagli eredi della vittima. Il ristoro non può invece essere riconosciuto quando durante il breve lasso di tempo che separa il sinistro dal decesso la vittima non riprende conoscenza. È quanto afferma la Corte di cassazione nella sentenza n. 2564 del 22 febbraio 2012 che, confermando sul punto quanto statuito dalla Corte di merito nella decisione impugnata, ha escluso che i congiunti della vittima avessero titolo per pretendere la liquidazione iure hereditatis del danno morale patito dal de cuius il quale, per effetto dell’illecito perpetrato in suo danno, è passato direttamente dal coma alla morte, senza mai riprendere conoscenza.

A fronte della doglianza dei ricorrenti, i quali lamentavano il mancato riconoscimento del danno biologico iure hereditatis e del danno morale soggettivo, la Cassazione ha opposto l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di danno non patrimoniale, ricordando come le stesse Sezioni Unite civili abbiano sottolineano la necessità di evitare duplicazioni delle poste risarcitorie, ovvero la liquidazione del medesimo pregiudizio sotto differenti etichette, atteso che, in caso di morte di un familiare, sia il danno morale che quello da perdita del rapporto parentale costituiscono pregiudizio del medesimo tipo. Una volta esclusa la possibilità di individuare autonome sottocategorie di danno non patrimoniale, compito del giudice è quello di valutare in concreto il pregiudizio arrecato alle persone, considerando tutte le ripercussioni che l’illecito ha avuto sulla persona lesa e provvedendo alla integrale riparazione del danno. Si realizza in tal modo una personalizzazione del risarcimento, rapportandolo alla effettiva entità del danno.

In tale or­dine di valutazioni, la sofferenza morale procurata in conseguenza di un fatto illecito costituente reato integra un pregiudizio non patrimoniale da risarcire in quanto tale; ove poi vengano lamentate degenerazioni patologiche della sofferenza morale, si rientra nell’area di quello che viene convenzionalmente definito «dan­no biologico», del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. In tal caso il giudice non potrà liquidare una somma per tale danno ed una per quello morale, ma dovrà provvedere al «risarcimento integrale», considerando la sofferenza morale solo uno dei molteplici aspetti di cui tener conto nella liquidazione dell’unico ed unitario «danno non patrimoniale».

Tanto premesso, la Corte ritiene che il giudice può correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, quando questa sia rimasta lucida e cosciente durante l’agonia, in consapevole attesa della fine. In tal caso, infatti, il danneggiato patisce una sofferenza morale di massima intensità, anche se di durata contenuta, per cui non risulta suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare e dar luogo al danno biologico.

Non diviene invece titolare di alcun danno morale, trasmissibile agli eredi, per la sofferenza fisica conseguita alle lesioni riportate, la vittima che non rimanga lucida durante l’agonia, in modo da realizzare consapevolmente la prossima fine della vita.

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