Creazione di bottiglie di falso vino pregiato: associazione a delinquere e reato plurioffensivo

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13767 del 4 aprile 2024, ha chiarito che, se più persone organizzate con compiti diversi contribuiscono alla creazione di bottiglie di falso vino pregiato, integrano il reato di associazione a delinquere nonché reato plurioffensivo.

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Corte di Cassazione – Sez. V Pen. – Sent. n. 13767 del 04/04/2024

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Indice

1. I fatti

La vicenda scaturisce da una complessa indagine che ha avuto origine quando alcuni ristoratori, titolari di enoteche o esportatori di vino, avevano segnalato di aver acquistato bottiglie di vino pregiato che, in realtà, contenevano un prodotto diverso.
Secondo l’ipotesi accusatoria, esisteva una struttura associativa organizzata la cui attività consisteva nell’acquistare vino di scarsa qualità, nell’aggiungere a questo alcool per aumentarne la gradazione, imbottigliarlo e metterlo in vendita in modo che apparisse essere un vino di pregio, con falsificazione di etichette, relative indicazioni geografiche e denominazioni di origine, i relativi marchi e il contrassegno ministeriale previsto per i vini DOC e DOCG.
Il ricorso per Cassazione presentato era affidato a sei motivi di censura: con i primi due si censurano, da un canto, la qualificazione in termini di delitto consumato in luogo del delitto tentato; dall’altro, la ritenuta applicazione della norma penale nonostante l’evidenziato rapporto di specialità esistente tra questa e l’art. 33, comma 2, della legge n. 82 del 2006 e la mancanza, nella formulazione normativa applicabile ratione temporis, di una clausola di riserva in favore della prima; con il terzo motivo si riteneva che la Corte d’appello non avrebbe motivato né in ordine al profilo soggettivo della ritenuta condotta partecipativa, né in ordine alla (invocata) qualificazione di detta condotta in termini di mero concorso di persone; il quarto motivo censurava il ritenuto concorso tra il reato di cui all’art. 473 e quello di cui all’art. 517-quater cod. pen. in ragione della sostanziale sovrapponibilità delle condotte contestate (la falsificazione del marchio e l’identificazione della provenienza delle bottiglie) e del rapporto di specialità esistente tra i due reati, con conseguente assorbimento del secondo nel primo; il quinto motivo deduceva che, a prescindere dalla mancanza della prova di una reale condotta partecipativa del ricorrente nella realizzazione del reato di cui all’art. 469 cod. pen. (essendosi limitato semplicemente a trasportare le fascette falsificate), la condotta contestata (la falsificazione delle impronte della pubblica amministrazione) sarebbe sostanzialmente sovrapponibile a quella di cui alla falsificazione del marchio, rappresentandone un necessario presupposto ed essendoci tra le due norme un rapporto di specialità reciproca che ne impedirebbe il concorso; infine, il sesto motivo atteneva al trattamento sanzionatorio, deducendone l’eccessività.
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2. Creazione di bottiglie di falso vino pregiato e associazione a delinquere: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, osserva che il ricorrente ritiene sussistere, preliminarmente, un rapporto di specialità tra la generale disciplina codicistica (art. 516 cod. pen.), dettata per tutte le sostanze alimentari, e la successiva normativa speciale in materia di sofisticazione dei vini, in particolare quella dettata dal secondo comma dell’art. 33 della legge n. 82 del 2006 (normativa abrogata dalla successiva legge n. 238 del 2016, ma astrattamente applicabile ratione temporis), che prevede la sola sanzione amministrativa.
Tale deduzione, tuttavia, appare infondata in quanto, pur esistendo un nucleo fattuale comune, la disciplina speciale non copre l’intera estensione della norma codicistica, così come quest’ultima non copre l’intera estensione della legge speciale.
Si tratta, ad avviso della Suprema Corte, “di due fattispecie differenti, che hanno in comune solo l’oggetto materiale del reato (il vino adulterato, quale sostanza alimentare non genuina), ma che divergono radicalmente nella descrizione della condotta: l’una afferente alla pregressa fase della adulterazione e, l’altra, a quella successiva della commercializzazione“.
Per ciò che concerne la qualificazione dei reati in termini di fattispecie consumata in luogo del tentativo, la Corte premette che il delitto di cui all’art. 516 cod. pen. (vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine) si consuma a prescindere dalla vendita effettiva, con la sola commercializzazione della sostanza alimentare non genuina; quindi, nel momento in cui questa è messa sul mercato, ovunque questa sia conservata.
Per ciò che riguarda la censura relativa al profilo soggettivo del reato associativo, la Suprema Corte osserva che la Corte territoriale ha ritenuto l’esistenza di un’autonoma struttura associativa tra i partecipanti (e l’individuale consapevole partecipazione di ciascuno) deducendola da svariati motivi, tra cui la natura stessa dell’attività e la continuità di questa in basi logistiche (cantina e uffici) e dei contatti fra gli associati.
Elementi, questi, che non lasciano interpretazione sulla natura dell’associazione posta in essere al fine di compiere l’attività illecita di cui sopra
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Inoltre, per ciò che concerne il rapporto di specialità tra il reato di cui all’art. 473 e quello di cui all’art. 517-quater cod. pen., la Corte sottolinea che quest’ultimo sanziona la condotta di contraffazione o alterazione dei segni distintivi di origine geografica e, al secondo comma, quella di introduzione nel territorio dello Stato, detenzione per la vendita, offerta in vendita diretta ai consumatori e messa in circolazione dei prodotti con segni mendaci; non richiede, tuttavia, che l’origine del prodotto agroalimentare sia tutelata, ai sensi dell’art. 11 d. lgs. 30/2005 (codice della proprietà industriale), attraverso la registrazione di un marchio collettivo. Dunque, potendo la relativa contraffazione integrare anche i reati di cui agli artt. 473 o 474 cod. pen., le due norme possono effettivamente concorrere, attesa anche la diversità dei beni giuridici tutelati e la mancata previsione nell’art. 517-quater cod. pen. di clausole di riserva.
L’ulteriore censura, relativa alla qualificazione dei fatti contestati in termini di delitto tentato è, invece, inammissibile in quanto il delitto di cui all’art. 473 cod. pen. precede l’immissione in circolazione dell’oggetto falsamente contrassegnato e ne prescinde, in quanto il bene oggetto dalla falsificazione, una volta registrato, è per sua natura destinato alla circolazione all’interno del mercato, anche se non ancora inserito nel circuito commerciale.
La censura afferente alla asserita mancanza di prova di una condotta partecipativa del ricorrente è evidentemente generica, in quanto non tiene conto degli argomenti sui quali la Corte territoriale ha fondato la prova di una sua condotta di partecipazione al reato ravvisata nell’aver contribuito materialmente a procurare il vino di scarsa qualità, al successivo imbottigliamento e al materiale trasporto delle false fascette.
Osserva la Corte che “il reato è plurioffensivo, destinato a tutelare non solo quel particolare bene giuridico, di natura immateriale e collettiva, rappresentato dalla pubblica fede, ma anche altri beni meritevoli di protezione, quali le privative sui marchi registrati, l’interesse alla regolarità del commercio e dell’industria e, più in generale, l’economia nazionale, secondo una condivisibile tendenza volta ad assicurarne effettività ai principi costituzionali in materia di iniziativa economica e di proprietà privata”. In questa prospettiva si colloca la giurisprudenza della Suprema Corte che ha evidenziato come, in tema di oggettività giuridica, “nei delitti contro la fede pubblica deve riconoscersi, oltre a un’offesa alla fiducia collettiva in determinati atti, simboli o documenti […] anche un’ulteriore attitudine offensiva degli atti stessi in riguardo alla concreta incidenza che esercitano nella sfera giuridica del singolo privato“.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha dunque deciso di confermare la condanna per associazione a delinquere per il ricorrente, in quanto è stata ampiamente accertata non solo l’organizzazione posta in essere dai partecipanti, ma anche la finalità illecita dell’attività.
Inoltre, è stata confermata la condanna anche per i reati di cui agli artt. 473 e 517-quater cod. pen. ritenuti dal ricorrente in rapporto di specialità e, di conseguenza, non contestabili entrambi separatamente.
Il ricorso è stato, dunque, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili costituite.

Riccardo Polito

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