Tentativo di delitto e dolo eventuale: l’incompatibilità

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L’incompatibilità del tentativo di delitto con il dolo eventuale, recenti approdi giurisprudenziali: la Suprema Corte ribadisce il costante orientamento giurisprudenziale (Cass. Pen., Sent. n. 5586 del 2022).
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Indice

1. Il delitto tentato


Il presente commento non può non prendere le mosse dall’istituto del tentativo, e cioè dall’art. 56, C.p., a mente del quale Colui che compie atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di tentato delitto
Prima d’indagare la fattispecie in parola sul piano soggettivo, è d’uopo rilevare ch’essa rappresenta un istituto giuridico autonomo, distinto da quello del reato perfetto.
La presente indagine, come evocata dall’incipit, s’incentra sull’intenzionalità della condotta.
Ed, allora, concentrandosi sull’agire dell’agente, coscienza e volontà, momenti rappresentativi della consapevolezza e dell’intenzionalità della condotta.
La direzionalità univoca della condotta esprime quell’intenzionalità volitiva compatibile con il dolo diretto.
È sufficiente, sul piano squisitamente subbiettivo, la volontà di realizzare il risultato avuto di mira, canonizzato nella norma violata.
Non è necessario raggiungere uno scopo ulteriore, rispetto a quello consacrato dalla norma evocata, non essendo il dolo specifico richiesto onde integrare il delitto tentato, gemmato dalla combinazione della norma di parte speciale con l’istituto di parte generale di cui all’art. 56 c.p.

2. Il Tentativo compatibile con il dolo diretto ed il dolo alternativo


L’intenzionalità consacrata alla realizzazione dello scopo avuto di mira, rigettato dalla norma violata, rende l’istituto in discorso compatibile finanche con il dolo alternativo.
Ciò in quanto dietro l’indifferenza del raggiungimento dell’uno ovvero dell’altro risultato, v’è sempre quell’intenzionalità radice del dolo nella sua forma primordiale di dolo diretto.
Alla base della condotta azionata, c’è sempre l’intenzione dell’azione avuta di mira, essendo indifferente, nel momento della rappresentazione delle conseguenze, l’uno o l’altro evento quale risultato della propria condotta.
A tal riguardo, statuisce la Suprema Corte che: “…la figura del dolo diretto, anche nella sua forma di dolo alternativo, che ricorre quando il soggetto agente prevede e vuole indifferentemente due eventi alternativi tra loro come conseguenza della sua condotta, è compatibile con il tentativo…”. (Cass. Pen., Sez. I, n. 43250 dell’1 ottobre 2018).


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3. L’incompatibilità del tentativo con altri istituti


Giova osservare, in questa sede, che il tentativo di delitto è incompatibile con altri istituti.
Anzitutto, operando sulla dicotomia tra delitti e contravvenzioni, possiamo affermare che il tentativo di delitto è incompatibile con le contravvenzioni. Tal incompatibilità, discende dal dato letterale dell’art. 56, C.p., teso a circoscrivere l’operatività della prefata norma soltanto ai delitti.
Secondariamente, il tentativo è incompatibile con il delitto colposo.
Ora, va da sé, che la direzione finalistica d’una azione licenziata dall’agente e protesa, pertanto, alla realizzazione del reato avuto di mira, sia incompatibile con l’atteggiamento psicologico del delitto colposo, caratterizzato dall’involontarietà dell’evento.
Recita la norma de qua, ossia l’art. 43, comma terzo, C.p.: “…è colposo, o contro l’intenzione quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline…”.
Nel delitto colposo, l’evento si rappresenta all’agente, ma non è da questi voluto. Esso, da un punto di vista eziologico, si realizza quale conseguenza per la violazione di norme cautelari di stampo generale, come la negligenza, l’imprudenza ovvero l’imperizia, vuoi per la violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline. Ed è proprio sul piano subiettivo che si esprime l’incompatibilità del tentativo di delitto con il delitto colposo, giacché, se nel primo, la condotta dell’agente è animata da un intento volitivo del risultato avuto di mira, nel secondo, invece, quest’ultimo non è voluto dall’agente.
Procedendo oltre, il tentativo è incompatibile, altresì, con il delitto preterintenzionale.
Recita l’art. 43, comma secondo, C.p.: “…è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente…”.
Anche in tal sede, l’incompatibilità discende da una riflessione obiettiva della struttura dei due delitti in esame.
Difatti, il delitto preterintenzionale si caratterizza per il fatto che la condotta dolosa dell’agente realizza un’offesa più grave rispetto a quella perseguita dall’agente.
La struttura del predetto delitto è tale per cui il reato primitivo è pur frutto d’un intento doloso ed il conseguente verificarsi, quale conseguenza di esso, d’un evento più grave rispetto a quello voluto dall’agente. Laddove, poi, l’evento più grave non fosse realizzato, giammai, rispetto a quest’ultimo, si potrebbe parlare di tentativo, dovendo, comunque, intendersi consumata la fattispecie primitiva del reato meno grave, essendo, questo, si, caratterizzato dal dolo.
Infine, il tentativo di delitto è incompatibile con i reati di pericolo. Ciò in quanto il reato di pericolo è caratterizzato da un’anticipazione della soglia di punibilità, in ragione della natura del bene giuridico tutelato.
I delitti di pericolo, infatti, prevedono un’anticipazione della soglia di punibilità rispetto alla lesione materiale del bene giuridico protetto dalle norme incriminatrici.
La struttura del reato di pericolo potrebbe collidere con il principio d’offensività, per il quale in tanto si ha la consumazione d’un reato in quanto la condotta abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene giuridico protetto.
Sul punto, pur esulando da questa breve dissertazione un’indagine sui reati di pericolo, mette conto evidenziare che la giurisprudenza del Supremo Collegio s’è espressa sull’incompatibilità di questi ultimi con il tentativo.
In tal direzione, si legge, infatti, che: “…Come tale, detta figura criminosa non consente come, d’altronde, tutti i reati di pericolo – l’ipotizzabilità del tentativo…”. (Cass. pen., Sez. III, n. 27989 del 20 luglio 2021).
In tal pronuncia, la Suprema Corte, ha avuto modo d’affermare che il delitto d’associazione di cui all’art. 70, commi, 4, 6 e 10, D.Pr.n.309/1990, in materia di stupefacenti, non è affatto compatibile con il tentativo. Ciò in quanto l’accordo per la promozione e la costituzione di tal vincoli associativi, ove questi, poi, assumano consistenza empirica, integrano già di per sé il reato, essendo indifferente la realizzazione o meno dei reati avuti di mira.
Valga, in tal senso, che: “…si ricostruisce un accordo criminoso tradottosi nella concreta predisposizione di ruoli, risorse e profili organizzativi ovvero hanno il carattere della idoneità ed inequivocità e determinano la consumazione del delitto, perché, dal loro venire ad esistenza, è già compromesso, come nel caso in esame, l’ordinato svolgimento della vita sociale e si è, quindi, attuata la minaccia all’ordine pubblico…”. (Cass. pen., Sez. III, n. 27989, cit.).
Sempre in tal direzione, la giurisprudenza ha statuito che anche il reato di spendita di monete false è incompatibile con il tentativo.
Difatti,il Supremo Collegio afferma che: “…il reato di spendita di moneta falsa non è reato di danno, ma di pericolo, avendo per oggetto soltanto la possibilità della lesione giuridica, con la conseguenza che per la configurabilità del reato non si richiede, pertanto, che il fine di mettere in circolazione la moneta falsa riceva concreta attuazione…”. (Cass. Pen., Sez. V, n. 14002 del 14 aprile 2021).
Tanto assodato, è facile osservare, in ragione anche di quanto osservato dalla dottrina, che, laddove si allocassero anche i reati di pericolo nell’area d’operatività dell’art. 56, C.p., si dilaterebbe, oltre modo, l’area del penalmente rilevante.

4. Il Tentativo è incompatibile con il dolo eventuale


Proprio l’intenzionalità dell’azione, che pervade totalmente il momento volitivo, rigettando in radice la mera possibilità, rende il tentativo incompatibile con il dolo eventuale.
In tal direzione, si registra il costante orientamento giurisprudenziale volto ad affermare l’incompatibilità, sul piano ontologico strutturale soggettivo, del dolo eventuale con il dolo del tentato delitto.
Ed, al riguardo, il Supremo Consesso, statuisce che: “La giurisprudenza di questa Corte è sostanzialmente costante nel ritenere che il dolo eventuale non sia compatibile con il delitto tentato…”. (Cass. Pen., Sez. VI, n. 14342 del 16 aprile 2012).
La ragione di ciò sta nell’intensità del momento rappresentativo e volitivo, che nel dolo diretto è totale, di contro a quello eventuale, caratterizzato dal residuo spazio della mera possibilità.
Se, dunque, nel dolo diretto la volontà è protesa alla realizzazione del risultato avuto di mira, in quello eventuale si accetta, sin dal momento rappresentativo, la possibilità che dalla propria condotta possa scaturire un risultato diverso ed ulteriore rispetto a quello programmato ed avuto di mira.
L’accettazione del rischio della possibilità di un evento ulteriore rispetto a quello concepito spezza l’intensità di quella volontà, che pervade, già sul piano rappresentativo, tutta la condotta programmata, che contraddistingue, viceversa, il dolo diretto.
Difatti, nel dolo eventuale, l’agente accetta il rischio della probabilità che, dalla sua condotta, possa gemmarsi un evento diverso ed ulteriore rispetto a quello primitivo.
L’accettazione del rischio della probabilità che dalla propria condotta possa generarsi un evento ulteriore, implica, sul piano soggettivo, la prevedibilità di un evento diverso, anche se non voluto.
Nell’accettazione del rischio, la volontà non si spinge sino alla sfera volitiva dell’evento diverso, rimanendo, piuttosto, confinata, per l’appunto, sul piano rappresentativo.
In altri termini, se nella forma primordiale del dolo diretto, l’agente si rappresenta e vuole l’evento, in quella eventuale egli si rappresenta soltanto la probabilità di un evento diverso ed ulteriore rispetto a quello avuto di mira, e, nonostante ciò, agisce accentandone il rischio.
In tal senso, si registra l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che: “…da una realtà psicologica in cui si ha consapevolezza che l’evento, non direttamente voluto, ha la probabilità di verificarsi in conseguenza della propria azione nonché dall’accettazione volontaristica di tale rischio.”. (Cass. Pen., Sez. I, n. 25114 del 2 luglio 2010).
Da qui, la distinzione ontologica tra il dolo eventuale e la colpa cosciente, nella quale l’agente, pur prevedendo l’evento ulteriore, agisce, comunque, confidando nella sua capacità di dominarlo.
In tal caso, la sfera soggettiva della coscienza e volontà, ovvero della rappresentazione e dell’intenzionalità, investe completamente la condotta dell’agente, giacché non si può confidare nel dominio dell’evento, se non impegnando interamente la propria sfera volitiva.
Il dolo eventuale non è pertanto compatibile con il tentativo, restando quest’ultimo compatibile con il dolo diretto od alternativo.
Il principio di diritto in scrutinio, gemmato dalla costante elaborazione giurisprudenziale, a mente della quale il tentativo di delitto, riguardato sul piano soggettivo, non è compatibile con il dolo eventuale, è stato confermato dalla recente pronuncia della Corte dei Diritti, a mente della quale: “…la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente e costantemente affermato che il dolo eventuale non è compatibile con il delitto tentato…”. (Cass. Pen., Sez. I, n. 5586 del 17 febbraio 2022).
Nel caso scrutinato dai Supremi Giudici, la condotta del pervenuto, rubricata come tentato omicidio, in danno di due agenti di P.G., era stata qualificata, nel precedente giudizio, dal punto di vista del dolo, come dolo eventuale, avendo ritenuto che il comportamento del reo era orientato alla fuga, avendo, tuttavia, questi accettato, finanche, il rischio di cagionare lesioni fatali ai due operatori di P.G.
Tale conclusione viene rigettata dalla pronuncia in esame, ove il Supremo Collegio, stigmatizzando le conclusioni cui era pervenuto il precedente giudicante, volto ad ascrivere il dolo eventuale alla condotta di tentato omicidio del pervenuto, ribadisce che, per il costante insegnamento giurisprudenziale, il dolo eventuale non è compatibile con il delitto tentato.

5. Conclusioni


Traendo conclusioni dalla pronuncia in rassegna, apprendiamo, innanzitutto, che il delitto tentato è un istituto giuridico autonomo ed indipendente rispetto agli delitti. Difatti, valga in tal senso, la collocazione sistematica del tentativo nell’alveo dell’autonomo art. 56, C.p. Il tentativo è il frutto della combinazione della prefata norma con quella di parte speciale. Esso è incompatibile, per le ragioni dianzi esposte, con le contravvenzioni, con il delitto colposo, con quello preterintenzionale e, da ultimo, con i reati di pericolo. Abbiam appreso, poi, che, nell’ambito dell’orbita subiettiva del tentativo di delitto, il dolo dell’agente può esser qualificato in termini di dolo diretto ovvero alternativo. Che, viceversa, la condotta dell’agente, gravitante nel tentativo di delitto, giammai potrà esser qualificata in termini di dolo eventuale.

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Aggiornato alla L. 30/12/2022 n. 199, di conv. con modif. D.L. 31/10/2022 n. 162, l’opera fornisce un inquadramento del D.Lgs. 150/2022, nel tentativo di affrontare e offrire le soluzioni pratiche dei numerosi problemi che un provvedimento di tale portata presenta. Oggetto specifico dell’elaborazione sono le norme che comportano la riforma del sistema sanzionatorio penale, mentre la novella processuale è affidata al corredo di circolari tematiche emesse dal Ministero della Giustizia, riportate in appendice. Per agevolare la lettura, il volume è suddiviso per aree tematiche di intervento, in ciascuna delle quali sono riportati i criteri di delega e le disposizioni oggetto del decreto, unitamente alle corrispondenti disposizioni attuative. Fabio PiccioniAvvocato del Foro di Firenze, patrocinante in Cassazione; LLB presso University College of London; docente di diritto penale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali; coordinatore e docente di master universitari e corsi di formazione; autore di pubblicazioni e monografie in materia di diritto penale e amministrativo sanzionatorio; giornalista pubblicista.

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