Il dolo eventuale: la natura giuridica e le applicazioni giurisprudenziali

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Il dolo eventuale: un concetto di origine giurisprudenziale

Tra i temi che da tempo occupano la giurisprudenza e la dottrina in accesi dibattiti sicuramente quello del dolo eventuale merita una menzione particolare. Tale nozione, prodotto dell’attività giurisprudenziale, è caratterizzata da molteplici aspetti che la rendono ancora oggi materia di vivo interesse. La problematicità di tale istituto è dovuta in primo luogo alla circostanza che si tratta evidentemente di un dato normativo, non ontologico, appartenente alla sfera interiore dell’individuo. Difatti il dolo eventuale è un dato psichico, esistente solo nel livello soggettivo della persona la cui esistenza è dimostrabile solo da fatti oggettivi da provare. Tale ultimo aspetto si ricollega ad un’altra accezione propria del dolo eventuale, l’essere un fenomeno processualizzato, dipendente dalle risultanze probatorie del caso concreto, non direttamente accertabile. Il dolo eventuale, come accennato, è una creazione concettuale della giurisprudenza e non esiste tuttora una definizione legale dello stesso.

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Definizione del dolo eventuale: accettazione della verificazione di un evento

La giurisprudenza è giunta a concepire tale forma minore di dolo nel corso di decenni nei quali si è imbattuta in casi dove non netta era la linea di demarcazione tra dolo e colpa. In tale modo è arrivata a concepire una forma di dolo molto vicina alla colpa di maggiore gravità, la colpa cosciente, ma diversa da questa nonostante la prossimità. Il diritto vivente, e nello specifico la giurisprudenza a seguire dal caso Thyssenkrupp[1], identifica il dolo eventuale non più come l’accettazione da parte del soggetto agente del mero rischio, bensì come l’adesione da parte dell’autore all’evento, una accettazione che quell’evento concreto si verifichi con una elevata probabilità e, ciò nonostante, non ci si astenga dalla condotta. Si è passati da una accezione quantitativa del dolo eventuale (accettazione del rischio) ad una accezione qualitativa (accettazione che quell’evento si potrebbe verificare). Secondo un parzialmente diverso orientamento giurisprudenziale, invece, il dolo eventuale viene inquadrato in una accezione economica di costi/benefici per cui il rischio della verificazione dell’evento rappresenterebbe il prezzo da pagare per il fine perseguito dall’agente.

Differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente

Per cogliere meglio il significato di quanto detto occorre porre il dolo eventuale in paragone con la colpa cosciente e individuare le analogie e le differenze tra le due figure[2]. Secondo le S.U. del caso Thyssenkrupp queste due categorie sono nettamente distinte eppure questa sembra più una affermazione teorica che riscontrabile nella realtà delle cose. Invero la linea di demarcazione che separa queste due figure normative è tanto labile e di difficile individuazione quanto ampiamente diverse sono le conseguenze che possono comportare il ricorso all’una piuttosto che all’altra da parte del giudicante. Bisogna dire che a livello soggettivo tanto nel dolo eventuale quanto nella colpa cosciente vi è la rappresentazione dell’evento, però nel primo caso se ne accetta la probabile verificazione (vi sarebbe quindi anche l’elemento volitivo), mentre nel secondo si rifiuta che tale evento possa verificarsi poiché si confida magari nelle proprie capacità personali (caso del lanciatore di coltelli) o nelle caratteristiche del caso di specie. Nella colpa cosciente quindi, pur essendo presente la rappresentazione dell’evento, non vi è la volontà dello stesso. Sia il dolo eventuale che la colpa cosciente sono dati psichici, percepibili solo tramite dati oggettivi che per induzione proverebbero la loro sussistenza.

La prima formula di Frank ed i criteri per individuare il dolo eventuale

Al fine di accertare il dolo eventuale la giurisprudenza ha enucleato una serie di indicatori cristallizzati dalla S.U. Thyssenkrupp[3]. Tra questi indicatori vi sono alcuni che tengono conto delle conoscenze o peculiarità dell’agente, altri del contesto in cui si è agito e delle modalità della condotta (la ripetizione della stessa, la lontananza dal modello corretto di condotta). Tali parametri, chiaramente elencati anche dalla Cassazione sul caso Thyssenkrup, non sono tassativi, né hanno un preciso ordine gerarchico. Sarà il giudice nell’ambito del suo potere discrezionale che deciderà quali indicatori valorizzare maggiormente a discapito di altri, il tutto in relazione alle specificità del caso soggetto al suo esame. Eppure anche questi indicatori a causa della loro natura non univoca possono generare confusione e ambiguità a seconda dell’uso fattone. Basti citare il caso Vannini[4] nel quale l’indicatore delle conseguenze negative della condotta per l’agente è stato dai giudici di secondo grado giudicato fattore esclusivo del dolo, mentre è stato giudicato in maniera opposta dalla Suprema Corte. Sempre in questo famoso caso giudiziario, ma soprattutto mediatico, i giudici della Cassazione hanno criticato la scelta dei giudici della Corte d’Assise d’Appello di applicare la prima formula di Frank[5]  (secondo cui ci si chiede se l’autore del reato avrebbe desistito dall’azione criminale se avesse saputo l’esito della stessa) come ulteriore indicatore dell’assenza del dolo (eventuale) nel caso di specie. Per i giudici di legittimità, in concorde opinione con certa dottrina, la prima formula di Frank (uno degli indicatori del dolo eventuale) non avrebbe alcun valore nei casi in cui l’evento rappresenti il fallimento del piano del soggetto agente (come nel caso del torturatore che alla fine causa la morte del torturato) o nei casi del calcolo costi/benifici dell’imprenditore. In definitiva, invece di rendere più agevole l’individuazione e la prova del dolo eventuale, gli indicatori hanno finito per rendere più arduo tale compito a causa della diversa interpretazione a cui sono soggetti.

 Il dolo eventuale come discrimen tra ricettazione e l’incauto acquisto

Occorre aggiungere poi che per la giurisprudenza il dolo eventuale non ha ad oggetto solamente l’evento ma può avere ad oggetto anche il presupposto del reato. Si pensi alla differenza tra la ricettazione e l’incauto acquisto in cui ciò che fa propendere per l’una piuttosto che per l’altra fattispecie di reato è la presenza del dolo (quantomeno) eventuale nella prima. Infatti si avrà ricettazione quando si provi che il soggetto abbia accettato il rischio che quell’oggetto che acquista o riceve sia di origine illecita. In questa situazione il dolo eventuale risolve una scelta che implica delle conseguenze rilevanti da un punto di vista sanzionatorio, poiché da una parte abbiamo la ricettazione che è un delitto mentre dall’altra l’incauto acquisto che è una contravvenzione. Più accentuate sono le ripercussioni nel trattamento sanzionatorio quando si tratti di decidere se una certa fattispecie grave quale l’omicidio sia caratterizzata da colpa cosciente o da dolo eventuale, e spesso tale scelta risulta non agevole per le peculiari modalità del caso che potrebbero dare degli esiti opposti a seconda dell’utilizzo che se ne fa degli indicatori indicati dalla giurisprudenza. Ma il dolo eventuale assurge a strumento di vera e propria politica general preventiva e sanzionatoria quando viene adoperato per quei delitti che non prevedono forme colpose di quel reato. In tali casi il dolo eventuale funge da tecnica ampliativa della responsabilità penale di fatti che altrimenti non sarebbero stati puniti.

Casi di esclusione del dolo eventuale

Inoltre bisogna sottolineare che non tutti i delitti sono compatibili con il dolo eventuale. Infatti il dolo eventuale è incompatibile con le fattispecie criminose in cui sia previsto per la loro configurazione il dolo specifico, poiché il fine specifico voluto dall’agente, che si realizzi o meno, implica comunque una volontà, una intenzione nell’agente e non una mera accettazione dell’evento. Il dolo eventuale è poi escluso espressamente dal legislatore quando si richiede per l’integrazione del reato un dolo intenzionale adoperando nella norma le parole come “consapevolmente”, “intenzionalmente”. Il dolo intenzionale, si ricorda, rappresenta in base al criterio dell’intensità, la forma più elevata e grave di dolo, in quanto l’agente vuole quell’evento come conseguenza del proprio agire. Nel dolo diretto vi è invece solo la certezza che quell’evento accada come conseguenza della propria condotta anche se magari quel determinato evento non lo si vuole come obiettivo primario. Infine nel dolo minore per intensità, quello eventuale, si accetta il rischio che quell’evento potrebbe verificarsi come evento collaterale o secondario della propria condotta.

Il dolo eventuale in materia di circolazione stradale

Passando ai settori che nella prassi sono stati il campo di applicazione del dolo eventuale da parte dei giudici bisogna indicare primi fra tutti quello degli infortuni sul lavoro e della circolazione stradale. Tuttavia bisogna ammettere che soprattutto nell’ultimo grado di giudizio si tende poi a riqualificare il fatto come colposo anziché doloso per evitare un generale eccessivo inasprimento della sanzione nei confronti di condotte che, per la loro peculiarità, è più opportuno inquadrare nell’ambito della colpa. Merita una piccola parentesi il ricorso al dolo eventuale nell’ambito della circolazione stradale. In seguito all’intervento del legislatore del 2016 è stata prevista una autonoma fattispecie di omicidio colposo denominata “omicidio stradale[6] che ricorre in quei casi in cui siano violate anche norme del codice della strada. Lasciando da parte i commenti della dottrina su questa discussa scelta del legislatore di creare una fattispecie colposa di omicidio autonoma, bisogna ricordare che in vari casi i giudici di merito, soprattutto prima dell’introduzione di tale norma, ricorrevano al dolo eventuale per qualificare la condotta del guidatore che causava la morte di altri come omicidio ex art. 575 c.p. anziché in termini di omicidio colposo.

Conclusioni

In conclusione di quanto fin qui esposto si deve rimarcare la problematicità che caratterizza la figura del dolo eventuale. Da alcuni è stato addirittura avanzato che nemmeno di dolo si potrebbe parlare propriamente dal momento che ne manca una definizione legale e che comunque non si rinviene quella volontà che connota il dolo secondo il codice, si tratterebbe insomma di un dolo praeter legem se non contra legem. In aggiunta a ciò, nonostante gli sforzi di rendere più chiaro l’accertamento di questo elemento soggettivo, gli stessi indicatori del dolo eventuale sarebbero non univoci, inclusa la prima formula di Frank di cui la stessa giurisprudenza ne riconosce i limiti. Difatti, secondo certi autori lo stesso imputato non saprebbe rispondere delle volte alla formula di Frank, cioè se si sarebbe astenuto da quella condotta se avesse saputo con certezza gli esiti della stessa. E’ necessario tenere a mente che sul piano soggettivo la ricerca della verità, o di quanto più si avvicini ad essa, è un’indagine artificiosa, in quanto solo l’agente stesso sa (non sempre) cosa ha pensato in quel dato momento, se ha voluto o meno quell’evento,  se egli se lo è rappresentato, se ne ha accettato la verificazione o l’ha rifiutata. La ricerca degli elementi soggettivi del reato è intrinsecamente complicata. Il tutto diviene ancora più sfuggente se si considerassero gli stati emotivi e passionali dell’individuo, la cui rilevanza invece viene esclusa dal codice. La dimensione volitiva della coscienza umana è intimamente connessa con la dimensione emotiva del singolo. Per tale motivo da alcuni si auspica una opportuna considerazione nella dosimetria della pena di questo aspetto psicologico. Se il dolo più della colpa (perché comunque implica una ricerca dell’elemento soggettivo inferiore ed è legata a dati oggettivi come la violazione di regole) rappresenta un terreno arduo su cui camminare, il dolo eventuale è quella nebbia che rende ancora più difficile percorrere la via. Una plausibile causa di tale situazione è la mancata definizione legale di dolo eventuale che ha comportato una dipendenza alla interpretazione giurisprudenziale che per sua natura è in costante evoluzione e mai definitivamente consolidata. È stato anteposto il come provare il dolo eventuale tramite i suoi indicatori, al quesito sul cosa sia il dolo eventuale. Non si è ancora oggi messo alla luce e chiarito ogni aspetto di tale prodotto giurisprudenziale. Si potrebbe affermare che il dolo eventuale non è l’intenzione propria del dolo intenzionale, né la certezza del dolo diretto, ma nemmeno l’errore. Il dolo eventuale sembra essere più un dubbio, ma che tipo di dubbio e di quale intensità non si sa con certezza. Alla luce delle considerazioni svolte, dalla unanimità degli operatori di diritto si invoca un intervento chiarificatore e saggio del legislatore, che definisca con linee precise i contorni di tale elemento soggettivo significativo sottraendo così spazio alla discrezionalità del giudice che si traduce alle volte in orientamenti non ragionevolmente contrastanti. Per alcuni sarebbe auspicabile la produzione di un tertium genus affianco al dolo e alla colpa, per altri una considerazione nell’ambito dell’elemento soggettivo del reato anche degli stati emotivi e passionali che innegabilmente influenzano l’uomo anche più razionale. In attesa di questi attesi interventi bisogna prendere atto della situazione attuale e affidarsi alla saggia valutazione del giudice, che, si ricordi, anche nei casi più ripugnanti per la morale e l’opinione pubblica deve tenere a mente il principio cardine del in dubio pro reo e ricorrere al dolo eventuale in luogo della vicina colpa cosciente solo al di là di ogni ragionevole dubbio. In conclusione, si deve evitare che il dolo eventuale, a causa delle varie complessità che lo caratterizzano (l’essere un dato psichico, non definito legalmente, provabile tramite indicatori ambivalenti), venga a sussistere solo nelle mente del giudice e non in quella dell’imputato.

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Note

[1] S.U. sent. n. 38343 del 18.09.2014

[2] Sul tema vedi: M. DONINI, Dolo eventuale e formula di Frank nella ricettazione. Le sezioni unite riscoprono l’elemento psicologico, in Cass. pen. 2010; G. FIANDACA, Le Sezioni Unite tentano di diradare il “mistero” del dolo eventuale, in Riv. it. dir. proc. pen , 2014, p. 1938; R. BARTOLI, Ancora sulla problematica distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente nel caso ThyssenKrupp, in Dir. pen. cont., 2013

[3] Vedi A. AIMI, Il dolo eventuale alla luce del caso ThyssenKrupp, in Dir.pen.cont., 6 novembre 2014.

[4] F. PIERGALLINI, Il “caso Ciontoli/Vannini”: un enigma ermeneutico ‘multichoice’, in Discrimen

[5] G. GENTILE, «Se io avessi previsto tutto questo», in Dir. pen. cont., 30 ottobre 2013

[6] Art. 589-bis c.p.:

“Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni.

Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni.

La stessa pena si applica al conducente di un veicolo a motore di cui all’articolo 186-bis, comma 1, lettere b), c) e d), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, il quale, in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera b), del medesimo decreto legislativo n. 285 del 1992, cagioni per colpa la morte di una persona.

Salvo quanto previsto dal terzo comma, chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

La pena di cui al comma precedente si applica altresì:

1) al conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa la morte di una persona;

2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa la morte di una persona;

3) al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona.

Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti la pena è aumentata se il fatto è commesso da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata, ovvero nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell’autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria.

Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà.

Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto”.

 

Paolo Quirino Cardinali

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